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Domenica, 28 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Trasformazioni urbane, gentrification e nomadismo post-schiavista

Chi parla di gentrification al giorno d'oggi, spesso si concentra su dettagli inessenziali a cogliere l'entità del problema. I più lontani dal capirne le dimensioni sono gli esteti, chi chiama gentrificazione qualcosa che assomiglia invece al meccanismo dello sventramento urbano. La città si evolve e presenta potenzialità di investimento per qualcuno, salvo spazzar via abitanti e sovrastrutture edilizio-social. Nel medesimo posto nasce un nuovo quartiere, abitato da chi è in grado di sborsare quanto atteso dagli investitori. C'è poi il processo di sola sostituzione sociale, la gentrification fissata mezzo secolo fa dalla sociologa Ruth Glass: gli abitanti costruiscono nel tempo strutture ed equilibri dentro cui vivono, una massa di valore assai appetita dal mercato. Ma delle relazioni sociali al mercato non frega nulla, basta e avanza il puro contenitore, l'immagine. Lo sventramento non c'è, nuove famiglie e attività prendono il posto delle vecchie, edifici ripuliti, botteghe con una offerta più elitaria, spariscono attività produttive e posti di lavoro.

Ma non è finita. Dato che come si dice il vuoto in natura non esiste, se le eleganti signore vanno a riempire coi loro divani d'antiquariato le stanze lasciate libere dalle famiglie di lavoratori, non solo queste famiglie dovranno scavarsi nuove nicchie, ma i cerchi concentrici della migrazione si faranno sempre più ampi. Il mercato tutela il proprio investimento, confermando la vera natura del processo di gentrification: non tanto sostituzione di borghesi ai proletari (come dicono infilando orrendi strafalcioni anche alcuni vocabolari ed enciclopedie), ma omogeneità là dove regnava la complessità. E allargarsi progressivo, all'infinito tendenzialmente, di un identico sistema socio-economico-spaziale. Unito al ritorno verso zone centrali di chi le aveva abbandonate per il suburbio. L'omogeneità assoluta, che fa il paio con la mitica privacy familiare, è valore monetario imprescindibile: ma quando ci si allarga oltre un certo limite saltano resilienza e vitalità.

Un segnale chiaro dell'enorme problema, tecnologicamente irrisolvibile, era emerso con gli attentati dell'11 settembre 2001, coi soccorritori professionisti che abitavano lontanissimi dal luogo dell'opulenza finanziaria scelto dai terroristi. E da lustri ormai si leggevano storie di insegnanti, infermieri, vigili del fuoco e poliziotti, costretti a trasferte infinite casa lavoro in quartieri dove loro erano propriamente «persone» perché estranee al mercato immobiliare e alla convenzione sociale. Secondo un criterio nato nel laboratorio suburbano, quartierini immersi nel verde ma chiusi come fortezze ai non ricchi, salvo pendolari giardinieri, colf, addetti della manutenzione, guardiani. Abitanti lontano, lontanissimo, al punto da doversi organizzare come nomadi, in campi abusivi di colf giardinieri badanti, a portata di mano dalle irraggiungibili villette degli arricchiti. E oggi, il medesimo problema si ripresenta nelle forme surreali dell'economia della rete, e dei lavori semi-schiavisti. Cominciato a vedersi coi tassisti di Uber, accampati nei parcheggi a vivere dentro le auto che poi useranno per scorazzare ricchi clienti qui e là. E la questione delle abitazioni qui non riguarda solo qualche quota di alloggi economici da introdurre obbligatoriamente nei quartieri di lusso, neanche fossero le antiche stanze della servitù dei palazzi nobiliari.

La Città Conquistatrice – Gentrification
 

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