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Venerdì, 26 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Trottole volanti. All'improvviso sulla città ma anche no

Autostrade ovunque di dimensioni ciclopiche, pure enormi le stazioni di servizio anche se architettonicamente magnifiche, ricche di spazi qualificati ben oltre la funzionalità da pompe di benzina. Una intera organica rete di comunicazioni di e tra tenute agricole, aree produttive, scuole immerse nei parchi, e poi le abitazioni singole ciascuna col suo acro di verde privato che darà il nome all'insieme, poi negozi, giardini …. Ci si immagina un futuro in cui ogni cittadino possa fruire di un «vicinato» completo di attività lavorativa, casa, servizi, tempo libero qualificato, natura incontaminata, entro un raggio di duecento chilometri da casa propria. Si chiama Broadacre City anche se di fatto rappresenterà poi il palinsesto ideologico della dispersione urbana americana e mondiale, firmata a metà degli anni '30 del secolo scorso dal genio architettonico e comunicativo di Frank Lloyd Wright che come il suo vero ispiratore ideologico Henry Ford la città a dire il vero la detesta con tutto il cuore e vorrebbe raderla al suolo, sostituendola con questo paradiso dell'automobile e addirittura di un «Aerator» specie di trottola con elica ripiegabile a decollo verticale per andare ancora più veloci e lontano. Così fa il suo esordio nell'idea di città – per quanto antiurbana al massimo grado questa idea – l'elicottero integrato dentro la vita di tutti i giorni.

E come aveva già capito confusamente ma intelligentemente l'architetto parigino Èugene Henard, alla conferenza sull'urbanistica di Londra 1910 col primo apparire degli aeroplani a uso civile, introdurre macchine volanti significava rifarla da capo a piedi quella città. Secondo lui tutta grattacieli decorati come campanili o secondo il modello Tour Eiffel, secondo il pioniere di frontiera in pantofole Wright a distesa di magnifiche ville nel parco tempio della famiglia patriarcale annegata dentro un prato. A che città stanno pensando gli amministratori milanesi che in questi giorni primi in Italia hanno siglato l'intesa per l'introduzione dei primi servizi di «Taxi Volanti» come li chiamano i titoli dei giornali? Perché tutto, a partire dai documenti di studio scientifico-tecnico degli stessi operatori come quelli pubblicati dalla piattaforma UBER qualche anno fa, pare dirci che certamente l'ambiente urbano così come è oggi non può accogliere né gestire decentemente quella nuova modalità di trasporto. Non è certo un caso se le trottole di Frank Lloyd Wright la città la saltavano proprio a piè pari cercandosene altrove una su misura, verificato che le radicali trasformazioni pensate vent'anni prima da Henard (e poi riproposte senza troppe novità salvo architettoniche da le Corbusier sponsorizzato dalla Société Anonyme des Aéroplanes G. Voisin) erano del tutto improponibili.

I nostri giornali spiegano, apparentemente ignari di ciò che dicono, che l'immagine simbolo di questo futuro è l'inizio di Blade Runner datato 2019, e collocato in una oscura minacciosa Los Angeles. Mentre poi in realtà «dal 2026 anno dell'Olimpiade a Milano le persone si muoveranno sugli eVtol, velivoli elettrici a decollo e atterraggio verticali». Anche togliendo l'oscurità l'inquinamento la nebbia e pure i replicanti minacciosi, resta che guarda un po' Los Angeles dal punto di vista urbanistico è l'incarnazione quasi consapevole e pianificata della Broadacre City di Wright riveduta e corretta dal mercato immobiliare e dalle regole di azzonamento. Forse che si sta studiando a nostra insaputa negli uffici tecnici della indefinita Città Metropolitana il piano strategico Sprawl Milano per spalmare la futura città ben oltre le Tangenziali esterne e inserire lì il servizio di veicoli elettrici volanti da e per gli Aeroporti che ne sono la prima e principale meta? Quando ho provato ad accennare questo problemino (che mi pare davvero minimale e spontaneo) a un leader politico locale che dell'idea di città fisica fa da sempre il proprio cavallo di battaglia, ho ricevuto in cambio la classica risposta «i problemi veri sono ben altri». Immagino si riferisse alla denuncia di tremende cementificazioni di qualche cespuglio o brutture architettoniche, che portano certo molti più consensi di breve respiro di tremebonde casalinghe piccolo borghesi. Ma la questione resta aperta: ce l'hanno detto per decenni e ribadito oggi gli operatori stessi: il trasporto aereo ha bisogno di una città diversa, e se non glie la diamo noi se la prende e se la fa da solo a nostre spese. E ci farà rimpiangere amaramente come giardino fatato le montagne di rottami delle prime analoghe sventate convenzioni di «free floating bike sharing» come si chiamava esoticamente allora.

Riferimenti: Volare sulla città. Ma su quale città?

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