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Domenica, 28 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Una High Line al giorno d'oggi non si nega a nessuno

Dagli gli anni '30 del secolo scorso in poi non c'era città o cittadina o sparuto paesello del mondo in cui qualche svagato amministratore o imprenditore o architetto variamente visionario non vagheggiasse il «grattanuvole» locale. A confermare naturalmente che la piccola o grande comunità di riferimento sapeva esprimere il suo slancio verso il cielo, il futuro, la modernità e il progresso qualsivoglia, dotandosi di una magari modificata ma coerente versione degli «sky-scraper» intravisti su un giornale o opuscolo o cartolina. Naturalmente a molti veniva anche da pensare come in realtà a quella Santa Rosalinda Scalo Tower mancasse qualunque presupposto sia economico che funzionale che sociale, oltre il vago immaginario. Ma le obiezioni venivano in genere liquidate come opposizioni pregiudiziali passatiste e contrarie al sano bisogno di guardare con ottimismo al futuro e investire adeguatamente. Col risultato abbastanza noto ed evidente, oggi, di produrre diverse generazioni di incongrui edifici più o meno sviluppati in altezza ma decisamente sottosviluppati quanto a forme estetiche, inserimento nel contesto, e generale utilità dimostrabile. Quanti panorami urbani faticosamente sedimentati nei secoli si sono obliterati in pochi istanti mettendo il timbro dell'autorizzazione tecnica a quegli inutili aborti edilizi spacciati per grattacieli portatori di futuro.

Dovrebbe bastare un'occhiata anche distratta, a quelle pareti piastrellate un po' opache o ringhiere spesso arrugginite di balconi persi nel nulla al dodicesimo piano, per indurre a qualche riflessione in più quando con toni del tutto identici partono certe campagne locali «Facciamo anche noi la High Line». A partire da altrettanto confusi aneliti imitatori, e soprattutto vuoto pneumatico di presupposti simili a quelli del famoso progetto originario di riuso di un rilevato ferroviario di Manhattan. Là esisteva prima un problema di dismissione urbana, abbandono, degrado edilizio di vasta area, e un progetto generale di recupero, ricostruzione, sostituzione sociale-funzionale, alla fine del quale (proprio in fondo e come ciliegina sulla torta) arriva il progetto di non demolizione e ri-arredo a verde di bassa manutenzione chiamato poi High-Line. Nelle nostre città basta che qualche bel tomo legga il nome, traduca con Google, noti che in effetti un ponte o viadotto o passerella «in linea» e abbastanza «alta» esiste, e il gioco è fatto.

Partono qui e là sui media vecchi e nuovi i disegnini dell'asilo con le fioriere, le mamme che passeggiano tenendo per mano qualche pupo, e occhielli entusiasti: «Anche Puggioni Dabbasso come New York secondo la visione del grande architetto del paesaggio!». Il quale spesso magari da professionista di arredo poco interessato al resto non ha messo in conto bazzecole come la dismissione di un tratto di ferrovia che fa parte di una rete più ampia, o dove andranno mai a finire le auto a cui impediamo di percorrere quel cavalcavia per passeggiarci col gelato. Miracoli del solito prendere una definizione o slogan o denominazione e rigirarla come una frittata finché assume le forme che più ci aggradano. Ma che tradotte poi (succede anche quello come ben sappiamo coi «grattacieli di imitazione») in realtà urbana producono quasi sempre guai senza neppure una frazione di quella comunicazione da sogno da cui erano nate. Il che non vieta naturalmente che là dove esistano piani e progetti di dismissione di qualche cavalcavia ponte passerella non possa nascere un sano comitato locale che propone invece di demolire la struttura, magari usando gli oneri di urbanizzazione delle nuove costruzioni, di trasformarla in un passeggio arredato dal giardiniere di fiducia e con le migliori panchine disponibili sul mercato. Ma questa è un'altra storia.

La Città Conquistatrice – High Line
 

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