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Venerdì, 26 Aprile 2024

Fernando D'Aniello

Collaboratore

L'altra sinistra in crisi di identità

Ieri si è votato nella capitale tedesca per il parlamento cittadino e il Borgomastro: l’organizzazione disastrosa delle elezioni del 2021, segnate da troppe irregolarità, ha imposto, con una sentenza della corte costituzionale, di ripeterle. Così i berlinesi sono tornati al voto: stravincono i conservatori della Cdu, partito che ottiene oltre dieci punti in più rispetto al 2021, supera il ventotto percento e potrebbe tornare a esprimere, dopo oltre vent’anni, il capo del governo cittadino. 

Questo esito, però, è tutt’altro che scontato e non è affatto detto che il prossimo Borgomastro sarà Kai Wegner, il candidato conservatore. Il rigido sistema parlamentare tedesco e il multipartitismo che ormai lo caratterizza impediscono a Wegner di avere i numeri per governare da solo, ha bisogno di un alleato, i verdi o proprio i socialdemocratici. E la stessa coalizione uscente di SPD, Linke e Verdi avrebbe i numeri per continuare a reggere il governo della capitale. Tuttavia, non è ancora chiaro con quale formula: se a guidare la coalizione sarà Franziska Giffey, Borgomastra uscente della SPD e severamente punita nelle urne, o Bettina Jarasch, dei Verdi, ipotesi che nelle ultime ore sembra perdere quota.

La sconfitta dei socialdedmocratici è netta ed evidente – meno tre percento rispetto al 2021 e peggior risultato a Berlino di sempre dal dopoguerra – nonostante questo riescono per poco più di cento voti a imporsi sui Verdi, che invece restano stabili rispetto alle scorse elezioni, ma mancano il “sorpasso” ai danni dei socialdemocratici. Entrambe le forze politiche raccolgono poco più del diciotto percento.

Ecco perché ci vorrà tempo per capire quale sarà l’esito politico di queste elezioni, affidato adesso alle difficili trattative tra partiti. Wegner ha certamente dalla sua l’ottimo risultato elettorale, e può giocarsi due soluzioni: o una alleanza con i socialdemocratici o un governo con i Verdi. Come detto, un rifiuto di socialdemocratici e dei Verdi aprirebbe la strada alla riproposizione della coalizione che ha governato sino ad oggi. Quest’ultima opzione appare, però, più un modo per salvare una classe politica sconfitta, che un modo per accogliere davvero l’indicazione che viene dalle urne: tutti i protagonisti hanno sottolineato che i berlinesi hanno chiesto un cambio radicale e sarebbe francamente incomprensibile riproporre la stessa formula che è stata bocciata proprio nelle urne. Ne esce male Franziska Giffey, da poco più di un anno alla guida della città-Stato: non riesce nemmeno a vincere nel proprio collegio, dove perde oltre undici punti, non ha mai davvero convinto il suo stesso partito e questa potrebbe essere la fine della sua carriera politica.

Due parole sugli altri partiti: esce dal parlamento di Berlino la Fdp, i liberali non arrivano alla soglia del cinque percento e la cosa rischia di avere ripercussioni anche sul piamo federale. Si festeggia in casa Linke dove sembra arrestarsi l’emorragia di voti – il partito perde ‘solo’ meno del due percento – e la crisi degli ultimi anni (ma è davvero così?) e resta stabile anche Afd, la formazione di destra.

Si conferma dunque il multipartitismo del sistema politico tedesco, nel quale, però, i partiti tradizionali continuano a giocare ancora un ruolo significativo.

Nonostante la necessità di attendere cosa produrranno i colloqui tra i partiti politici berlinesi, qualche considerazione, anche sugli eventuali effetti per il governo federale, è possibile formularla.

A Berlino il voto era certamente locale, determinato da questioni relative alla qualità della vita cittadina. I trasporti, le scuole, l’inefficienza della pubblica amministrazione. E, più in generale, lo sviluppo di una città che è passata da povera ma sexy, come la definì una volta un suo storico borgomastro, Klaus Wowereit, ad essere una capitale vera e propria, meta preferita di imprese e investitori di tutto il mondo. Non c’è dubbio che la coalizione rosso-rosso-verde non abbia convinto, lasciando aperti troppi problemi, nonostante il suo bilancio non sia interamente negativo.

Il grande successo della Cdu è stato condizionato anche dalla necessità di ripetere le elezioni: il caos del 2021 non è stato perdonato alla Spd che ha sempre guidato il ministero degli interni cittadino ed è dunque politicamente responsabile, sebbene non ne abbia mai tratto conseguenze, di quel disastro. Il voto, dunque, cade in un contesto particolare che rende ulteriormente complicato una valutazione. 

Tuttavia, due cose potrebbero inquietare anche Olaf Scholz e la sua coalizione “semaforo”. Da un lato la debolezza della Fdp, che manca l’ingresso in parlamento, non è una buona notizia per il cancelliere federale. Nei prossimi mesi sono previste altre elezioni territoriali: Brema, Baviera e Assia, in particolare in questi ultimi due Bundesländer lo scenario per i liberali potrebbe essere nuovamente negativo, fatto che avrebbe un impatto anche sul governo federale.

Dall’altro la forza dei Conservatori. C’è da credere che a festeggiare sia proprio Friedrich Merz, il leader della Cdu: può offrire una coalizione ai Verdi nella capitale tedesca, proporsi come partner anche ai liberali che nella coalizione con Scholz stanno solo perdendo consensi. Se dovesse concretizzarsi il cambio di maggioranza al governo della capitale (e ripetiamo, la cosa è tutt’altro che scontata), Merz potrebbe guardare con più ottimismo al suo ingresso alla cancelleria federale nel 2025. O addirittura prima.

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