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Lunedì, 29 Aprile 2024

Osservatorio media

Filippo Mulazzi

Giornalista IlPiacenza

Il giornale che bastonava Berlusconi è diventato un agnellino

Si comprava “La Repubblica” per le sue firme di peso. Si ritagliavano Giorgio Bocca, Giampaolo Pansa, Vittorio Zucconi, Umberto Eco, Gianni Brera, Gianni Mura, Edmondo Berselli. I fatti separati dalle opinioni. C’erano gli uni e gli altri. A bizzeffe. C’era anche lui, il direttore Eugenio Scalfari, con la sua “messa cantata della domenica”, a guidare un’orchestra di tante primedonne del giornalismo che fornivano una lettura originale della società italiana.

Un giornale che poteva contare su proprietà forti, direzioni stabili (vent’anni Scalfari, vent’anni Ezio Mauro) e un ruolo - riconosciuto da tutti - di faro e guida del progressismo di casa nostra. Un quotidiano che orientava il popolo del centrosinistra, quando questo non era ancora stato inventato da Romano Prodi, Beniamino Andreatta e Arturo Parisi.

Nato nel 1976 da una costola de “L’Espresso”, ha modernizzato come nessun altro il giornalismo italiano, fino a quel momento ancorato a vecchi schemi. Partito da zero, ha guerreggiato con il “Corriere della Sera” per il primato di copie vendute, a colpi di marketing, inserti e novità editoriali.

Repubblica che scivola sulle bucce di banana

Certo, c’è ancora “L’amaca” di Michele Serra, ci sono le argute osservazioni di Natalia Aspesi, i ritratti dei campioni dello sport di Emanuela Audisio, i paralleli storici di Guido Crainz, i reportage di “slow journalism” di Paolo Rumiz, gli amarcord politici di Filippo Ceccarelli. Però “Rep.” ha perso gran parte della sua anima e ed è scivolato su diverse bucce di banana. La sensazione è che il giornale non riesca più a impaginare l’Italia. 

Sono stati anni tribolati, gli ultimi, per tutte le testate cartacee nazionali, alle prese con i cronici problemi del settore. Per Repubblica ancora di più: il crollo delle copie vendute, il “Corriere” che va in fuga solitaria, prepensionamenti, tagli. Il gruppo “L’Espresso-la Repubblica”, con il pacchetto di storici quotidiani locali, passa dalle mani di Carlo De Benedetti a quelle dei figli e poi scivola velocemente in quelle della famiglia Elkann-Agnelli.

Ecco il punto di non ritorno. Il matrimonio tra l’editore e la comunità di giornalisti e lettori non ha convinto fin dal primo momento. Il giornale che faceva le pulci e fustigava Silvio Berlusconi in ogni ambito della sua vita (politica, editoria, televisione, calcio, sfera personale) si è ritrovato a dover raccontare da una posizione scomoda i “guai” pubblici e privati di John Elkann, tra crisi dell’auto e fusioni con realtà straniere, vicende giudiziarie juventine ed eredità contese. I giornali della destra, nel mentre, picchiano duro insieme a “Il Fatto Quotidiano” di Marco Travaglio, gli altri accendono i riflettori e dedicano spazio. Rep. è costretta a giocare solo di rimessa, subendo anche lezioni di giornalismo dai concorrenti e qualche imbarazzo. 

L'imbarazzo per "Affari&Finanza": toccava da vicino Stellantis

Poi, la classica goccia che può far traboccare il vaso. Il numero dell’8 aprile scorso dell’inserto economico “Affari&Finanza” era in stampa quando la direzione ha intimato l’alt. Il classico «fermate le rotative» non è stato dato per uno scoop dell’ultimo minuto. Quando centomila copie dell’inserto erano fresche d’inchiostro ad asciugare, qualcuno si è accorto di un approfondimento sugli intrecci economici tra Francia e Italia, a firma di Giovanni Pons. L’articolo, probabilmente, toccava da vicino anche il gruppo “Stellantis”. Meglio sostituirlo con uno del vicedirettore Walter Galbiati, mantenendo lo stesso titolo. Apriti cielo. I giornalisti sono insorti, sfiduciando il direttore Maurizio Molinari e proclamando uno sciopero delle firme.

Disguido che non fa altro che avvalorare la tesi dei “nemici” e “delusi” di Rep. Il quotidiano sarebbe stato acquistato dalla famiglia Elkann per “accompagnare” l’uscita strategica e graduale della Fiat dall’Italia, con conseguente perdita di posti di lavoro. Ipotesi sempre smentita dall’amministratore delegato Stellantis, Carlos Tavares. Nella querelle, solo qualche settimana fa, sentito l’odore del sangue, s’inserì anche la premier Giorgia Meloni. Da tempo ci ha messo il becco Carlo Calenda: per il leader di “Azione” i media (progressisti) della famiglia Elkann servirebbero a coprire la fuga all’estero, tenendosi buono il centrosinistra, una volta molto sensibile alle crisi aziendali e alle perdite occupazionali. Se Stellantis abbandonerà l’Italia, lo si capirà con il tempo. Sicuramente i segnali non sono buoni.

La comunità di Rep., intanto, si sta sfaldando, insieme alla tiratura: quale altro quotidiano poteva contare, addirittura, su un gruppo di lettori feticisti, dal nome “Pazzo per Repubblica”, con un sito internet che segnalava i pezzi da incorniciare, gli editoriali più ficcanti, i refusi e le nuove firme del giornale. Si voleva bene al giornale come alla propria squadra di calcio. Hai voglia a celebrare lo spirito del fondatore, Eugenio Scalfari, detto “Barbapapà”, in ogni occasione. Si è disperso un patrimonio e non mi riferisco alle centomila copie inviate al macero.

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