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Domenica, 28 Aprile 2024

L'editoriale

Francesco Marino

Siete pronti a dire addio allo smartphone?

“Possono laser e intelligenza artificiale curare la nostra dipendenza da smartphone?”, si è chiesto in un articolo, qualche giorno fa, il New York Times. L’occasione è il lancio di un dispositivo che si chiama AI Pin, una sorta di spilla che fa alcune delle cose che il nostro cellulare è in grado di fare. Con un paio di differenze, piuttosto rilevanti. Uno, non ha uno schermo. Due, si comanda quasi esclusivamente con la voce.

AI Pin: inizia l’era post-smartphone

AI Pin, lanciato lo scorso 9 novembre, è il primo tentativo di immaginare un mondo post-smartphone. Lo produce una startup che si chiama Humane, guidata dagli ex Apple Imran Chaudhri e Bethany Bongiorno e finanziata tra gli altri da Sam Altman, il numero uno di OpenAI, l’azienda dietro ChatGPT. AI Pin è un dispositivo molto piccolo, una sorta di spilla che si aggancia ai vestiti e in grado di fare alcune delle cose che fa uno smartphone, come telefonare, inviare messaggi, connettersi alla rete, ascoltare musica. A essere diverse sono le modalità di interazione con la macchina. 

Con un tocco, si attiva un microfono: grazie all’intelligenza artificiale generativa GPT-4 di OpenAI, AI Pin è in grado di intrattenere conversazioni con l’utente, di fornire informazioni (non sempre corrette, come spesso capita all’IA) e rispondere a domande. Ha anche una fotocamera, per scattare foto (niente video, per ora) e ‘guardare’ e interpretare l’ambiente circostante. Può, ad esempio, dare informazioni nutrizionali inquadrando un pasto che si sta consumando, come nel video di presentazione. Non ha uno schermo, dicevamo: tuttavia, può proiettare informazioni sulla mano dell’utente. Per interagire, ci sono dei gesti, come quello del pizzicare, che consente di inviare messaggi o di passare alla canzone successiva.

Ha un sistema operativo basato su Android, Cosmos, e al momento non si possono installare app. Il 16 novembre iniziano le vendite: costerà 699 dollari negli Stati Uniti.

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La corsa allo smartphone del futuro

La sensazione, dalle recensioni e gli articoli di chi l’ha provato, è quella di essere di fronte a qualcosa di ancora embrionale. Un progetto di futuro, un’idea, che forse per le sue limitazioni ricorda il primo iPhone, senza applicazioni, senza la possibilità di registrare video. Ciò che è interessante, tuttavia, è la tendenza. Una tendenza che parte dall’esplosione dell’intelligenza artificiale generativa, con ChatGPT, per arrivare alla realizzazione di un dispositivo basato proprio su quella tecnologia, che sfrutti l’IA per cambiare le prospettive, per rendere apparentemente più naturali le nostre interazioni con i dispositivi digitali.

Humane è stata la prima, ma non è l’unica a lavorare in questa direzione. Qualche tempo fa, un’azienda che si chiama Rewind AI aveva svelato il Rewind Pendant, una collana digitale in grado di registrare l’audio di ogni conversazione e archiviarlo sullo smartphone. Obiettivo: avere un’intelligenza artificiale personalizzata sulla base di quanto l’utente ha visto o sentito nella sua vita quotidiana.

Rewind pendant

Ma in questa direzione sta andando anche Meta, che ha annunciato la presenza di un chatbot potenziato da IA nella nuova versione degli occhiali Ray-Ban Stories. E anche la stessa Open AI, che con ChatGPT ha dato il via all’hype sull’intelligenza artificiale generativa, starebbe pensando di realizzare un dispositivo dedicato in collaborazione con Jony Ive, il designer dietro iPhone, Mac e iPod, che da ormai oltre un anno ha interrotto ogni tipo di collaborazione con Apple. Al momento, si tratterebbe solo di chiacchierate conoscitive, senza alcun passo concreto se non la richiesta di un finanziamento da circa 1 miliardo di dollari a SoftBank.

È quello che molti chiamano ambient computing. Ovvero dispositivi (magari indossabili) in grado di vedere e interpretare lo spazio fisico in tempo reale, che possano rispondere a domande, elaborare immagini e aumentare lo spazio circostante grazie all’intelligenza artificiale. L'obiettivo finale è eliminare la sensazione di mediazione: scompare lo schermo, la tecnologia diventa un’estensione naturale dell’utente, completamente integrata all’interno dell’ambiente circostante. 

“L’essere umano non basta più a sé stesso, deve per forza possedere e usare un’estensione artificiale”, scrive in libro che si chiama Contro lo smartphone, Juan Carlos De Martin, condirettore del Centro Nexa su Internet e Società al Politecnico di Torino. 

Cosa succede quando questa estensione artificiale diventa impalpabile, parte integrante dello spazio fisico che abitiamo?

Siete pronti a dire addio allo smartphone?

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