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Domenica, 28 Aprile 2024

L'editoriale

Eva Elisabetta Zuccari

Giornalista

Il video di scuse di Chiara Ferragni, analizzato

L'obiettivo era arginare l'emorragia di consensi, ma non è proprio riuscito. Anzi. Il video di scuse pubblicato da Chiara Ferragni, multata nei giorni scorsi dall'Antitrust per promozione ingannevole di beneficenza, è stato interpretato dal pubblico perlopiù in chiave manipolatoria. Già pochi minuti dopo la condivisione del suo "atto di dolore" su Instagram infatti, persino il look sfoggiato dall'imprenditrice digitale è stato giudicato da più parti pretestuoso: il trucco leggero, il pigiama trasandato e quei capelli spettinati sono apparsi dettagli troppo lontani dalle borse da cinquemila euro a cui ci aveva abituato. Dettagli troppo dichiaratamente votati a suscitare empatia, a ostentare una forzata autenticità. Una chiara strategia d'immagine che persino i follower hanno imparato a riconoscere, divertendosi ormai più a sgamarne i meccanismi, piuttosto che a seguire le scorribande dell'influencer.

E questo è un problema, visto che proprio di immagine vive Ferragni. È come veder svelato il trucco di un mago: è come se le avessero tolto la bacchetta.

Il fine giustifica l'abito 

Se fino a ieri Chiara Ferragni indossava in maniera sistematica i pigiami del brand "Chiara Ferragni", monetizzando anche l'ultimo spicchio d'attenzione sul suo quotidiano prima di andare a dormire, questa volta l'imprenditrice si spoglia delle sue stesse pretese economiche in favore di un pigiamino francescano (ma pur sempre in cachemire, ha fatto notare il nostro Fabio Salamida in redazione, ndr). Perché l'abito fa ancora il monaco, soprattutto quando è strumentale alla diffusione di un messaggio. Una liturgia estetica che -  leggera solo in apparenza e sempre diversa a seconda dei casi - abbiamo curiosamente visto replicarsi più volte negli ultimi mesi mediatici: una candida camicia bianca ha permesso a Ilary Blasi e Belen Rodriguez di prendere le distanze dalla promiscuità dei rispettivi mariti, mentre li accusavano di tradimento in diretta televisiva; una camicia bianca è stata ancora la scelta di William e Kate, per se stessi e per i figli, nell'ultima foto ritratto della royal family, a voler soffiare via la polvere dall'immagine rafferma della corona inglese in favore di un posizionamento decisamente più fluido, più unisex, più moderno. 

Il primo riferimento? Ai figli

A proposito di figli. Colpisce che tra i primissimi riferimenti pronunciati da Chiara in quel discorso - studiato per chissà quante ore e passato per chissà quante mani, legali e non - ci siano proprio i figli Vittoria e Leone, rispettivamente 2 e 5 anni ("Sono sempre stata convinta che chi è più fortunato ha la responsabilità morale di fare del bene. E questo è quello che insegniamo ai nostri figli, gli insegniamo anche che si può sbagliare e quando capita bisogna ammettere, e se possibile rimediare, all'errore fatto e farne tesoro", ha detto). Chiara comincia da loro, seppure da molto tempo venga ormai accusata di strumentalizzarne l'immagine senza consenso o rispetto per la privacy. Del resto, che la narrazione della vita familiare avvicini le star milionarie alla cosiddetta "gente comune", accorciando le distanze e l'invidia sociale, è il fondamento dell'intero mondo del pettegolezzo: sono proprio i video dei bambini, quelli che hanno un tasso di coinvolgimento più alto sui profili dei Ferragnez. Un po' come quel "lo dico da papà" con cui Matteo Salvini anticipa le dichiarazioni più disparate, in un tentativo di flirt opportunista con l'elettorato.

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Le vittime sono gli eroi del nostro tempo

Tornando all'aspetto forzatamente dimesso - e senza per questo voler mettere in discussione un dolore che sono certa esista, più che altro perché Ferragni si sta giocando l'intera credibilità professionale - a tornarmi in mente è stato però anche un passaggio di "Critica della vittima", pamphlet di Daniele Giglioli che indaga le vittime come eroi del nostro tempo. "Essere vittime  - dice lo scrittore, docente di Letterature Comparate all’Università di Bergamo - impone ascolto. La vittima è per antonomasia quella che deve essere compresa. Nel momento in cui qualcuno viene definito vittima da chi ha il potere di conferirgli questo ruolo, oppure nel momento in cui si autodefinisce tale, è come se gli venisse riconosciuto uno status sociale, quello di chi ha subito. E per questo non può essere messo in discussione. Di fatto è un portatore di verità". E di fatto parecchi influencer hanno pianto a favore di telecamera negli ultimi tempi, attirandosi critiche di dubbia veridicità.

Impossibile infatti non notare un deciso cambio di rotta rispetto alla prima reazione alla multa avuta da Chiara giorni fa, quando si era unicamente limitata a protestare asserendo che avrebbe impugnato la sentenza. La seconda reazione dell'imprenditrice è una voce rotta dal pianto, ma solo dopo tre giorni di silenzio.

"Il danno reputazionale calcolato dal team Ferragni? Forse cinque milioni"

Oggi c'è chi elogia il coraggio che Chiara avrebbe avuto nel chiedere scusa e chi, dall'altra parte, sostiene invece che l'ammissione di colpa fosse l'unico modo per arginare una crisi d'immagine. Tra questi ultimi, c'è chi sottolinea che le scuse sarebbero dovute arrivare anche prima della multa, visto che il procedimento andava avanti da un anno. Infine, c'è chi fa notare che quell' "avrei potuto vigilare meglio", pronunciato verso la fine del video, suona come un parziale scarico di responsabilità su chissà quale figura manageriale interna all'azienda. 

Fatto sta che Ferragni decide di donare un milione di euro al Regina Margherita di Torino, ospedale a cui era originariamente legato il progetto benefico. E che, a questa cifra, aggiungerà la differenza tra la multa emessa dall'Antitrust e quella che le sarà inflitta dopo il suo ricorso al Tar. Una manovra riparatrice che Massimiliano Dona, presidente di Consumatori.it, sostiene possa aiutarci a calcolare che "il danno reputazionale secondo il team della Ferragni può essere stato già stimato almeno nella misura doppia, quattro milioni di euro e forse cinque". In tutto questo, gli utili di Ferragni sono di ben 10 milioni di euro, come rivelato da un'inchiesta di MilanoToday.

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L'annus horribilis dei Ferragnez

Si conclude così l'annus horribilis dei Ferragnez. Dopo le critiche subite a Sanremo e la crisi di coppia col marito Fedez - quest'ultimo al centro dello scandalo per aver mimato atti sessuali in diretta televisiva - l'imprenditrice stava risollevando la sua immagine grazie alla serenità familiare ritrovata e nuovamente instagrammabile, oltre che con un docufilm uscito su Prime Video, inevitabilmente agiografico. Non è un caso che per l'intera durata della pellicola non si facesse alcuna menzione alle critiche ricevute dopo il monologo portato dall'imprenditrice all'Ariston, da molti definito approssimativo e autoreferenziale, da qualcuno in sala stampa persino un "temino di terza media". Un temino che su Today avevamo difeso: il messaggio femminista recitato sul palco da Ferragni, seppure scontato nella forma, era arrivato nella sostanza a milioni di bambine. Poco contava il resto, poco contava se quelle parole non erano inanellate tra loro in un encomiabile esercizio di scrittura. Tutto era funzionale alla "banalità del bene", come disse la giornalista Serena Bortone.

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Ed è per questo che stavolta il rischio di rimetterci l'immagine è più grosso che mai: perché negli anni Chiara si è eretta a modello di moralità su questioni sociali, su tutti i diritti civili e la parità di genere. Battaglie che rischiano di essere buttate al macero nella loro credibilità: in gioco c'è l'intera mission del suo personaggio. "Da oggi separerò beneficenza e accordi commerciali" assicura, correggendo il tiro di un team manageriale giovane che, dopo aver inventato un mestiere diabolicamente geniale, ovvero quello dell'influencer, è caduto nel suo primo grande errore, avvicinandosi troppo al sole della sfrontatezza. E confermando ancora una volta quanto gli influencer siano inadatti a fare gli intellettuali. Soprattutto se stipendiati. 

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