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Lunedì, 29 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Il Trionfo della Megalopoli Tentacolare

C’è una poesia di Edgar Allan Poe, che, nel classico stile di quell’autore guida da una prospettiva salda sulla realtà, attraverso un crescente sgomento, fino all’orrore e a uno strisciante irrazionale panico. Si intitola «Il Verme Trionfante» e si apre descrivendo la rappresentazione di un dramma sul palcoscenico, in cui via via si insinua però qualcosa di strisciante viscido insidioso, sino a farci comprendere che quella non è affatto una rappresentazione drammatica, ma la nostra stessa esistenza, e l’inquietante essere arrivato a disturbarla ci sta spazzando via. A metà del XIX secolo, lo scrittore americano pensava soprattutto all’avanzata travolgente del progresso tecnologico, nonché di chi su quel progresso speculava spietatamente, azzerando qualunque altra aspirazione individuale e collettiva. Oggi però considerazioni simili si possono tranquillamente applicare anche a categorie diciamo così un po’ più circoscritte e tangibili: il rapporto fra città e campagna, per esempio, così come emerge dalla nostra Expo 2015 che ad esso si ispira esplicitamente.

Un noto e prestigioso critico di architettura, per esempio, commentando l’organizzazione spaziale del sito espositivo sembra far di tutto per recitare coerentemente la parte che gli è stata assegnata da Edgar Allan Poe: assiste allo spettacolo, ma non coglie affatto la presenza strisciante, né il fatto di essere un protagonista del dramma. Dice pomposo, il nostro critico, ah quante belle architetture griffate, che sarebbero magnifiche ma purtroppo sono obnubilate dalla megastruttura dentro la quale si posano. Colpisce, senza dubbio, che il critico non si accorga di quel che un paio di generazioni fa sarebbe stato lampante per qualunque suo collega: quegli oggettini leziosi e fantasiosi che sono i padiglioni, sono solo chioschi o cassetti intercambiabili dentro il mega-shopping-mall suburbano che il Bureau International des Expositions ha praticamente imposto come modello. Insomma è quella lì, la vera architettura a cui guardare, e forse da quella prospettiva di osservazione si può cogliere meglio il resto, il vero «Verme Trionfante» che avanza strisciando.

Perché il mega-shopping-mall, come pure avrebbe capito al volo un architetto-urbanista di un paio di generazioni fa, esiste solo in quanto co-protagonista del dramma detto suburbanizzazione infinita, o sprawl: la frontiera della città che avanza implacabile, tritando sotto di sé ogni parvenza di ambiente e risorse naturali, nell’assurda convinzione che si possa andare avanti così all’infinito. Ma come, viene da chiedersi, proprio Expo, che dovrebbe ispirarsi a un equilibrio fra produzione e conservazione, fra città e campagna, fra ciò che ci dà da mangiare e il nostro baloccarci con altre meno impellenti faccende? Proprio così: dentro ai convegni tematici magari si parla di agricoltura, di sostenibilità, di resilienza, di chilometro zero, ma fuori, e proprio con la scusa del sito espositivo e dei leziosi padiglioni della fiera alimentare, si sta insediando il verme trionfante della ragnatela autostradale e dei suoi nodi e intrecci. La stessa ragnatela autostradale che porterà poi, ineffabilmente come ha sempre fatto, nuovi edifici (semplicemente dichiarando obsoleti quelli vecchi, e lasciandoli a languire vuoti) sparsi per il territorio, sopra gli ex campi agricoli, che non saranno più coltivati, ma lasciati lì ad aspettare che arrivi un costruttore di villette o capannoni ad aumentarne il valore di scambio. Queste storie, ce le ha raccontate per esempio un altro scrittore, Giorgio Falco, nel suo «L’Ubicazione del Bene». Ma non è un’altra storia, come si conclude letterariamente di solito: è la nostra vita, e meglio faremmo ad accorgercene, e evitare un finale a sorpresa. A sorpresa per gli scemi che non sanno guardare, ovviamente.

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