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Domenica, 28 Aprile 2024
L'intervista

Lobby d'Italia: il patto con la politica rende tutto lecito

"Lo scandalo del Qatargate non sarebbe mai stato scoperto in Italia": Federico Anghelé, direttore di The Good Lobby, spiega i paradossi del nostro Paese e come si potrebbe rendere più trasparente il processo di influenza delle scelte politiche

Se l'Italia vuole davvero combattere il traffico delle influenze illecite, deve prima regolare quello di quelle lecite, approvando normative chiare e organiche sui conflitti di interessi e l’attività di lobby. In assenza di una legislazione in materia nel nostro Paese scandali come quello del Qatargate non potrebbero mai essere scoperti. "In Italia sulla trasparenza dei processi decisionali siamo veramente all'anno zero", ci dice Federico Anghelé, direttore di The Good Lobby Italia, associazione che si batte per rendere più responsabile il lobbismo aziendale e perché si dia più voce alle organizzazioni della società civile. In Italia il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, avrebbe voluto abolire del tutto il reato di traffico di influenze illecite, anche se alla fine dopo forti polemiche e pressioni ha deciso di mantenerlo seppur depotenziandolo, sostenendo che "non si capisce il reato che descrive".

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E per Anghelé è proprio questo il punto, ma a suo avviso la risposta non deve essere abolire il reato, ma definire meglio quali influenze sono lecite, in modo da poter poi scoprire e punire le illecite. "È paradossale che con la riforma Nordio si pensi di riformare il traffico di influenze illecite (che definisce cosa è patologico nel rapporto tra stakeholder e decisori pubblici) senza aver mai definito cosa è invece legittimo. Per questo nei processi per traffico di influenze non si arriva a una sentenza definitiva di condanna, perché le corti ripetutamente, e questo lo ha ribadito anche quella Cassazione, hanno chiesto al legislatore di definire meglio cosa è lecito, quali sono i perimetri in cui chi vuole influenzare le decisioni politiche può muoversi". Il lobbismo non gode di un'ottima reputazione, ed è considerato da molti un'attività tutt'altro che nobile. Di fatto dovrebbe essere una maniera come un'altra per permettere a tutti, dai cittadini, alle imprese, alle associazioni e alle organizzazioni più disparate, di provare a influenzare la politica a prendere le decisioni più giuste. Il problema è che nei fatti sono soprattutto le grandi imprese ad avere un potere di lobby fortissimo, mentre le organizzazioni della società civile quasi nullo.

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Per questo servirebbero leggi che regolino non solo la pratica, ma assicurino anche trasparenza. Secondo Anghelé "uno dei problemi principali sono le asimmetrie nell'accesso. E così per esempio può succedere che una grande multinazionale dei combustibili fossili vengo ascoltata in maniera proattiva, mentre una piccola azienda di energie sostenibili non riesca a far sentire la propria voce, e nemmeno una Ong che prova a portare avanti gli interessi generali. Per questo serve una legge che regoli l'attività". A Bruxelles lo scandalo del Qatargate, che ha scoperchiato la corruzione che avveniva al Parlamento europeo per influenzare le decisioni dei deputati, è stato scoperto anche grazie al fatto che sia nell'Aula comunitaria che in Belgio esistono norme specifiche che definiscono cosa è lecito e cosa no nei tentativi di influenzare le decisioni politiche. "Il Qatargate è una cosa che da noi potrebbe accadere tranquillamente senza essere scoperto. Lì è stato smascherato grazie a regole assolutamente porose, ma che rispetto alle quelle italiane sono fenomenali. Certo lì si parla di corruzione, ma questa corruzione è emersa anche grazie alla scoperta di incongruenze nel registro della trasparenza".

Uno degli strumenti chiave per mostrare quanto le attività di lobby hanno influenzato la politica sarebbe il 'legislative footprint', un registro pubblico completo dell'influenza che i lobbisti hanno avuto su un provvedimento legislativo, una cosa che esiste al momento, seppur in maniera volontaria, al Parlamento europeo. L'Italia è comunque lontana anni luce dall'arrivare a riforme come questa, e lo scorso anno una legge sulla regolamentazione delle attività di lobby si è bloccata al Senato dopo l'approvazione alla Camera. Ora il governo di Giorgia Meloni ha deciso di ricominciare da capo lanciando un’indagine conoscitiva alla Commissione Affari Costituzionali. "Cosa ancora c'è da conoscere ancora non è chiaro, comunque è già positivo che almeno sia stata lanciata una indagine conoscitiva, considerando che al governo c'è una maggioranza poco sensibile sul tema", dice Anghelé provando a vedere il bicchiere mezzo pieno.

E un'altra cosa di cui ci sarebbe bisogno a suo avviso nel nostro Paese, per combattere le influenze illecite, sarebbe una maggiore trasparenza sui finanziamenti ai partiti. "I dati ci sono ma sono sparsi in siti diversi e in formati difficili da analizzare. Alcuni sono sul sito del Parlamento, altri su quelli dei partiti, altri ancora su quelli delle loro sezioni locali, è un ginepraio. Serve invece un ecosistema di trasparenza che sia chiaro e funzionante. Servirebbe una piattaforma come c'è anche in altri Paesi, in cui sia ben chiaro chi fa donazioni alla politica e questi dati si dovrebbero incrociare con quelli di chi ha svolto attività di lobby".

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