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Lunedì, 29 Aprile 2024

La recensione

Giulio Zoppello

Giornalista

Manhunt su Apple Tv+ è la perfetta combinazione di thriller e film storico

Manhunt conferma che sul piccolo schermo Apple Tv+ risponde colpo su colpo alla concorrenza, offrendo anche qui una serie di qualità altissima in ogni comparto. Al centro, l'assassinio del Presidente Abraham Lincoln e la caccia che si scatenò in tutto il paese per mettere le mani sull'attentatore, John Wilkes Booth, ma ben presto la serie diventa un mix potente tra il genere spionistico e la rievocazione storica di una delle fasi più controvers e delicate della politica e della storia americane. Un prodotto di altissimo livello e che gli amanti di entrambi i generi non possono assolutamente perdersi.

Manhunt - la trama

Manhunt ha come principale protagonista l'allora Segretario della Guerra Edwin Stanton (Tobias Menzies). La Guerra di Secessione volge al termine, le forze dell'Unione ormai hanno vinto, il Generale Lee è in procinto di arrendersi a Appomattox, e il Presidente Lincoln (Hamish Linklater) si reca la sera del 14 aprile al Ford's Theatre di Washington assieme alla moglie Mary (Lili Taylor) per assistere ad una commedia. Sarà lì che l'attore e simpatizzante sudista John Wilkes Booth (Anthony Boyle) lo ucciderà e poi si darà fortunosamente alla fuga. Stanton si mette immediatamente sulle tracce di Booth, intuisce che c'è un disegno più grande e misterioso dietro l'attentato, che quell'attore, narcisista e squilibrato, non può aver agito da solo. Intanto però il nuovo Presidente Andrew Johnson (Glenn Morshower) non fa nulla per mettere sotto processo i vertici dellla fu Confederazione, così come di rispettare il disegno politico di emancipazione per gli afroamericani.

Tra misteri, doppio gioco, tradimenti, in un paese diviso e insanguinato, Stanton si troverà a fare da ago della bilancia in uno dei momenti più drammatici della storia americana. Manhunt, creata da Monica Beletsky, è tratta dal libro di James L. Swanson, "Manhunt: The 12-Day Chase for Lincoln's Killer", ed è una serie che per grandiosità e meticolosità della rievocazione storica se la gioca con le più grandi produzioni hollywoodiane. Allargando lo sguardo oltre le maestranze (costumi e scenografie sono pazzeschi), anche la regia, così come la struttura narrativa, sono di primissimo ordine, al netto di una complessità che è quasi naturale aspettarsi in un racconto complottista e di spionaggio di questa portata e ambizione. Non possiamo fidarci di nessuno, Stanton in particolare a mano a mano che procede nelle sue indagini, si rende conto che nell'ombra ci sono molti più nemici di quanti pensasse. 

Manhunt ci porta di fronte a veri personaggi e eventi della storia americana, lo sguardo magari eccede talvolta per la modernità in qualche momento, ma è un viaggio straordinario dentro la complessità dello scacchiere politico e sociale di un paese in cui passato e futuro collidono. Non si nega neppure la possibilità di andare più verso il basso, mostrarci il punto di vista della gente comune, in particolare degli afroamericani, ancora ritenuti cittadini di serie B, così come di farci sentire l'incertezza e il dolore di una nazione che si trovò orfana dell'uomo che l'aveva portata alla vittoria contro lo schiavismo. In questo, la serie diventa anche operazione di memoria storica e racconto civile, nel ricordarci come e perché gli Stati Uniti non siano mai riusciti a superare quella Guerra e la divisione che portò.

I misteri e i drammi dietro un momento spartiacque

Manhunt è quindi anche narrazione politica? Si. Lo è senza remore, ma evita la retorica, evita il paternalismo, abbraccia una freddezza e severità di sguardo che diventa impietosa. Tuttavia l'aspetto più positivo è come ad una struttura diegetica così complessa, in cui frequenti sono i flashback, utilizzati in modo creativo e imprevedibile, la caratterizzazione dei personaggi rimanga di primissimo livello. Tobias Menzies, lanciato definitivamente grazie a The Crown, assomiglia poco fisicamente al vero Stanton, è una sorta di mix tra un Sherlock Holmes e un Jim Garrison di Oliver Stone. Risulta però credibilissimo per la fragilità, i dubbi, l'impotenza che spesso esprime. Ma Manhunt non infioretta la storia, ed allora ecco che i cospiratori, senza distinzione di età o sesso, vengono torturati, affamati, minacciati da Stanton.

Anthony Boyle, già visto in Masters of the Air recentemente, domina con il suo Booth. Vanaglorioso, ridicolo nel suo infantilismo politico, è la punta di lancia di un complotto che de secoli affascina e ha dato il via a innumeravoli teorie. Guardare questa serie non può non far venire in mente anche il sottovalutato The Conspirator con cui Robert Redford nel 2010 ci illuminò sul processo ai congiurati, così come Lincoln di Spielberg, vista la volontà di renderci edotti anche sulla complicata politica di quel periodo. Alto e basso, veloce e lento, si danno il cambio continuamente, in un racconto che è anche appassionante per chi ama lo spionaggio classico, visto che ci porta dentro i Servizi Segreti dell'epoca, non meno insidiosi e pericolosamente ambigui di quanto lo siano quelli dei nostri giorni.

Manhunt regge il confronto con altre grandi serie uscite recentemente, come Shogun o The New Look. Dalla sua ha anche una forza innovatrice non da nulla, non solo per la commistione di genere che abbraccia, ma anche per come sa mostrarci qualcosa di nuovo su un periodo storico che è stato trattato in lungo e in largo della settima arte. Meno aulico e intimista rispetto a ciò che Taylor Sheridan ci ha donato in questi anni sullo stesso periodo storico, Manhunt è però più adatta ad un pubblico generalista, al netto della già citata atipicità di natura. Difficile prevedere se e quanto questa serie potrà giocarsela per i premi più ambiti, ma certo conferma quanto Apple Tv+ al momento nel campo della serialità sia anni luce dalle concorrenti, con la sua capacità di garantire una qualità costante, di alzare costantemente l'asticella. 

Voto: 9

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