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Domenica, 28 Aprile 2024

Il commento

Fabio Salamida

Giornalista

Secondo me qualcosa ai funerali di Berlusconi è andato storto

Ci hanno provato usando tutti i mezzi che il potere ha messo loro a disposizione: il funerale di Stato, la giornata di lutto nazionale, una propaganda a reti unificate da far impallidire la Corea del Nord. I nuovi leader della destra, che di Silvio Berlusconi sono la progenie politica, hanno cercato in tutti i modi di trasformare il suo funerale in una grande manifestazione di piazza, in una parata celebrativa del loro popolo che facesse da contraltare agli antichi funerali dei nemici di sempre, in particolare a quello del 13 giugno del 1984, quando oltre un milione e mezzo di persone attraversarono Roma per rendere omaggio a Enrico Berlinguer, ultimo grande leader della sinistra italiana, ancora oggi rimpianto.

Altri tempi, altre carature, altra partecipazione del popolo alla vita pubblica: nel 1983 l’affluenza alle elezioni politiche era all’89%, il 25 settembre scorso gli aventi diritto che si sono recati alle urne sono stati appena il 63,7%. Replicare quelle immagini di commozione diffusa sarebbe stato impossibile per tutti, ma la data del 14 giugno 2023 difficilmente resterà nella memoria collettiva più di una partita di calcio di fine stagione a classifica già decisa.

Il parere opposto: e ancora vi chiedete chi l'ha votato?

Una piazza senza popolo

Si potrebbe iniziare dalla fine, con i turisti e i supporter che staccano pezzi dalle corone di fiori lasciate abbandonate sul sagrato del Duomo di Milano; una vorace ricerca del souvenir da “rubare” e portare a casa che sembra quasi un grottesco contrappasso. Ci sono quelle dell’Inter, della Roma, della Regione Lazio, di Belen Rodriguez: la calca e la fauna ricordano le corse ai buffet di quei matrimoni con mille invitati, quelli con gli sposi che arrivano su carrozze bianche dotate di casse e subwoofer sulle note delle canzoni di cantanti neomelodici. E quei fiori strappati dalle ghirlande perdono di colpo la loro funzione di omaggio di facciata e acquistano quella delle ovoline di bufala lasciate lì a ridosso della data di scadenza, delle cascate di prosciutto di montagna un po’ rancido. Un imprenditore di Treviso promette che farà seccare i fiori e costruirà una specie di altarino con la foto del leader scomparso: la voglia di scoprire le altre meraviglie che potrebbe nascondere la sua dimora a quel punto diventa quasi irrefrenabile.

Sulla piazza allestita con maxischermi arrivano in quindicimila scarsi e tra loro spiccano le tifoserie del Milan e del Monza; salutano il presidente di tante vittorie, il magnate visionario che immaginava pullman carichi di meretricio per motivare i calciatori: per omaggiarlo cantano “chi non salta comunista è”. C’è la giornalista del Tg5 si commuove in diretta. C’è Antonio Razzi che propone il suo ricordo più nitido, o forse il più confessabile: “Grande maestro di stile, mi ha “imparato” un’altra cosa: io andavo sempre con la giacca aperto (non è un refuso…) e lui mi disse di chiuderla per non far vedere la pancia”. C’è una giovane in abiti provocanti mostra le sue grazie e un cartello con la scritta “Presidente questo è per te”.

Pesa un grande assente, quel popolo invocato ai quattro venti che non si è presentato, perché il rapporto sentimentale il defunto leader si era già rotto da tempo. Perché al netto del normale interesse di tutto il Paese per la scomparsa di un uomo che come imprenditore e politico ha condizionato trent’anni di storia recente, le folle che lo avevano acclamato sono ormai disperse e inseguono altri pifferai. E persino il collante dell’anticomunismo non tiene più, perché anche avventori più politicizzati della curva B dello Stadio Meazza sanno che quell’ideologia è morta e sepolta da tempo.

Pochi capi di Stato, una fredda omelia

Qualcuno alla vigilia si aspettava una folta presenza di autorità straniere del presente e del passato, ma anche questa previsione si è rivelata infondata: Assente, per ovvii motivi, l’amico Vladimir Putin, su cui pesa un mandato di arresto della Corte Penale Internazionale; non ci sono gli ex potenti del mondo che con Berlusconi condivisero incontri politici e momenti di vita privata come l’ex presidente spagnolo José Maria Aznar, quello degli USA George W. Bush, il britannico Tony Blair e il francese Nicolas Sarcozy: per la Francia, Macron ha delegato l’ambasciatore a Roma. Non c’è, come prevedibile, Angela Merkel: su quel presunto giudizio dell’ex Cavaliere sulle sue terga si fece molta letteratura. E così, tra i capi di Stato e di Governo stranieri, spicca la presenza del premier ungherese Viktor Orban, che siede con Alessandro Scarano e Adele Tonnini, capitani reggenti di San Marino, l’emiro del Qatar Tamim bin Ḥamad al-Thani e il presidente iracheno Abdul Latif Rashid.

Asettica quanto inattaccabile l’omelia di monsignor Mario Delpini: l’arcivescovo di Milano ha ricordato l’uomo, l’imprenditore e il politico in una biografia che non ha lasciato spazio alle celebrazioni ma che in alcuni passaggi ha persino evocato con estrema grazia ed eleganza i lati oscuri del personaggio, che aveva “oppositori e sostenitori”, che voleva “essere contento e amare le feste. Godere il bello della vita. Essere contento senza troppi pensieri e senza troppe inquietudini”. Insomma, l’alto prelato sembra aver delegato ai “piani superiori” il giudizio finale sulla vita dello storico leader della destra italiana. Da quelle parti, stando a quel che dicono le sacre scritture, non c’è il “legittimo impedimento”.

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