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Sabato, 27 Aprile 2024

Fabio Salamida

Giornalista

La destra è minoranza nel Paese ma Conte e Calenda devono parlarsi

Le elezioni in Sardegna ci hanno ribadito qualcosa che in fondo già sapevamo: la destra guidata da Giorgia Meloni non è imbattibile. Che la coalizione che oggi è alla guida del Paese sia solo la più organizzata delle minoranze era chiaro già la sera del 25 settembre del 2022, giorno del trionfo elettorale delle destre. Un trionfo facilitato dalla frammentazione delle opposizioni, che si sono presentate a quell'appuntamento divise e oltremodo litigiose, anche a causa della fine prematura del governo Draghi. Una frammentazione che ha danneggiato e danneggia la vera maggioranza degli italiani. 

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Il fatto nuovo è che in Sardegna, per circa duemila voti, le divisioni del centrosinistra non sono bastate a far perdere Alessandra Todde: la candidata del "campo largo" formato da Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi Sinistra, è infatti riuscita a imporsi malgrado la "candidatura di disturbo" dell'ex presidente Renato Soru, sostenuto da una serie di liste civiche e da un'insolita convergenza tra Azione di Carlo Calenda e Rifondazione Comunista (sì, esiste ancora). In politica le somme algebriche non valgono mai, ma è abbastanza evidente che quei 63 mila voti presi da Soru - voti dispersi, che non hanno eletto neanche un consigliere regionale per via della legge elettorale - avrebbero contribuito a una vittoria decisamente più agevole di Todde.

L'apertura di Calenda e la "gaffe" di Conte

Carlo Calenda, incalzato sull'argomento, ha dovuto ammettere: "Alle regionali correre da soli, pur con un progetto come è successo in Sardegna e in Lombardia con Letizia Moratti, non è fattibile. E non lo faremo più - ha spiegato - nonostante l'8 per cento in Sardegna e il 10 per cento in Lombardia non siano da buttare. Anche per questo in Abruzzo siamo all'interno di una coalizione larga, con un candidato di grande competenza, per il quale ci stiamo spendendo molto. Stiamo facendo un ragionamento anche in Basilicata, solo che lì non si capisce niente. Alle regionali è impossibile fare altrimenti. Certo, non a tutti i costi".

Una tiepida apertura, quella del leader di Azione, a future alleanze in altre regioni: se lo "schema Abruzzo" il prossimo 10 marzo dovesse portare buoni frutti e il centrosinistra riuscisse a far saltare il meloniano Marco Marsilio, lasciando la premier senza neanche un presidente di Regione del suo partito, trovare una sintesi diventerebbe quasi una priorità per tutte le opposizioni. Non è mistero che la leader del Partito Democratico, Elly Schlein, stia lavorando sin dal suo arrivo al Nazareno sul progetto di un'alleanza strutturale dei partiti che formarono il "governo Covid", al secolo "governo Conte 2". Un progetto fino a ieri reso quasi impossibile dal veto di Matteo Renzi; ma quella di leader di Italia Viva è ormai una presenza quasi irrilevante e lo diventerà ancor di più se dovesse concretizzarsi l'alleanza tra Azione e +Europa alle prossime elezioni europee. Calenda, dal canto suo, per ora frena su un'alleanza che vada oltre le elezioni locali, ma al momento l'argomento non è all'ordine del giorno. Forse lo diventerà dopo le europee. 

Ora Calenda apre al "campo largo" (e anche al dialogo con Conte)

L'altro attore della commedia è Giuseppe Conte, che in Sardegna ha incassato la prima presidente di regione della storia del Movimento 5 Stelle. A lui si imputa il fatto di essere disponibile ad allearsi solo quando la candidata o il candidato è roba sua, al massimo se è un civico. È il motivo degli attriti con il il Partito Democratico, che in Piemonte voleva candidare la deputata Chiara Gribaudo, ma ha trovato il muro dell'ex sindaca di Torino, Chiara Appendino. I pentastellati sono anche molto rigidi su diverse posizioni (vedi il termovalorizzatore a Roma), ma nelle ultime settimane sembrano decisamente più propensi al dialogo con i dem, soprattutto dopo il recente sfogo di Elly Schlein, che ha lamentato un eccessivo "fuoco amico" ai danni del Pd. Conte è stato bacchettato anche da Calenda per una "gaffe": il leader M5S ha dichiarato che in Abruzzo né Azione né Italia Viva sono nella coalizione che sostiene il candidato del "campo largo" e rettore dell'università di Teramo, Luciano D'Amico, ma il leader di Azione lo ha smentito mostrando su X i loghi dei due partiti con l'apparentamento al candidato. Con l'occasione ha lanciato una frecciata all'ex alleato Matteo Renzi, autore di una dichiarazione analoga. 

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I due leader che dovrebbero parlarsi

È ormai chiaro anche a un bambino che per costruire un'alleanza competitiva che possa aspirare davvero a battere le destre, Carlo Calenda e Giuseppe Conte debbano trovare il modo di parlarsi: il primo dovrebbe lasciare a Renzi e ai suoi pochi intimi le fantasie su un "grande centro" che non esiste, il secondo dovrebbe imparare a giocare un po' più per la squadra e un po' meno per vincere la classifica dei cannonieri. Non farlo condannerebbe inesorabilmente la maggioranza degli italiani a essere governati da una minoranza. Una minoranza che continuerebbe a farsi forte di quel "combinato disposto" tra taglio dei parlamentari e legge elettorale che le garantisce dei numeri, nei due rami del Parlamento, sproporzionati rispetto al suo reale consenso nel Paese. Ci trovassimo ancora nella Seconda Repubblica, tutto si risolverebbe davanti a una crostata o un risotto, o magari a piazza Montecitorio, davanti a una pajata: chissà che non si torni a quelle sane contaminazioni tra gastronomia e politica.

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