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Sabato, 27 Aprile 2024

L'editoriale

Roberta Marchetti

Giornalista

Sono riusciti a fare polemica anche per il funerale di Giulia Cecchettin

Morire a 22 anni, ammazzata dal tuo ex fidanzato a cui non negavi la possibilità di continuare a frequentarti perché preoccupata per lui. Seppellire tua figlia che non ha fatto in tempo a vivere il giorno della sua laurea, quando sarebbe arrivato per lei il tanto atteso momento per spiccare il volo e andarsi a prendere il futuro che sognava. Dire addio a tua sorella, che mai avresti immaginato ti avrebbe lasciato così presto. Da quel sabato 18 novembre - quando, dopo giorni di ricerche, il corpo senza vita di Giulia Cecchettin venne trovato in un canalone del lago di Barcis, in provincia di Pordenone - insieme all'orrore e al dolore per quanto accaduto, si è diffusa un'empatia forse senza precedenti nei confronti dei protagonisti di questa terribile storia. Ci siamo sentiti e ci sentiamo tutti Giulia, suo papà Gino, sua sorella Elena. La morte di Giulia - la 105esima donna uccisa dall'inizio dell'anno, a cui ne sono seguite altre 2 - ha risvegliato prepotentemente una coscienza collettiva sopita da tempo. In questo l'attenzione mediatica ha avuto il suo peso, mossa certamente anche dagli accattivanti contorni noir della vicenda, ma a provare a trasformare l'omicidio di Giulia in qualcosa di socialmente utile, in seme fertile per un profondo cambiamento culturale che tolga la donna da una posizione di svantaggio e sudditanza con cui ancora troppo spesso si trova a fare i conti, è stata fin da subito la famiglia della ragazza uccisa. Per questo non hanno alcun senso le polemiche sulla decisione di trasmettere i funerali in diretta tv. 

Il manuale del lutto

La storia recente - e social - ci insegna che c'è un patetico manuale del lutto. Un vademecum da sfogliare in occasione di una perdita, soprattutto se pubblica, per non farsi trovare impreparati dallo sguardo attento e giudicante degli autori, pronti a screenshottare, con rigoroso cerchio rosso, ogni lacrima mancata o uscita fuori luogo - magari troppo lucida o troppo poco affranta - come ad esempio il comportamento di nonna Carla, che nel giorno in cui si stava eseguendo l'autopsia sul cadavere della nipote si è 'permessa' di presentare il suo ultimo libro, oppure le parole di Elena Cecchettin, che ha addirittura chiamato in causa il patriarcato - scatenando un infervorato dibattito tuttora in corso - invece di limitarsi a prendersela con l'assassino della sorella maggiore. Insomma, non si fa. Cosa si fa e non si fa lo decidono sempre loro, gli autori del libro nero, quelli che hanno passato giorni a esaminare il corportamento dei familiari di Giulia, scandalizzati per l'autocontrollo di nonna Carla, indignati per il presenzialismo della sorella Elena in tv. Gli stessi che ieri, davanti alla diretta delle esequie su Rai1, hanno avuto da ridire su come quel lutto lo stava vivendo un Paese intero. 

C'erano 10 mila persone a Padova per l'ultimo saluto a Giulia. Davanti al sagrato della Basilica di Santa Giustina una folla commossa ha reso omaggio alla 22enne di Vigonovo, in centinaia hanno atteso il feretro a Saonara - dove si è tenuta una funzione più intima e senza telecamere - oltre 3 milioni e mezzo di persone hanno seguito i funerali in tv. L'Italia si è fermata per commemorare la giovane vittima di femminicidio, ma al tempo stesso per riflettere insieme, come non aveva mai fatto, su una realtà che ha bisogno di risposte urgenti, di soluzioni. Di cambiamento. Quella di ieri, in termini di partecipazione collettiva, è stata una giornata storica. Un memoriale, si spera, per il futuro. Un blocco di partenza per ripartire con una consapevolezza diversa. Eppure per qualcuno - i famosi autori del manuale del lutto - è stato puro show, voyeurismo, morbosità, addirittura pornografia del dolore. Qualcosa, insomma, che andava evitato e che sarebbe servito soltanto a sfamare le ossessioni di chi vive la cronaca più truculenta come feticcio. 

La funzione educativa del dolore

No, quello che si è visto ieri non era spettacolarizzazione. Nessuna mercificazione. C'è stato anche chi ha scomodato Barbara d'Urso, parlando con stizza di tv del dolore, ignorando che qui il dolore ha avuto una funzione ben più nobile di una manciata di share. E soprattutto trascurando il fatto che a volere i maxischermi, la diretta, a scegliere di condividere una sofferenza così atroce è stata proprio la famiglia di Giulia affinché la sua morte non sia vana. Come ha detto chiaramente suo padre Gino in chiesa, con il fiocco rosso appeso alla giacca: "In questo momento di dolore e tristezza, dobbiamo trovare la forza di reagire, di trasformare questa tragedia in una spinta per il cambiamento. La vita di Giulia, la mia Giulia, ci è stata sottratta in modo crudele, ma la sua morte, può anzi deve essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne". E ancora: "Voglio sperare che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite e voglio sperare che un giorno possa germogliare. E voglio sperare che produca il suo frutto d'amore, di perdono e di pace". Il funerale mediatico di Giulia Cecchettin è stato una cassa di risonanza per lei ma anche per tutte le altre vittime, e soprattutto è stato linea di confine - o almeno si spera - tra un prima e un dopo. 

Quello che si è visto ieri, dunque - il messaggio del papà, l'afflizione e il coraggio di questa famiglia - è alla stregua di un atto politico, se non ancora più potente ed efficace. Era ciò che serviva - purtroppo - a scuotere le coscienze, a sensibilizzare una comunità, a pungolare le istituzioni in nome di misure improcrastinabili. Ecco allora come anche mostrare le lacrime e i volti distrutti dei familiari serve, come serve vedere una piazza piena commossa. Non è spettacolo, non è pane dato in pasto a sadici guardoni. È un dolore formativo, che crea una coscienza collettiva e può essere importante tanto quanto l'educazione affettiva e sessuale nelle scuole per crescere una nuova generazione. Perché anche dal dolore e dalla sua condivisione si impara. Il funerale 'quasi di Stato', i primi piani sulla sofferenza di Gino, Elena, Davide e nonna Carla, le parole della gente fuori la chiesa con la voce rotta dal pianto sono una lezione trasmessa in tv, che non sempre è cattiva maestra.

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