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Lunedì, 29 Aprile 2024

Il commento

Dario Prestigiacomo

Giornalista

Gli agricoltori hanno ragione, ma non è l'Europa il loro vero problema

I migliaia di agricoltori che giovedì 1 febbraio si sono dati appuntamento a Bruxelles, davanti la sede del Parlamento europeo, per lanciare il loro grido d'allarme all'Ue, hanno sicuramente moltissime ragioni per protestare. Ma ci sono anche moltissimi motivi per sospettare che abbiano sbagliato indirizzo.

I soldi della Pac

Centinaia di manifestanti, come raccontato da Europa Today, hanno scagliato con tutta la loro rabbia bottiglie e uova contro l'Eurocamera, accusata di portare avanti politiche che starebbero distruggendo il settore primario. Al centro delle proteste, ci sono innanzitutto le misure della Pac, la Politica agricola comune, ossia il programma di finanziamenti più corposo dell'Ue, circa 386 miliardi in sette anni, pari al 31% di tutto il bilancio di Bruxelles. All'Europa tutto si può dire, ma non certo di avere il braccino corto nei confronti dell'agricoltura. Altro discorso è a chi, nel settore, riceva il grosso di questi fondi. Ma di questo parleremo più avanti. 

Tornando al bilancio della Pac, l'Italia è il quarto Paese per fondi ricevuti, circa un decimo, preceduta (ma non di molto) da Germania e Spagna. La Francia è in assoluto lo Stato membro che intasca il grosso dei finanziamenti, eppure è quello da dove arrivano anche le proteste più forti contro l'Ue. Cosa non piace agli agricoltori della Pac?

Il programma per il periodo 2023-2027, quello in corso, prevede una serie di misure volte a rendere più sostenibile sotto il profilo ambientale l'agricoltura europea. Il Parlamento Ue ha approvato il testo finale nel 2021. Chi ha seguito quel voto sa che all'epoca a contestare la nuova Pac erano stati soprattutto i politici dei Verdi e le organizzazioni ambientaliste, mentre le lobby del settore agroalimentare (come la Coldiretti, per esempio) avevano applaudito l'accordo raggiunto. Per i Verdi, la nuova politica agricola non era (e non è) sufficiente per combattere i rischi climatici connessi al settore primario. Di diverso avviso la stragrande maggioranza del Parlamento, che diede il via libera alla Pac con i voti anche di Fratelli d'Italia, Forza Italia, Pd e M5s. La Lega si astenne. In sostanza tutti i deputati italiani all'Eurocamera (con l'esclusione della pattuglia tricolore dei Verdi) appoggiarono la nuova politica agricola che oggi governo, lobby e agricoltori contestano.    

Le leggi ambientaliste mai attuate

Certo, nella vita si può cambiare idea e nel nostro Paese c'è largo consenso, anche tra le fila dell'opposizione, sul fatto che le misure ambientaliste della Pac comporterebbero un calo della produzione in un momento in cui i costi per mantenere campi e allevamenti sono aumentati. Per esempio, si critica la norma che chiede alle aziende di mettere a riposo (e dunque di non rendere produttivo) il 4% dei terreni. Peccato che questa norma non sia ma stata applicata. Già, perché con lo scoppio della guerra in Ucraina, della crisi energetica e dell'inflazione, la Commissione europea ha sospeso buona parte delle misure ecologiste della Pac, concedendo al settore di aumentare la produzione. Deroghe che sono state confermate anche in questi giorni.

Lo spettro della scure ambientalista dell'Europa sull'agricoltura non riguarda però solo la Pac. In questi anni, le lobby del settore hanno alzato la voce contro alcune proposte di legge di Bruxelles, in particolare su tre: quella sul ripristino della natura, quella sulla riduzione dei pesticidi e quella sugli imballaggi. Il Parlamento europeo ha bocciato la legge sui pesticidi, e ha ampiamente annacquato le altre due nei punti ritenuti più controversi dalle organizzazioni agricole (e dall'attuale governo italiano). Tra le proteste degli ambientalisti. 

Gli squilibri della filiera

Alla luce di tutto questo, appare poco comprensibile la scelta degli agricoltori di riversare la loro rabbia contro l'Eurocamera. Se c'è una crisi del settore, questa non è stata certo generata da delle leggi di stampo ecologista uscite da Bruxelles o da Strasburgo (bocciate sul nascere o mai attuate). Semmai, come sottolinea un'inchiesta di Today, bisognerebbe chiedersi perché se un agricoltore incassa dalle sue mele Golden 29 centesimi al chilo, nei supermercati queste non vengono vendute a meno di 2,10 euro al chilo.

Nella lunga strada che dal campo arriva alla tavola, i coltivatori sono quelli che raccolgono le briciole, mentre all'industria della trasformazione e alla grande distribuzione (gdo) vanno compensi decisamente maggiori. Lo sottolinea anche l'analisi mensile di NielsenIQ: nel gennaio 2024 il fatturato della gdo italiana è cresciuto dell'8,1% rispetto al gennaio 2023 (e picchi maggiori si sono registrati nel corso dell'anno appena passato). Nello stesso periodo, gli agricoltori denunciano che i loro introiti si sono contratti.

Per ridurre questi squilibri, l'Europa aveva proposto due cose essenziali e ben prima dello scoppio dell'inflazione. Nel 2020, aveva varato una direttiva che mirava a contrastare le pratiche sleali in agricoltura, ossia a dare ai piccoli coltivatori più strumenti per contrattare prezzi migliori con i big della filiera. La direttiva (che in quanto tale fissa un quadro generale, ma spetta poi ai singoli Stati metterla in pratica) sembra finora rimasta lettera morta, in Italia come in gran parte dell'Ue.

La seconda proposta riguarda la Pac: nel 2019, in Europa circa il 75% degli agricoltori aveva ricevuto aiuti diretti della Pac inferiori ai 5mila euro. In Italia, la quota saliva addirittura all'81%, mentre i compensi maggiori, sopra i 50mila euro, venivano intascati dall'1% dei produttori. Per riequilibrare un po' i flussi di cassa, la Commissione aveva proposto di redistribuire più aiuti ai piccoli agricoltori. Ma anche in questo caso l'idea non ha trovato applicazione. 

L'invasione di cibo dall'estero

Tornando alle proteste di Bruxelles, c'è infine il nodo dei rapporti commerciali con i Paesi terzi. L'Ue è accusata di stringere accordi che favoriscono l'invasione di cibo estero a scapito dei prodotti europei. I dati del saldo commerciale del settore agroalimentare tra l'Ue e il resto del mondo fanno emergere però un'altra realtà: tra gennaio e ottobre 2023, l'Europa ha esportato beni agroalimentari per un valore pari a 190,8 miliardi di euro, mentre l'import si è fermato a 132,8 miliardi. Vuol dire, che nel dare e avere, grazie agli accordi Ue, la filiera del cibo europea ha incassato 58 miliardi in 9 mesi. Siamo noi a invadere il resto del mondo con il nostro cibo, e non il contrario.

Per l'Italia l'incasso è stato meno eclatante: secondo l'Ismea, nello stesso periodo, il nostro Paese ha esportato beni agroalimentari fuori dall'Ue pari a 19 miliardi. Di contro, l'import è stato di 18 miliardi. Un guadagno di 1 miliardo per il nostro made in Italy nel mondo. Ma c'è un altro dato che va sottolineato: se si guarda all'intero flusso di prodotti italiani da e verso l'estero (Ue compresa), l'industria fa registrare un saldo positivo di 8,6 miliardi. L'agricoltura segna invece un saldo negativo di quasi 10 miliardi.

Come dicevamo all'inizio, i nostri agricoltori hanno moltissime ragioni per protestare. Ma i loro trattori, prima che a Bruxelles, forse dovrebbero fare tappa a Roma.       

       

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