rotate-mobile
Lunedì, 29 Aprile 2024

Serena Console

Giornalista

E se il problema della Cina fosse Xi Jinping?

Accampato in un terminal di un aeroporto in attesa di asilo da un Paese occidentale. Sembra la trama del noto film diretto dal regista Steven Spielberg, ma è la vicenda che vede protagonista l'attivista cinese Chen Siming che da una settimana ha trovato riparo nello scalo aeroportuale di Taipei, il Taiwan Taoyuan International Airport, dopo essere fuggito dalla Repubblica popolare cinese. Chen, dissidente cinese che per anni ha commemorato la strage di Tiananmen del 4 giugno 1989 - argomento assolutamente vietato in Cina - e più volte detenuto in occasione dell'anniversario, è disposto ad aspettare anche mesi, se necessario, pur di ottenere un riparo negli Stati Uniti o in Canada.  

"I metodi della polizia cinese nei miei confronti stavano diventando sempre più crudeli e folli", ha dichiarato in un post su X, l'ex Twitter, appena sceso dall'aereo. "Mi hanno trattenuto a piacimento senza seguire le procedure legali, prendendomi il cellulare e sottoponendomi persino a una valutazione psichiatrica. Non potevo più continuare ad accettare la devastazione della mia dignità personale", scrive sul social network Chen, che nel 2019 si è impegnato a fondo per sostenere le manifestazioni per la democrazia a Hong Kong. 

Il dissidente è fuggito quest'estate dalla Cina, per rifugiarsi prima in Laos e poi in Thailandia. Ma nemmeno a Bangkok, nella capitale thailandese, Chen credeva di essere al sicuro. Il dissidente non voleva fare la stessa fine di Jiang Yefei e Dong Guangping, due membri di un piccolo partito politico di opposizione cinese in Thailandia, la Federazione per una Cina democratica, arrestati nel 2015 nel Paese del Sud est asiatico e poi estradati e imprigionati in Cina, nonostante le proteste dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. E nemmeno voleva essere un nuovo Lu Siwei, il famoso avvocato difensore dei diritti umani arrestato lo scorso agosto in Laos mentre si recava negli Stati Uniti. Così Chen si è imbarcato lo scorso 22 settembre su un volo diretto a Canton, con scalo a Taipei. Sul secondo volo però non è mai salito. Ed è ora in aeroporto e chiede asilo in un Paese occidentale.

Il dissidente che da più di una settimana è nell'aeroporto taiwanese non vuole finire in prigione come successo a tanti suoi "colleghi", accusati di aver provocato "disordine sociale", scusa che il Partito usa per incarcerare i dissidenti. È difficile sapere al momento quanti attivisti siano dietro le sbarre cinesi: molto spesso i familiari e gli amici dei detenuti non conoscono la loro attività "clandestina" e non sanno quindi di cosa siano realmente accusati i loro cari.

La preoccupazione è alta e per questo il caso di Chen è arrivato fino a Bruxelles. L'Ue ha rilasciato una dichiarazione al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite lo scorso 26 settembre, ribadendo la preoccupazione per la gravissima situazione dei diritti umani in Cina. Citando i campi di rieducazione politica in Xinjiang, le detenzioni arbitrarie senza garanzie procedurali a Hong Kong, le diffuse misure di sorveglianza e di controllo attraverso l'uso di tecnologie per il riconoscimento facciale e, ancora, le restrizioni sistematiche e severe all'esercizio delle libertà fondamentali, come il credo o la religione, l'Ue esorta la Cina a rispettare gli obblighi derivanti dal diritto nazionale e internazionale. Bruxelles, si legge nel documento, invita Pechino al pieno rispetto dello Stato di diritto.

Come accade da anni, ormai, le istituzioni europee bacchettano il governo cinese per il mancato rispetto dei diritti umani e civili, correndo persino il rischio di incorrere in sanzioni (e controsanzioni). È quanto accaduto nel 2021, quando la Cina ha annunciato sanzioni per dieci importanti politici e accademici dell'Unione Europea, e quattro sue istituzioni, in risposta alle sanzioni che Bruxelles aveva approvato nei confronti di Pechino per le violazioni dei diritti umani compiute nel paese nei confronti degli uiguri, la minoranza etnica prevalentemente di religione musulmana, che abita principalmente nella regione cinese occidentale dello Xinjiang. Qui, secondo diverse inchieste giornalistiche e rapporti dell'Onu, il governo cinese ha internato milioni di uiguri in campi di prigionia, definiti "di trasformazione attraverso l’educazione", per avviare un processo di sinizzazione.

L'Onu accusa la Cina di aver commesso crimini contro l’umanità nello Xinjiang

Qualche mese prima, nel gennaio del 2021, Bruxelles si era limitata a criticare l'arresto di 53 attivisti pro-democrazia ed ex deputati dell’opposizione di Hong Kong da parte delle autorità dell'ex colonia britannica, accusate di aver violato la legge sulla sicurezza nazionale. Si è trattato della più grande retata sotto l'ombrello della norma entrata in vigore nel 2020 per volere di Pechino.

Hong Kong, proteste per il rilascio degli attivisti pro-democrazia (dicembre 2020, fonte: LaPresse)

L'ex colonia britannica, da florido e vivo centro culturale, giornalistico, politico e sociale, è diventato un luogo in cui l'autocensura e l'assenza di dissenso fanno da scudo alla facile interpretazione da parte delle autorità di una norma vaga. Dal 2020, circa 300 persone sono state arrestate per presunta violazione della legge sulla sicurezza nazionale che vieta e criminalizza qualsiasi atto di secessione, sedizione e sovversione contro il Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese, e presunta cospirazione in collusione con entità straniere.

Trovarsi una taglia milionaria per un post sui social

Hong Kong rappresentava per i mercati finanziari e per i dissidenti cinesi un porto sicuro dalla scure repressiva (sociale ed economica) del Partito comunista cinese. Era così nel 1989, quando dopo il massacro di piazza Tiananmen numerosi dissidenti fuggirono nell'allora colonia britannica per dare voce alla critica contro il governo cinese. Era così ancora nel 2001, quando Hong Kong era passato sotto il controllo del Partito comunista - conseguenza dell'handover dal potere britannico a quello cinese nel 1997 stabilito dalla Convenzione Sino-britannica del 1984 - e la Cina entrò nell'Organizzazione mondiale del commercio (WTO) sotto la guida dell'esecutore del "piccolo timoniere", Jiang Zemin: a cavallo del nuovo secolo i Paesi occidentali credevano che l'ingresso nel WTO di quella che era considerata la "fabbrica del mondo" avrebbe determinato una maggiore democratizzazione della Cina. Ma le cose sono cambiate con l'arrivo di Xi Jinping che, da Segretario, ha reso il Pcc ancora più inflessibile.  

La deriva democratica di Hong Kong è l'emblema della politica del presidente cinese, che ha ottenuto un terzo rinnovo durante il XX Congresso del Pcc, superando i limiti dei due mandati introdotti dopo la parentesi nera della Rivoluzione Culturale di Mao Zedong. "Sotto la leadership di Xi, la situazione dei diritti umani in Cina è peggiorata sotto vari punti di vista: a Hong Kong, con l'adozione della Legge sulla sicurezza nazionale nel giugno 2020, le libertà di espressione e di riunione pacifica sono state praticamente soppresse. La persecuzione delle minoranze islamiche nello Xinjiang ha assunto dimensioni di massa, con la detenzione in campi di rieducazione di centinaia di migliaia di persone", sostiene Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, a Today. "In tutta la Cina si susseguono arresti, processi e condanne di difensori dei diritti umani, giornalisti indipendenti, attivisti per i diritti sociali e, da alcuni anni, di avvocati", spiega Noury. 

Il 2023 è stato un anno particolare per il presidente Xi: la fine delle misure anti-Covid, la disoccupazione giovanile alle stelle, le proteste nella fabbrica della Foxconn e quelle legate al crollo del settore immobiliare hanno spinto la popolazione cinese a prendere posizioni più critiche nei confronti di un sistema in cui non credono più.

Le conseguenze (anche per noi) della crisi del mercato immobiliare cinese

Le giovani generazioni sono risultate le più inclini alla mobilitazione sociale, entrando nella galassia di "attivisti accidentali": non si tratta di dissidenti di lungo corso, ma di giovani che hanno fatto dell'advocacy la propria missione per far fronte ai problemi quotidiani della società civile. È quanto accaduto lo scorso novembre con le "protesti dei fogli A4", le dimostrazioni che hanno spinto il governo di Pechino a rimuovere definitivamente le restrizioni sanitarie imposte per il Covid.

A causa di problemi interni, politici e sociali, la Cina di Xi Jinping rischia di perdere il ruolo cruciale di interlocutore economico e diplomatico mondiale. E la causa potrebbe essere proprio l'uomo che guida dal 2012 la seconda potenza mondiale. Il presidente cinese porta sulle spalle il peso di diverse scelte azzardate: la scomparsa di importanti imprenditori e la sparizioni di "fidati" ministri (come quello degli Esteri e della Difesa), una nuova legge sullo spionaggio che rende difficile fare affari per le aziende straniere, lo spostamento di capitali e prestiti dal settore privato alle imprese statali, e la repressione ideologica e culturale, solo per citarne alcuni. Senza dimenticare la minaccia dell'invasione dell'isola di Taiwan, lo scontro tecnologico con gli Stati Uniti e il sostegno ambiguo alla Russia, isolata dalla comunità internazionale per la guerra in Ucraina

Xi Jinping al 74mo anniversario della fondazione della Repubblica popolare cinese (settembre 2023, fonte: LaPresse)

Dal periodo delle riforme lanciate da Deng Xiaoping al rispolvero del marxismo-leninismo da parte di Xi sono cambiate molte cose. Ne è convinto Ryan Hass, direttore del China Center di Brookings, che alla statunitense CNBC cita la "rigidità ideologica e la brama di controllo" di Xi che "è in contrasto con il pragmatismo che ha definito il periodo di riforme e apertura della Cina". Ma c'è anche una galassia di scettici analisti che ritengono che i problemi della Cina sono sempre gli stessi e che il Pcc ogni volta corre ai ripari per contenere la crisi del momento, come accade attualmente con il settore immobiliare.

Quello che è cambiato è il sentimento di sfiducia del popolo cinese, che non vede più nel Partito-Stato il garante della crescita sfrenata e del benessere economico. E se il Partito e Xi vogliono assicurarsi la tenuta della stabilità sociale e della leadership, farebbero meglio ad ascoltare il popolo cinese e a rispondere alle loro esigenze. Senza buttare al gabbio i dissidenti. 
 

Si parla di

E se il problema della Cina fosse Xi Jinping?

Today è in caricamento