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Sabato, 27 Aprile 2024

Il commento

Serena Console

Giornalista

Trovarsi una taglia milionaria per un post sui social

Immaginate di dover lasciare famiglia, amici, carriera lavorativa o scolastica per trovare riparo in un altro paese. Immaginate di dover pesare le parole scritte in un post sui social media. E immaginate cosa voglia dire sapere dai giornali che il governo, che fino a qualche anno prima vi rappresentava, impone una taglia milionaria sulla vostra testa perché ricercati. Sembra un copione di un film di spionaggio, ma è quello che stanno affrontando alcuni cittadini di Hong Kong, che dal 1° luglio 2020 vivono in una condizione di terrore e autocensura per evitare di commettere uno dei quattro reati previsti dalla Legge sulla sicurezza nazionale (sedizione, sovversione e secessione e interferenze straniere negli affari locali), con pene che possono arrivare fino all'ergastolo.

Hong Kong è una città sempre più cinese 

La norma, imposta dal governo centrale di Pechino, serve a reprimere qualsiasi atto che possa essere considerato come minaccia alla sicurezza nazionale. A Hong Kong sulla testa di un assassino ricercato viene posta una taglia di oltre 35mila euro. Per chi ha commesso un omicidio multiplo, il premio sale a 47mila euro. Ma la somma aumenta esponenzialmente per la cattura degli attivisti ricercati che vivono all'estero. L'ultimo caso ha sollevato una polemica internazionale di non poco conto. La polizia per la Sicurezza Nazionale di Hong Kong ha deciso di mettere una taglia da un milione di dollari di Hong Kong (circa 117mila euro) su ciascuno degli otto ricercati dal governo locale che vivono in auto esilio in Gran Bretagna, Stati Uniti, Australia e Canada. Tra i ricercati c'è l'attivista e politico Nathan Law, due ex parlamentari di opposizione, Dennis Kwok e Ted Hui, un avvocato dei diritti civili, un blogger e altri tre attivisti. Il lauto premio va a chiunque fornisca alle autorità di Hong Kong informazioni utili per il loro arresto. 

Tra i capi d’accusa figurano "l'incitamento delle forze straniere per l’imposizione di sanzioni". Pechino "si sbaglia se ritiene che le sue taglie ci spaventino", ha commentato Nathan Law su Twitter, uno dei ricercati dal governo dell'ex colonia britannica, fuggito dalla città poche ore dopo l'introduzione della legge sulla sicurezza nazionale. "Il percorso verso la nostra terra non è lastricato da 'rese' a un regime oppressivo", ha aggiunto l'attivista,"ma dal costruire una libera e democratica Hong Kong, non importa a quale prezzo sulle nostre teste". Law, che nelle manifestazioni ha sfilato al fianco del più noto attivista Joshua Wong (da tre anni in carcere), faceva riferimento alle parole dell'amministratore di Hong Kong, John Lee, che poco prima aveva intimato: "L’unico modo per porre fine al loro destino di fuggitivi che saranno perseguitati per tutta la vita è arrendersi". Dall’introduzione della legge nel 2020, sono state arrestate 260 persone, di cui 79 condannate per reati come sovversione e terrorismo. La resa è l'anticamera dell'arresto. 

Nathan Law partecipa a una protesta durante la visita del ministro degli Esteri cinese Wang Yi a Berlino, in Germania, 2020 (LaPresse)-2

La norma è così diventata uno strumento del governo cinese per accelerare un processo di sinizzazione dell'ex colonia britannica previsto invece nel 2047, secondo quanto sancito dalla Dichiarazione congiunta sino-britannica firmata nel 1984. Facciamo un passo indietro per contestualizzare brevemente la complessa situazione di Hong Kong. La città portuale è tornata alla Cina il 1º luglio 1997, dopo circa 100 anni di sovranità britannica. In base al documento firmato nel 1984 dall'allora premier del Regno Unito Margaret Thatcher e dal primo ministro cinese Zhao Ziyang, Hong Kong sarebbe diventata una Regione amministrativa speciale, con un ampio grado di autonomia politica, economico e sociale - tranne in materia di relazioni con l'estero e di difesa, che sono di responsabilità del governo cinese - per i successivi 50 anni, secondo il principio costituzionale "un Paese, due sistemi".

Qualcosa però è cambiato nel 2014 con la "Rivoluzione degli Ombrelli", scoppiata per chiedere a Pechino di rispettare la promessa di instaurare gradualmente nell'ex colonia britannica un sistema politico pienamente democratico e ottenere il suffragio universale. Richiesta inascoltata. A distanza di qualche anno, nel 2019, esplode un altro moto di protesta (ben più animato e violento) per evitare che una legge sull'estradizione venisse adottata dall'allora governo di Hong Kong guidato da Carrie Lam.

Dopo mesi di contestazioni e scontri tra manifestanti e polizia, il Comitato permanente del Congresso Nazionale del Popolo, il massimo organo legislativo cinese, ha approvato la controversa legge sulla sicurezza nazionale che ha dato così alla Cina un maggiore controllo su Hong Kong.

Dai partiti politici disciolti, alle organizzazioni non governative smantellate; dalle testate chiuse ai programmi scolastici patriottici; dagli arresti degli attivisti e politici (cinque, solo negli ultimi giorni) alla proibizione di canzoni e slogan che rimandano all'indipendenza di Hong Kong, fino al divieto delle veglie commemorative del Massacro di Piazza Tiananmen a Pechino nel 1989: la legge sulla sicurezza nazionale ha colpito tutte queste realtà reprimendo e chiudendo qualsiasi luogo in cui trovava voce un'opposizione al governo locale e cinese. Le autorità cittadine e il governo di Pechino negano di reprimere il dissenso e anzi affermano che è la legge è fondamentale per preservare l'ordine politico e socialem che è alla base del successo economico del centro finanziario.

Manifestanti durante le proteste di massa a Hong Kong, 2019 (LaPresse)

Ora torniamo alla taglia sugli attivisti, imposta da un governo che secondo la legge e la costituzione locale (Basic Law) dovrebbe mantenere un'autonomia per Hong Kong per i prossimi 24 anni circa, ma che diventa sempre più una città cinese. L’imposizione della taglia e la minaccia di costringere i dissidenti a una "vita nella paura" ha suscitato la reazione dei governi di Londra e Washington, che lamentano quanto la legge sulla sicurezza nazionale stia trovando applicazione extraterritoriale. È curiosa inoltre la tempistica dei mandati di arresto e delle taglie per la cattura dei ricercati. Gli attivisti sono rifugiati in paesi occidentali corteggiati da Hong Kong per riaprire i contatti economici, interrotti o lacerati a causa della legge sulla sicurezza nazionale e della pandemia di Covid-19.

Hong Kong, come la Cina, sa quanto sia potente la leva economica sui paesi occidentali che, molto spesso, voltano le spalle alle organizzazioni dei diritti umani e ai cittadini per portare avanti i loro affari commerciali. La preoccupazione monta. Sebbene gli attivisti hongkonghesi si sentano relativamente al sicuro nel paese in cui hanno trovato riparo dalla scure legale e giudiziare cinese (grazie alle diverse leggi nazionali), nutrono comunque il timore di essere arrestati se si recano in un paese terzo. In questo modo, gli attivisti dell'ex colonia britannica che vivono all'estero avranno difficoltà a incontrare sostenitori ed esponenti politici (bipartisan) che promuovono la causa pro-democratica di Hong Kong.

Con gli attivisti che vivono nell'ombra e nel silenzio delle carceri dell'ex colonia britannica, l'onere di promuovere la causa democratica di Hong Kong cade su coloro auto esiliatisi all'estero, che devono trovare il coraggio di combattere una legge in stile cinese, che non si ferma ai confini della Repubblica popolare. E il mondo occidentale, quello che si è indignato nel 2019 e nel 2020 per le violenze e la repressione del governo di Hong Kong e di Pechino, dovrebbe (continuare) ad aiutare i dissidenti in questa difficile ma fondamentale battaglia per la democrazia. 

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