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Venerdì, 26 Aprile 2024
Vincenzo Vespri

Vincenzo Vespri

A cura di vincenzo-vespri

Quando finirà l'epidemia di coronavirus? Il sorriso dei numeri

I dati ufficiali di ieri relativi alla diffusione del contagio sono stati 33.979 nuovi casi di contagio con 546 decessi. I ricoveri ordinari sono aumentati di 649 unità e quelli in terapia intensiva di 116. Anche se non sembrerebbe a prima vista, sono numeri molto positivi perché indicano che sta rallentando la velocità con cui il contagio si sta diffondendo. Tutti i modelli matematici dicono che la diffusione di un contagio segue all’inizio un esponenziale, poi il ritmo con cui il contagio cresce incomincia a diminuire fino ad arrivare a un punto di svolta (in matematica si chiama flesso) e poi la curva dei contagiati decresce rapidamente esattamente come era iniziata. La conferma di ciò la si ha ad esempio dal grafico dei contagiati della prima ondata che forma una “curva a campana”. Il flesso è proprio il punto più alto della “campana”.

Detto questo, riusciremo quindi a passare un Natale tranquillo e in famiglia? Diciamo che stando così le cose a Natale il virus dovrebbe essere in fase calante e la seconda ondata quasi finita, ma potrebbe essere prematuro riaprire tutto, senza alcuna limitazione. Questa affermazione deriva dal fatto che non c’è motivo di pensare che la “curva a campana” degli ospedalizzati, delle terapie intensive e dei decessi non sia simmetrica rispetto al suo punto di massimo. Fatta questa ipotesi, ammettiamo pure che il punto di flesso arrivi fra una settimana, ipotesi sicuramente un po’ troppo ottimistica ma non troppo lontana dal vero. A Natale mancherà allora circa un mese. Quindi spannometricamente la situazione di ospedalizzati, terapie intensive e decessi sarà simile a quella che abbiamo avuto verso il 20-25 ottobre. Sicuramente migliore di quella attuale ma sicuramente non una situazione che permetterà il liberi tutti. Probabilmente, se saremo prudenti a Natale e Capodanno, la seconda ondata del contagio terminerà agli inizi dell’anno prossimo e la terza ondata non arriverà prima di marzo-aprile, quando però sia l’estate che i vaccini saranno alle porte. Da notare che questa conclusione è sostanzialmente la stessa di quella che stanno dando modelli avanzati di simulazione matematica o strumenti di big data analytics. Ed è probabilmente anche l’ipotesi di lavoro su cui stanno lavorando gli esperti del CTS.

Cosa fare per far scendere il più velocemente possibile questa curva a campana minimizzando il disagio per tutti noi? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo chiederci cosa stia influendo sul rallentamento sul contagio. Sicuramente l’effetto gregge per alcune regioni del Nord (ossia se c’è un alto numero di individui già contagiati, il virus trova un forte ostacolo nella sua diffusione), il buon tempo per alcune ragioni del Sud (il virus ha dimostrato di diffondersi meglio quando c’è freddo) e il distanziamento sociale facilitato sia dalle misure sempre più stringenti contenuti nei vari  DPCM   e sia  da una bassa densità di popolazione (in un piccolo borgo è più facile mantenere le distanze che in una metropoli). Da notare che sono tutti parametri che differiscono da luogo a luogo. Risulta quindi chiaro che la strategia adottata di differenziare le restrizioni fra diverse regioni risulta, finalmente, una strategia ragionevole che ottimizza la lotta al contagio e riduce, nel contempo, il disagio della popolazione.

Si potrebbe però fare meglio. Ecco alcune idee per implementare questa strategia al meglio.

La prima idea è che questa differenziazione sia fatta a livello provinciale e non regionale. Non ha senso mettere in zona rossa Bergamo (dove i contagi sono fermi da un paio di settimane a causa dell’effetto gregge guadagnato tragicamente nel corso della prima ondata) con Milano (grande metropoli dove il contagio è ancora molto attivo) o Grosseto (la cui provincia è scarsamente popolata) con l’area urbana densamente popolata di Prato-Firenze.

L’altra proposta è quella di definire meglio gli indicatori che determinano il colore di una regione. Molti dei 21 indicatori usati dal governo, sono fra loro altamente correlati e ripetitivi. Inoltre alcuni indicatori non sono oggettivi come ad esempio il numero di quelli che risultano contagiati, parametro che dipende soprattutto dal numero di tamponi fatti e a chi vengano (o non vengano) fatti. Infine altri parametri potrebbero essere perfino fuorvianti quale ad esempio il numero di persone in terapie intensive. Infatti, in una situazione come questa, un medico ospedaliero, al fine di evitare cause legali da parte dei congiunti dei pazienti deceduti, se ci sono posti liberi di terapie intensive, tenderà a far transitare un paziente, anche se ormai senza speranze, per il reparto delle terapie intensive. Questo parametro rischia, almeno all’inizio, quando ancora ci sono posti a disposizione, di misurare più l’indice di litigiosità legale in una regione, che l’effettiva percentuale di occupazione delle terapie intensive causata dal virus.

Infine l’ultimo consiglio è quello della massima trasparenza sui dati e sulle procedure usate Spiegateci su quale algoritmo e su quali dati si basano le decisioni di classificare le regioni in giallo, arancione e rosso. L’ha chiesto, giustamente, Giorgio Parisi, presidente dell’Accademia dei Lincei. Se non ci spiegate come funziona l’algoritmo o, peggio ancora, secretate i dati, non sarà possibile porre argine alle idee complottiste secondo cui il colore di una regione dipenda di più dal colore politico e dalla “tostezza” del proprio Governatore che dall’effettiva situazione medicale.

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