rotate-mobile
Domenica, 28 Aprile 2024
Scenari

Elezioni e pensioni: cosa succede con il nuovo governo e chi lascerà il lavoro

Tante voci e poche certezze. L'addio a Quota 102 è pressoché certo. Il ritorno alla Fornero è più che probabile. Quota 41 piace a Lega, sindacati e Sinistra-Verdi ma costerebbe uno sproposito. L'ipotesi più fattibile sembra l'ampliamento dell'Ape Sociale

Il futuro delle pensioni è un punto di domanda. Il 31 dicembre va a esaurimento dopo 12 mesi Quota 102 e, senza nuovi interventi, dal 2023 si ritornerà alla legge Fornero in versione integrale. Il tema previdenza è presente in campagna elettorale, ma sembra restare per ora abbastanza in secondo piano. La Lega è quella più attiva e, a parole, punta forte su Quota 41 (ovvero andare in pensione con 41 anni di contributi a qualsiasi età), su cui sono d’accordo anche i sindacati e Si-Verdi.

"Quota 41 permetterà di andare oltre la Fornero - dice il deputato della Lega e responsabile del dipartimento Lavoro del partito, Claudio Durigon - porteremo a termine una riforma vera del sistema previdenziale italiano che trova favore anche nei sindacati". Fratelli d'Italia si mantiene prudente e nel suo programma parla solo di flessibilità in uscita dal mondo del lavoro e accesso facilitato alla pensione, favorendo al contempo il ricambio generazionale. Nel programma comune del centrodestra è citata la flessibilità in uscita ma non si fa specifico riferimento a Quota 41. Va evidenziato come da alcuni anni Quota 41 è già prevista. A poterne usufruire sono i lavoratori in possesso, al 31 dicembre 1995, di contribuzione che possono far valere almeno 12 mesi di versamenti antecedenti al compimento del diciannovesimo anno d'età (i cosiddetti “precoci”) e che si trovano in una di queste condizioni: chi è disoccupato e non percepisce da almeno tre mesi l'indennità di disoccupazione; chi presta cure da non meno di sei mesi a un familiare entro il secondo grado, convivente con handicap grave; gli invalidi civili con oltre il 74% di invalidità; coloro che hanno svolto attività usurante o mansioni gravose per almeno sette anni negli ultimi dieci non meno di sei anni negli ultimi sette di attività lavorativa.

Il piano di alcune forze politiche sarebbe dunque l'estensione generalizzata di Quota 41. Piccolo problema: costerebbe tantissimo, secondo alcune stime Inps, da sola più di 4 miliardi nel primo anno per poi arrivare a 9 miliardi nell'ultima annualità di un percorso decennale. La proposta sembra insostenibile dal punto di vista economico.

Pensioni: chi lascia il lavoro dal 31 dicembre 2022

Il Partito democratico e Azione-Iv sono sostanzialmente contrari ad abbandonare lo schema della legge Fornero. I dem ipotizzano uscite a 63 anni ma vincolate al metodo contributivo. Nel M5s piace da tempo la proposta del presidente Inps Tridico di andare in pensione a 63 anni col contributivo, a cui si aggiunte la parte retributiva a 67 anni. Il M5s propone anche di estendere il riscatto gratis della laurea (che però potrebbe costare fino a 4-5 miliardi l’anno). Forza Italia basa la sua campagna elettorale sulla soglia minima a mille euro per tutti gli assegni pensionistici (concordano anche Si-Verdi).

C'è però un piccolo problema. Tutti questi interventi sono molto costosi per le casse dello stato e per lo stato attuale dei conti pubblici  Gli spazi di finanza pubblica disponibili per definire la prossima manovra, intorno ai quali il nuovo governo dovrà lavorare con una certa celerità, non sono molto vasti. Si era parlato prima dell'estate di una proroga di un anno della possibilità di uscita con 64 anni d’età e almeno 38 di contribuzione, attualmente prevista per il solo 2022, ma l'ipotesi sembra tramontare: la spesa per le pensioni nel 2023 sarà già gravata da un conto vicino ai 24 miliardi legato soprattutto all’aumento dell’inflazione. I tecnici della Ragioneria hanno messo in evidenza che il ricorso in via permanente a Quota 102 (adeguata biennalmente alla variazione della speranza di vita) produce un aumento significativo del rapporto spesa pensionistica-Pil nel primo ventennio del periodo di previsione. In particolare, negli anni 2022-2044, l'incidenza delle uscite in rapporto al Prodotto interno aumenterebbe, in media, di 0,25 punti percentuali. Quota 102 non sembra avere le carte in regola per diventare la base di una riforma organica delle pensioni.

Mario Draghi, durante il cui governo il confronto sulle pensioni con le parti sociali non è mai decollato, puntava sulla carta a una riforma delle pensioni che garantisse meccanismi di flessibilità in uscita ma con un impianto sostenibile ancorato al sistema contributivo. L’orizzonte era quello della legge di bilancio 2023. Nonostante la complessa evoluzione del quadro economico, secondo Draghi la riforma doveva esser fatta entro l’anno, magari prevedendo anche il prolungamento di Opzione donna e Ape sociale. Il tavolo con le parti sociali era però bloccato da tempo. Per i sindacati, finita  l'esperienza di Quota 102, bisognava introdurre meccanismi di flessibilità in uscita prevedendo la possibilità di lasciare il lavoro a 62-63 anni oppure con 41 anni di contributi per tutti. Ovviamente senza prevedere penalizzazioni o ricalcoli. La crisi di governo ha scritto la  i timidi tentativi di far ripartire il dialogo. Ora la palla passa in mano ai partiti e soprattutto al prossimo governo.

L’Inps ha già stimato nel dettaglio i possibili costi di tre opzioni ben definite sul tavolo. La prima è quella che poggia sul ricalcolo contributivo della pensione nel caso di uscite con 64 anni di età e almeno 35 anni di versamenti e avendo maturato un trattamento pari ad almeno 2,2 volte l'assegno sociale, che costerebbe quasi 900 milioni il primo anno (5,9 miliardo nel triennio 2023-25) per arrivare a oltre 3,7 miliardi nel 2029. La seconda ipotesi è quella della penalizzazione del 3% della parte retributiva dell’assegno per ogni anno di anticipo prima della soglia di vecchiaia sempre con un pensionamento in formato “64+35”: la maggiore spesa sarebbe di un miliardo nel 2023 (6,7 miliardi nel primo triennio) con un picco di oltre 5 miliardi nel 2029. La terza opzione è rappresentata dalla già citata proposta-Tridico, che prevede l’anticipo alla maturazione di 63 anni d’età e 20 di contribuzione della quota contributiva dell’assegno (recuperando quella retributiva al raggiungimento del requisito di vecchiaia) per un costo di circa 500 milioni il primo anno (meno di 4 miliardi nel triennio) e di 2,5 miliardi nel 2029. Quest'ultima è l'ipotesi che sembra avere maggiori possibilità di "fare strada" in vista della manovra, ma non è "nelle corde" del centrodestra strafavorito da tutti i sondaggi in vista del voto del 25 settembre.

Chi va in pensione nel 2023

Draghi aveva messo in chiaro già alla fine dello scorso anno per vincolare al metodo di calcolo contributivo qualsiasi nuovo intervento mirato a consentire le uscite prima della soglia di vecchiaia sembra però restringere di molto il campo delle opzioni utilizzabili. E tra queste ci sarebbe quella di rendere accessibile a tutti il canale d’uscita con almeno 64 anni d’età e 20 di contribuzione, oggi di fatto consentito solo a chi è totalmente "contributivo". Tuttavia con il ricalcolo contributivo la riduzione dell’assegno dei lavoratori in regime "misto" (mix di contributivo e retributivo per chi al 31 dicembre 1995 non aveva più di 18 anni di contributi) sarebbe intorno al 10 per cento, con picchi del 18 per cento per lavoratori in possesso fino a 17 anni di anni di versamenti al momento "agganciati" al retributivo.

Il nuovo governo si troverà a lavorare in tempi strettissimi per scrivere la legge di bilancio. In due mesi andrebbe fatta una riforma che non si è riusciti nemmeno ad abbozzare in due anni di confronto tra esecutivo e parti sociali? Impensabile. Dal primo gennaio 2023, a meno di nuovi interventi, non ci saranno più le Quote (100 e 102). Da quel giorno gli unici canali di uscita dal lavoro saranno quelli ordinari della legge Fornero: 67 anni e 20 di contributi per la pensione di vecchiaia oppure 42 anni e 10 mesi per la pensione anticipata, a prescindere dall’età anagrafica (un anno in meno per le donne). Difficile che il nuovo esecutivo (nel quale secondo i sondaggi e gli scenari che si stanno delineando, non ci sarà il M5s) vorrà intestarsi una riforma impostata sul piano Tridico, considerato molto vicino ai pentastellati. Allo stesso tempo sarebbe difficilmente digeribile un ritorno secco alla Fornero. Si va, come previsto, verso un autunno caldissimo sul fronte pensioni.

Più Ape sociale, ipotesi realistica: cosa significa

Un allargamento del perimetro dell'Ape sociale sembra invece percorribile per evitare uno scalone troppo marcato. Ci potrebbe infatti facilmente essere una condivisione di partenza tra quasi tutte le forze politiche sull'approccio che ipotizza dal 1 gennaio 2023 uscite anticipate con l’allargamento del bacino dell’Ape sociale. Una misura che non è collegabile a nessuna area politica in particolare. E, in questo senso, un segnale è già arrivato con l’ok del governo all'emendamento alla scorsa manovra che faceva scendere da 36 a 32 anni la soglia contributiva per l’accesso all’Ape sociale dei lavoratori edili e inseriva i ceramisti tra le mansioni usuranti per le quali era possibile utilizzare l’Anticipo pensionistico.

Il cosiddetto anticipo pensionistico, ormai a tutti noto come Ape, è un progetto che consente il prepensionamento, senza alcun onere economico, a specifiche categorie di lavoratori che abbiano raggiunto una certa età anagrafica (più altri requisiti).  L'Ape sociale, dove Ape sta per anticipo pensionistico, è un’indennità erogata da parte dello Stato destinata a soggetti - al momento basata su 63 o più anni di età in particolari condizioni di difficoltà, per esempio perché hanno svolto per anni lavori gravosi o perché assistono un coniuge con una disabilità o ancora perché si sono ritrovati disoccupati senza la possibilità di diventare a tutti gli effetti pensionati per motivi di età  - che hanno necessità di un aiuto economico prima di poter accedere alla pensione di anzianità. L'Ape sociale, introdotta nel 2017, con l'ultima manovra è stata prorogata anche al 2022. Dal 2023 potrebbe essere estesa a molti più lavoratori rispetto a oggi, con requisiti variabili anno dopo anno, in modo da garantire un minimo di flessibilità in uscita in più rispetto ai rigori della Fornero. Staremo a vedere. Sulla previdenza il nuovo esecutivo sarà presto chiamato a dare risposte convincenti. 

Tutte le notizie di oggi

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Elezioni e pensioni: cosa succede con il nuovo governo e chi lascerà il lavoro

Today è in caricamento