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Domenica, 28 Aprile 2024
L'intervista

Maccio Capatonda: “La tecnologia ci anestetizza. Usiamola come mezzo, non come mondo”

Cosa sarebbe successo se, all’inizio degli anni 2000, la tecnologia si fosse fermata? È la domanda che si fa, e che rivolge allo spettatore, il nuovo film del regista. Si intitola "Il migliore dei mondi" ed è disponibile dallo scorso 17 novembre su Prime Video

Cosa sarebbe successo se, all’inizio degli anni 2000, la tecnologia si fosse fermata? È la domanda che si fa, e che rivolge allo spettatore, il nuovo film di Maccio Capatonda, Il migliore dei mondi, disponibile dallo scorso 17 novembre su Prime Video. È la storia di Ennio Storto, un uomo che vive completamente immerso nei suoi dispositivi digitali, tra social network, navigatori e app di dating. A un certo punto, per caso, Ennio si ritrova in un universo parallelo dove il progresso tecnologico, a seguito del Millennium bug avvenuto nel 2000 e del successivo caos, è stato bandito: tutto è rimasto fermo alla fine degli anni '90. E a cambiare non è solo il contesto. Sono anche le relazioni tra le persone, il modo in cui interagiscono, il loro percorso di vita.

“Perché il digitale ci trasforma, più di ogni altra cosa – mi dice Maccio, al secolo Marcello Macchia, che ha scritto e diretto il film insieme a Danilo Carlani, Alessio Dogana, Barbara Petronio e Gabriele Galli -  È un film costruito anche molto su di me, sulla mia esperienza da consumatore di tecnologia: Ennio Storto sono un po’ io”.

Come nasce l’idea di questo mondo fermo alla fine degli anni ‘90?

“Tutto parte come episodio di una serie comedy che avevo pensato nel 2018, Black Maccio, una sorta di Black Mirror rivisitato in chiave comica. Originariamente, il concetto alla base del film era contenuto in una puntata che avrebbe dovuto chiamarsi Clinica 56K. Era la storia di questo tizio che non riusciva ad accettare di essersi lasciato con la sua fidanzata, continuava a vederla continuamente sui social, non riusciva a dimenticarla. E allora, in questo presente distopico, andava in una clinica di disintossicazione da Internet che, attraverso un dispositivo sulla tempia, lo curava facendogli vivere una realtà parallela, senza la tecnologia”.

Come passi dall’episodio al film?

“Questa puntata ci piaceva molto e allora abbiamo deciso di espanderla e farla diventare un film: sono passati alcuni anni, con la pandemia di mezzo, e sono cambiate un po’ di cose nella trama, ma il succo è rimasto lo stesso. Volevo riuscire a raccontare qualcosa che mi sta a cuore, forse l’unico tema a cui tengo davvero: la tecnologia e il suo potere trasformativo”.

Del resto, la tua carriera nasce con il digitale…

“È così: Internet mi ha permesso di essere quello che sono, sia come capacità di formarmi professionalmente sia come diffusione del lavoro che facevo, pensa ai primi trailer che da Mai Dire si diffondevano poi su YouTube. Oggi, però, ogni aspetto della nostra vita mi sembra che sia completamente intriso di digitale”.

In che modo, secondo te, questa enorme innovazione tecnologica ci cambia?

“Ci sono vari aspetti. Una cosa che sento molto presente, che è anche il punto di partenza del film, è l’anestetizzazione. È come se il digitale ci rendesse difficile capire come stiamo: nel film, Ennio non sa di stare male, perché è circondato da una serie di gratificazioni istantanee che lo tranquillizzano, che lo ingannano, è come se gli raccontassero costantemente che tutto va bene”.

Più di ogni altra cosa, mi pare che Ennio, come tanti di noi, anneghi nella volontà di organizzare la sua vita, di ottimizzarla.

“È un film che parla molto di controllo, di quanto controllo abbiamo su quello che facciamo grazie agli strumenti digitali. L’ottimizzazione di ogni aspetto della nostra vita, però, è una trappola, un’illusione: non possiamo controllare tutto e anche solo immaginare di poterlo fare è pericoloso”.

E infatti Ennio è uno che vive al 40%, sempre in controllo, anche per quanto riguarda le relazioni.

“Esatto, grazie alla tecnologia riesce ad avere dei rapporti, soprattutto con le donne, molto sicuri, molto tranquilli. Una specie di transazione, che gli dà quello che cerca ma che non lo spinge mai ad andare oltre. È una cosa che riguarda un po’ ciascuno di noi, se ci pensi”.

Fammi un esempio.

“Mi sembra che siamo sempre alla ricerca di emozioni molto sicure, da consumare in autonomia, senza rischiare. Pensa al fatto che guardiamo tantissimi prodotti di intrattenimento, mai come oggi. Film, serie, che ci soddisfano anche a livello emotivo: provi qualcosa, ma sempre restando in controllo, al sicuro. Lo spazio fisico, alla fine, ci fa sempre un po’ più paura, siamo sempre meno a nostro agio in quel contesto”.

Nel film, l’inizio della trasformazione del personaggio inizia proprio quando arriva in questo mondo sconosciuto, in cui è costretto a confrontarsi con gli altri, con l’imprevisto.

“Il digitale è costruito su misura delle nostre esperienze, delle cose che ci piacciono, della vita che facciamo: gli algoritmi selezionano per noi il contenuto più adatto, il percorso più comodo. Ma tutto quello che possiamo prevedere e controllare ci fa rimanere nel nostro solco, è un mondo già calpestato, già vissuto. A volte, come capita a Ennio, perdere sé stessi e perdere il controllo sono esperienze trasformative, che ci fanno crescere, che ci portano nuova conoscenza”.

Questa fuga dalla tecnologia, di cui Ennio è vittima più che protagonista, è un po’ una tendenza di questi ultimi anni. Penso al detox digitale, ai vinili…

“È vero, è una tendenza, ma mi pare più un’eccezione: forse ci servirebbe cambiare la regola”.

E qual è la regola?

“La regola è che tutto è digitale. Nel mondo analogico, non esiste il digitale; su Internet, però, è possibile anche avere accesso a oggetti analogici. Grazie al web, è possibile tornare indietro: attraverso Internet troviamo hobby lontani dagli schermi o scopriamo vinili da acquistare, per fare un esempio. Non è esattamente una via d’uscita”.

Ti sei mai chiesto com’è successo? Cioè, all’inizio ci sembrava tutto bellissimo…

“Quando nacque Internet, quando qui in Italia abbiamo iniziato a usarlo un po’ ovunque, la possibilità di scaricare film, di accedere a tutta la musica del mondo, dava questo senso di libertà, sembrava rivoluzionario: era un sogno. A volte penso che il digitale, almeno nella sua prima versione, sia stato una sorta di regalo immeritato, non alla portata dalla mente umana. Perché quando hai tutto, rischi di non essere più niente”.

"Il migliore dei mondi", ma quanto è bello il nuovo film di Maccio Capatonda 

Poi sono arrivate le grandi aziende tech…

“In quel contesto, si è messo in moto l’ingranaggio del capitalismo. E allora tutto è stato portato un po’ agli estremi, con questo costante tentativo di tenerci incollati ai dispositivi, di portare il web sempre più al centro della vita di ciascuno di noi”.

E lo abbiamo accettato, quasi senza accorgercene…

“Ti dico di più: secondo me, questo mondo è proprio quello che volevamo. Almeno io, ma molti della mia età, ho avuto un’infanzia molto protetta, sono cresciuto un po’ al riparo dal mondo. Per me, e per tanti altri, il digitale ha offerto l’opportunità di continuare a mantenere questo senso di protezione, di controllo. È un mondo che ci protegge dal mondo stesso: non solo lo abbiamo accettato, abbiamo contribuito a crearlo”.

Chiudiamo con una domanda facile: come ne usciamo?

“È difficilissimo, nella posizione in cui siamo ora. Lo sforzo che faccio, personalmente, è provare a riappropriarmi della mia umanità, connettendomi molto con me stesso, col mio io e con quello che io desidero fare, al netto della tecnologia che ho a disposizione. Provare, insomma, a decidere prima come usare gli strumenti digitali a nostra disposizione, cercando di evitare che ci risucchino. Non usare la tecnologia come mondo, ma come mezzo”.

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