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Domenica, 28 Aprile 2024
Ritardi green

La bomba sotto il cofano delle auto elettriche

Il boom di auto elettriche sta già facendo insorgere nuovi problemi, il più rilevante è lo smaltimento e il riciclo delle batterie al litio esauste. In Italia non esiste ancora nessun impianto: eppure potrebbe presto diventare un volano di sviluppo economico, soprattutto nelle aree più svantaggiate del Paese

Nel 2030 circoleranno per le strade oltre 145 milioni di auto elettriche. Globalmente ci saranno almeno 200mila tonnellate di batterie al litio esauste da smaltire. Ma le percentuali di riciclo di queste componenti oggi si attestano su percentuali basse: il costo è ancora alto, le procedure complesse. E l'Italia e l'Europa sono in netto ritardo: la maggior parte dei grandi hub creati per il recupero delle batterie si trovano in Asia. 

Della contraddizione se ne è accorta anche la Ue che ha fissato gli obiettivi minimi per il recupero degli elementi di queste batterie: il 50 per cento entro la fine del 2027, l'80 per cento entro la fine del 2031. Un regolamento che però rischia di rimanere lettera morta perché al momento in Italia non esiste un'industria in tal senso e tutta l'Europa è in ritardo di decine di anni rispetto a Paesi come Cina, Giappone e Corea del Sud. E il paradosso è che, senza azioni concrete, l'incremento dei veicoli elettrici in circolazione potrebbe presto trasformarsi in un problema ecologico per noi e in un affare per il resto del mondo.

Batterie al litio: così lo smaltimento e il riciclo sono oggi un problema

Che lo smaltimento delle batterie di litio non sia agevole me ne accorgo telefonando all'Ama, l'azienda che si occupa della raccolta rifiuti a Roma, la città dove vivo. Parlo con l'operatore e gli dico che voglio smaltire tre batterie al litio che utilizzo come alimentatori per il mio camper. Sono poco più grandi di quelle al piombo che comunemente usiamo per le auto a combustione, ma la risposta è chiara: non posso conferirli in una delle tante isole ecologiche del comune. Devo chiamare un'azienda privata che si occupa dello smaltimento di rifiuti speciali.

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Sondo quindi aziende del territorio in cerca di un preventivo, ma non mi risponde nessuno. La ragione è semplice: nel caso di privati cittadini questa tipologia di batterie dovrebbero essere smaltite per legge dagli stessi produttori attraverso dei consorzi, mentre i professionisti del settore lavorano prevalentemente con grandi aziende.

Sono classificate come rifiuti speciali perché se non opportunamente "scaricate" queste batterie possono causare combustioni ed emettere vari gas inquinanti.

Smaltire una batteria di un'auto elettrica di grandi dimensioni può superare così oggi i 1500 euro: il prezzo per lo smaltimento si aggira attualmente dai 4 ai 5 euro al chilo.

Ma in Italia l'industria del riciclo non esiste, i nostri consorzi le inviano in Asia dove già esiste un'industria o nel Nord Europa, dove è presente qualche piccola realtà. E a volte le cose vanno anche peggio.

"In attesa che si realizzi l’economia circolare è molto probabile che questi apparecchi vengano smaltiti in maniera non corretta, come una volta veniva fatto per le batterie al piombo - ci racconta  Andrea Poggio, responsabile mobilità di Legambiente - Ad esempio posso utilizzare le alte temperature per recuperare metalli appetibili come il rame, creando delle discariche nocive e un inquinamento diffuso". Sì, perché il riciclo, lo stoccaggio e il riutilizzo di questo tipo di batterie è un tema complesso, sul quale esistono vari ordini di problemi. 

Perché riciclare le batteria al litio è ancora poco conveniente

I problemi sono sia di ordine normativo sia di ordine tecnico. Il primo è che non esiste una strandardizzazione dei prodotti: "Le geometrie delle batterie al litio oggi in uso sono variabili - osserva Federico Bella, professore di elettrochimica e ricercatore del Politecnico di Torino - . Il problema è che sono sigillate per ragioni di sicurezza e aprirle è molto complesso. Vengono utilizzate procedure automatizzate che però non si possono adattare all'estrema varietà dei prodotti. La mancata standardizzazione porta a costi più alti e rende questa tecnica anti-economica". 

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Il secondo problema è legato al recupero dei materiali metallici presenti nella batteria: la cosiddetta "black mass" che viene separata, nella prima fase della lavorazione, dalla plastica. "In una batteria al litio gli elementi realmente preziosi, ovvero il litio e il cobalto, sono presenti in quantità molto esigua, quindi si cercano i singoli atomi in una matrice molto più complessa. Credo però che lo sviluppo della tecnologia renderà il processo più agevole e conveniente", precisa il professor Bella.

BLACK_MASS_screenshot

Le tecniche al momento utilizzate sono due: la pirometallurgia e l'idrometallurgia. Nel primo caso si utilizza il calore per separare i metalli, nel secondo si punta su soluzioni chimiche. La prima tecnica è molto utilizzata in estremo oriente e presenta una resa non ottimale. "La batterie vengono triturate e poi i metalli vengono separati con metodi piro-metallurgici, una modalità di certo poco economica, ma che grazie all’economia di scala fornita anche dai nostri 'rifiuti' "è di fatto sostenibile" racconta a Today.it, il professor Federico Bella. In Europa sono stati invece presentati brevetti su tecniche di riciclo idro-metallurgiche anche molto promettenti, ma rispetto al resto del mondo siano in ritardo. 

Il ritardo che potrebbe costarci caro 

La prima batteria al litio è stata lanciata dalla Sony nel 1991. In Europa la prima gigafactory per la creazione di batterie di auto elettriche è stata inaugurata in Francia solo lo scorso maggio: sono trent'anni gli anni che separano il Vecchio Continente dai pionieri di questa tecnologia.

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Le giga-factory sono mega-fabbriche che mirano a soddisfare la crescente domanda di batterie su larga scala. Dovrebbero tradursi in 800mila nuovi posti di lavoro e renderanno essenziale il tema dell'economia circolare. Ma attualmente i centri per il riciclo per questo tipo di batterie sono pochissimi in Europa, prevalentemente nel Nord del continente.

GIGA_FACTORY_wikipedia

"Abbiamo 5 gigafactory in costruzione, ma saranno inutili se non avremo a disposizione la materia prima e il riciclo a quel punto potrebbe diventare fondamentale", spiega il professor Bella.

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Intanto i due centri italiani di Caserta e Termoli ancora non decollano pienamente."Quattro anni fa davano per imminente l’apertura della gigafactory di Caserta (il progetto pilota è partito a dicembre 2022, ndr), grazie allo sblocco dei finanziamenti europei. Nel frattempo in Europa si è andati avanti e si è investito sia sulla mobilità elettrica, sia sulle gigafactory - sottolinea Andrea Poggio di Legambiente, che aggiunge - si doveva fare una riflessione più strutturata anche sui fondi del Pnrr,  ma quando al ministro Giorgetti ponemmo il problema, lui ci rispose che erano contrari all'elettrico: con queste premesse non si va da nessuna parte". Di sicuro non si va verso quella che sarà l'industria di domani. 

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