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Domenica, 28 Aprile 2024

L'incidente

Fabrizio Gatti

Direttore editoriale per gli approfondimenti

Manuel, il bimbo ucciso dal Suv: se viene sfruttato il nome di Cracco

Il piccolo Manuel Proietti, 5 anni, è morto perché una società a responsabilità limitata – definizione quanto mai appropriata – stava pubblicizzando una serie di prodotti attraverso una sfida estrema: guidare e dormire dentro un Suv Lamborghini Urus per cinquanta ore di fila. Oltre alla marca del bolide da 235mila euro e due tonnellate di peso, il video avrebbe pubblicizzato la concessionaria del noleggiatore, la famosa catena di fast-food dove avrebbero comprato da mangiare e molto altro.

Matteo Di Pietro, 21 anni, il titolare della srl ora indagato per l'omicidio colposo di Manuel e il ferimento della sorellina e della loro mamma, più che uno youtuber è un "marchettaro". Uno, come ce ne sono tanti, che parla ai suoi coetanei di sogni, ma in realtà i sogni sono spot pubblicitari occulti: il bungee-jumping sul fiume, il lancio dall'aereo con la scuola di paracadutismo, la cena al ristorante stellato. Perfino un giro in Ferrari con papà, che nel filmato pubblicato in rete si congiunge a Matteo e si atteggia molto sopra le righe esattamente come lui. Tale figlio, tale padre: se fossero davvero questi i sogni di tutta una generazione, saremmo spacciati.

Matteo Di Pietro, 21 anni, durante uno dei suoi show su Youtube

Puntando ai seicentomila iscritti del canale Youtube TheBorderline e a milioni di visualizzazioni dei loro video spesso demenziali, conditi da schiamazzi e risatine, anche marchi famosi hanno associato la loro reputazione all'attività pubblicitaria di Matteo Di Pietro: la multinazionale Sony, lo chef Carlo Cracco e il suo ristorante a Milano, la piattaforma di cashback Letyshop, la startup milanese Zero Gravity e tanti altri imprenditori, più o meno ignari. Magari si è trattato di un semplice scambio merce: vengo a cena e io ti cito nei miei filmati, visto che lo chef veneto non ha certo bisogno di nuovi youtuber per accrescere la sua fama.

Ma qualunque giovane pubblicitario darebbe spazio gratis a un nome come Cracco, pur di coinvolgerlo nella propria attività. Il celebre chef stellato appare infatti nel video di apertura del canale di Matteo Di Pietro su Youtube intitolato “Realizzo 10 Sogni dei miei Amici”. Un buon successo per un filmato italiano, con un milione 607mila 801 visualizzazioni in sette mesi: di cui le ultime 78mila soltanto tra venerdì sera e le sei di domenica mattina, 18 giugno 2023, quindi giorni dopo la morte del piccolo Manuel.

Contenuti da pazzi

Sony Italia aveva invece fornito le proprie videocamere Alpha, con questo annuncio pubblico, errori di ortografia e punteggiatura compresi: “Conoscete @theborderline.yt? Questi ragazzi creano contenuti da pazzi Che ne pensate dei loro video? A noi divertono moltissimo ecco perché non abbiamo esitato a dar loro qualche prodotto Alpha per offrirgli il meglio della qualità foto/video! Grazie ragazzi! #SonyAlpha #Sony”.

La pubblicità della Sony al canale di Matteo Di Pietro

Nel mondo della tv, che la rivoluzione digitale sta lentamente sbriciolando, questa si chiamerebbe pubblicità occulta. Ed è vietata. Ma non lo è sulla rete. Così marchi di successo nel loro settore di attività, come Sony, preferiscono legare la propria reputazione a incontrollabili creatori di marchette: nel gergo si chiamano così tutti i giudizi pubblicati non perché siano veri, ma perché sono stati in qualche modo pagati. Un tempo esistevano soltanto tv, radio e testate giornalistiche, che ancora oggi devono per legge dichiarare la loro gerarchia di responsabilità e rispettare codici etici di comportamento. E che, anche per questa ragione, mai avrebbero ordinato a un proprio team di correre a centodieci all'ora su una stradina residenziale per vedere l'effetto che fa.

Morire a cento all'ora per un video su TikTok - di Fabrizio Gatti

È giusto che se ne parli. Anche degli incassi della società di Matteo Di Pietro, che nei primi sei mesi di esordio, nel 2022, ha subito fatturato 188mila euro con utili del 25 per cento. Ma gli sponsor e la piattaforma YouTube non meritano la caccia alle streghe scatenata dai social dopo l'incidente mortale di Roma. Le piattaforme digitali permettono infatti una diffusione senza precedenti di conoscenza positiva, o di semplice intrattenimento. E la pubblicità consente ai più bravi di guadagnare di più e di crescere. Mentre a noi di informarci, o di divertirci. Vogliamo forse chiudere il bellissimo canale Geopop perché il proprietario di TheBorderline infrangeva i limiti di velocità e di sicurezza nel suo lavoro? Di Pietro avrebbe potuto noleggiare una pista per la sua pericolosa performance. E oggi non ci sarebbero un bimbo morto e una famiglia distrutta.

Il contatto con la realtà

Se un automobilista corre in autostrada a trecento all'ora e provoca una strage, è colpa del gestore dell'autostrada? Oppure degli sponsor che hanno pagato per esporre cartelloni con i propri prodotti nelle stazioni di servizio? Credo proprio di no. Internet è un'immensa autostrada e tutti noi che la frequentiamo per studio, lavoro o per divertimento dovremmo osservare le leggi e sostenere il rispetto reciproco. Esattamente come facciamo – o dovremmo fare – nella realtà fisica. E proprio questo, secondo la mia opinione, è il punto sfuggito a quanti si sono lanciati in queste ore nell'inutile campagna contro le piattaforme digitali e gli incolpevoli sponsor. Matteo Di Pietro e i suoi amici-colleghi coinvolti nella loro bravata mortale, come molti adolescenti o post adolescenti, hanno perso il contatto con la realtà fisica. Tanto da attraversare un quartiere residenziale a folle velocità, come si potrebbe normalmente fare in un videogioco.

Il papà di Matteo Di Pietro bacia il cofano di una Ferrari su YouTube

Tanti anni fa a Piacenza un ragazzo di diciotto anni aveva ferito gravemente con un pugno in testa un bambino di dieci anni che lo aveva semplicemente guardato, passando davanti a un bar con la sua classe in gita. Dentro il bar il diciottenne, e altri come lui, trascorrevano ore a tirare pugni a un videogioco a monete il cui scopo era colpire più persone che si incontravano per strada. Esattamente come era accaduto con il piccolo alunno. Se cerchiamo su Google l'espressione “ubriaco al volante”, escono 427mila risultati. Ecco, credo sia proprio questo il problema: Matteo Di Pietro e i suoi compagni di idiozie erano ubriachi il pomeriggio dell'incidente.

Matteo Di Pietro e i suoi fan

Non di alcol e probabilmente non solo di cannabis, rilevata nel sangue del giovane imprenditore pubblicitario alla guida, anche se non a livelli tali da alterarne le capacità cognitive. Erano invece ubriachi di stanchezza, per i due giorni e la notte già trascorsi sul Suv. Ma soprattutto erano ubriachi di visualizzazioni, di like, di follower, di fan. E di soldi: il denaro è il tema principale di molti loro filmati. Regalano banconote a chi rompe blocchi di ghiaccio o di cemento. E il mezzo di trasporto osannato sono quasi sempre auto di lusso. Perfino il padre di Matteo, un dipendente della Presidenza della Repubblica, si china a baciare il cofano di una Ferrari.

Drogato alla guida un automobilista su dieci - di Fabrizio Gatti

La sete di fama attraverso i “contenuti da pazzi” sono la tossicodipendenza di questa nuova generazione. Ma non tutti gli adolescenti, i ventenni, gli youtuber, gli influencer sono così. Al volante del Suv che ha ucciso il piccolo Manuel c'era un automobilista maggiorenne, capace di intendere e di volere, titolare di un'agenzia di marketing e perfino famoso per il suo pubblico: Matteo Di Pietro, ora indagato, ha ovviamente il diritto di fornire la sua versione dei fatti, senza essere continuamente minacciato sui social. Ma dare ora la colpa agli sponsor e alle piattaforme digitali significa incolpare tutti: quindi nessuno. Troppo facile.

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