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Domenica, 28 Aprile 2024
Le tecnologie della transizione

Non solo elettrico: cos'è l'oro verde che ci farà viaggiare e che potrebbe mettere le ali al Sud

Per sostenere la transizione energetica la Ue punta anche sull'idrogeno verde: un vettore energetico che potrebbe aiutarci a decarbonizzare industria e mezzi di trasporto pesanti. L'Italia ci scommette più di 3 miliardi di euro e le regioni più interessate sono quelle del nostro Mezzogiorno

È l'elemento chimico più diffuso in natura e potrebbe diventare presto una delle grandi chiavi della transizione energetica. Anche in Italia stanno per partire molti progetti legati alla produzione di idrogeno verde. Nel nostro Pnrr ci sono oltre 3 miliardi di euro disponibili per sviluppare la sua filiera e colmare il ritardo che ci separa dal resto d'Europa. E a trarne vantaggio potrebbero essere proprio le zone meno industrializzate dello Stivale. 

Idrogeno verde: a cosa serve e dove sono le 52 "valli" che lo produrranno

La premessa è una: l'idrogeno non è una fonte di energia, ma un vettore energetico. In natura va estratto da elementi come: acqua, metano, carbone o biomasse. Lo si può fare quindi in maniera variegata con costi diversi e differenti impatti ambientali. Nella stragrande maggioranza dei casi viene ancora oggi prodotto utilizzando idrocarburi e combustibili fossili. In questo caso il vantaggio per l'ambiente è nullo.

"Dall'idrogeno verde grandi potenzialità per l'Italia, ma oggi siamo in ritardo"

Altro discorso è quando viene invece utilizzata energia elettrica, ottenuta da fonti rinnovabili, per scindere le molecole di idrogeno e ossigeno presenti nell'acqua tramite un processo chiamato elettrolisi. È il cosiddetto "idrogeno verde" ed è la scommessa su cui si punta per accelerare sulla transizione energetica. 

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Per rendere possibile la sua produzione sono stati finanziati 52 hub (le cosiddette "hydrogen valleys") e stanziati 500 milioni di euro. Ventotto di questi progetti partiranno nel nostro Mezzogiorno e le prime realtà dovrebbero vedere la luce a fine 2024. L'obiettivo è creare dei veri e propri ecosistemi regionali in cui l'idrogeno non viene solo prodotto, ma anche stoccato e distribuito. 

Sarà essenziale in tutti quei settori industriali definiti "Hard to abate", ovvero dove si deve ricorre ad alte temperature e l'elettrificazione non è una strada praticabile. È il caso della siderurgia, ma anche dei cementifici o dell'industria del vetro e della ceramica. In questi settori l'idrogeno potrebbe, in prospettiva, sostituire il gas naturale.

"Le rinnovabili non bastano: servono idrogeno e stoccaggio di Co2 per vincere la sfida del clima"

“In molti processi industriali si utilizza da tempo. Il problema è che parliamo di idrogeno grigio, ovvero prodotto utilizzando prevalentemente gas naturale - ci spiega Massimo Santarelli, professore del Politecnico di Torino e tra i massimi esperti in Italia di tecnologie legate all'idrogeno - La transizione è verso l'utilizzo di quello verde, ovvero prodotto tramite fonti rinnovabili. Sottolineo che un'altra grande applicazione è l'utilizzo di questa molecola per sintetizzarne altre come il metanolo e l'ammoniaca. Parliamo dei cosiddetti e-fuel (o ancor meglio e-chemicals) che potrebbero rivelarsi importanti nella chimica e nei trasporti". 

Auto a idrogeno: perché non è (al momento) una soluzione 

Si, perché non c'è solo l'industria. Il ministero dei Trasporti ha stanziato 103 milioni di euro per la realizzazione - entro il 2026 - di 36 impianti che distribuiranno idrogeno su tutta la Penisola per i mezzi che viaggiano su gomma. Sembrerebbe l'inizio di una rivoluzione. Non è così.

Le auto idrogeno sul mercato sono molto poche, i costi elevati. La ragione è semplice: l'utilizzo di questa tecnologia non è al momento conveniente. E non è solamente una questione di infrastrutture mancanti, ma di efficienza energetica. La trasformazione dell'energia elettrica in energia di trazione, nel caso di un auto a idrogeno, richiede molti più passaggi rispetto a quelli necessari per alimentare una batteria. 

L'energia elettrica (proveniente da fonti rinnovabili) viene utilizzata, in questo caso, in primis alimentare il processo di elettrolisi. Successivamente l'idrogeno deve venire stoccato e distribuito e, infine, trasformato una seconda volta in energia elettrica all'interno del motore a celle a combustibile. A risentirne è l'efficienza che, nel caso di un auto a idrogeno, è significativamente più bassa rispetto a quella di una alimentata con batterie al litio. Un'evidenza che limita anche il suo utilizzo nel trasporto pubblico di tipo urbano: al momento le opzioni offerte dell'elettrico a batteria sembrano molto più convenienti. 

Discorso diverso va fatto invece per il traffico ferroviario. L'Italia ha finanziato il progetto H2iseO in Val Camonica. I primi quattordici treni a idrogeno italiani dovrebbero entrare in funzione entro la fine del 2024: il primo è stato presentato a Milano lo scorso 3 ottobre. Ma il progetto ha attirato parecchie critiche. La Germania, ad esempio, dopo aver investito su questa tecnologia ha deciso infatti di fare un passo indietro.

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"In Germania il problema è stato di tipo infrastrutturale un aspetto che da noi si è curato molto. Se le infrastrutture non ci sono o vengono disegnate male i costi lievitano - sottolinea il professor Massimo Santarelli che aggiunge - I treni a idrogeno convengono a determinate condizioni: ad esempio quando la linea non è ancora elettrificata, i tratti presentano lunghe percorrenze e magari asperità. E quando bisogna trasportare materiali pesanti su lunghe distanze". 

Navi, aerei e forni: dove l'idrogeno potrebbe essere fondamentale 

Il vantaggio energetico dei mezzi elettrici viene di fatto vanificato da due fattori: la distanza e il peso. Tra i motivi c'è sicuramente la non elevata autonomia delle batterie, ma non solo. "Se dovessi spostare un tir elettrico da Torino ad Amburgo, i tre quarti del carico sarebbero occupati dalle batterie, il vantaggio competitivo che si osserva sui brevi percorsi con mezzi di dimensioni inferiori si perde. In questi casi l'idrogeno potrebbe svolgere un ruolo fondamentale" osserva il professor Santarelli. 

Dall'idrogeno un quarto dell'elettricità consumata in Europa entro il 2030

Discorso analogo può essere fatto per le navi e gli aerei: è improbabile al momento fare muovere mezzi di queste dimensioni sfruttando l'elettricità delle batterie. L'idrogeno potrebbe costituire una soluzione, ma a fare la differenza potrebbero essere anche i cosiddetti e-fuels.IDROGENO.png

"L’alternativa sono anche i biocombustibili, ma non è possibile pensare di coprire tutto il sistema trasporti tramite bio-fuels, vorrebbe dire utilizzare i terreni coltivabili solo per produrre carburanti - osserva Santarelli - quindi prevedo potenzialità sia per l'idrogeno, che per molecole come etanolo e ammoniaca derivati dalla sua sintesi". 

E poi c'è l'applicazione legata alle caldaie. In commercio già ci sono le prime basate su una miscela di idrogeno e metano. Il primo è presente in una percentuale di appena il 20%, una quota destinata a salire in futuro. Ma, l'alternativa tecnologica rappresentata dalle pompe di calore appare più efficiente.

Discorso diverso va fatto invece per i forni industriali: in questo caso la combustione dell'idrogeno potrebbe essere un'ottima opzione di decarbonizzazione del processo, percorribile a breve termine. 

Una tecnologia jolly per il Sud (non solo d'Italia) 

E se è soprattutto il nostro Sud a produrre mediamente più energia da impianti a energia eolica e solare, una parte di questa energia potrebbe essere "trasformata" e stoccata in idrogeno verde. In questo senso la produzione di questo vettore energetico potrebbe trasformarsi in una buona opportunità per alcune tra la aree d'Italia più penalizzate dal punto di vista industriale. Non è un caso che, gran parte delle Hydrogen Valleys, siano situate nel nostro Mezzogiorno. 

(Se non visualizzi il grafico clicca qui)

"Al Sud ci sono le condizioni migliori per sfruttare le rinnovabili, ma potrebbe essere conveniente produrre idrogeno anche in Paesi come Nord Africa o Medio Oriente - osserva Massimo Santarelli - Questo perché mediamente c’è molto sole e ci sono territori desertici che possono essere utilizzati per gli impianti fotovoltaici ed eolici. In piccolo, la minore densità abitativa e l’abbondanza di vento e sole, è anche il vantaggio che caratterizza il Sud Italia”. 

Così si nasconde la Co2 sotto l'Adriatico per salvare il clima (e si guadagnano 30 miliardi)

E anche la Ue ci crede, investendo sul SoutH2, un gasdotto di idrogeno di 3.300 chilometri che dovrebbe collegare Nord Africa, Italia, Austria e Germania entro il 2030. Gran parte dell'idrogeno verde dovrebbe essere prodotto sulle sponde africane del "Mare Nostrum" e l'obiettivo è di arrivare a 30 milioni di tonnellate nel 2030. Così, parte del riscatto del Mediterraneo potrebbe nascondersi anche in una goccia d'acqua. 

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