rotate-mobile
Sabato, 27 Aprile 2024
L'intervista

"Così le big company seppelliscono la Co2 sotto al tappeto per continuare a inquinare"

L'intervista al direttore di Greenpeace Italia, Giuseppe Onufrio, che ci ha parlato delle tecnologie per la cattura e lo stoccaggio dell'anidride carbonica e dell'uso strumentale che le multinazionali degli idrocarburi starebbero facendo dell'idrogeno

"Dello stoccaggio della Co2 se ne parla da 50 anni e possiamo contare più fallimenti che successi". È netto il giudizio di Giuseppe Onufrio, fisico e direttore di Greenpeace Italia, sull'impianto che Eni sta mettendo in campo a Ravenna con il progetto Callisto. La tecnologia dello stoccaggio della Co2 con la relativa produzione del cosiddetto 'idrogeno blu' viene vista dagli ambientalisti come una vera e propria operazione di greenwashing da parte di chi ha contribuito a creare il problema del riscaldamento climatico e oggi non vuole smettere di utilizzare le fonti fossili. 

Dall'Adriatico 30 miliardi di euro: così l'Italia nasconderà la Co2 prodotta in Europa

"Sul tema c’è anche una celebre conferenza dell’ex vice-presidente americano Al Gore che dimostra che tutta questa tecnologia sia una truffa - racconta Onufrio a Today - Faccio notare che nessuno ha impedito alle aziende petrolifere di svilupparla e spesso sono state anche sostenute da importanti investimenti pubblici, ma hanno fallito. In Italia abbiamo anche un precedente andato a vuoto”.

Di che precedente parla dottor Onufrio?

“Parlo dell’impianto di stoccaggio della Co2 a Cortamaggiore, nel piacentino, previsto nel 2011 e di cui non si è più saputo nulla”

Perché allora le multinazionali del petrolio stanno puntando su questi progetti?

“L’industria del petrolio e del gas vuole convincerci che raccogliendo, separando e sotterrando le emissioni abbiamo risolto il problema. In realtà il 70 per cento di questi progetti servono solo a estrarre più petrolio con quella tecnica chiamata “Enhanced oil recovery”.

Un aspetto critico è quello dei costi…

"Se si vuole adeguare un impianto a gas a separare, stoccare e trasportare la Co2, si aumentano i consumi dal 30 al 60 per cento. Quindi da una produzione di 100 si passa a una di 70, quando va bene. La prima domanda che dobbiamo farci è: in una crisi internazionale, come quella seguita alla guerra in Ucraina, quali saranno i primi impianti a essere fuori mercato? La risposta credo sia semplice”

attivisti_greenpeace_protesta_lapresse

Quali sono allora i veri obiettivi di questi impianti?

“Tutto questo sistema dovrebbe servire a produrre idrogeno cosiddetto ‘blu’ o energia a basse emissioni, ma viene applicata a delle fonti di energia che saranno sempre meno convenienti. Ed è un intervento molto costoso. Ma se i signori del gas e del petrolio ne parlano, anche se in anni non sono riusciti a cavare un ragno dal buco, c’è una ragione”.

Quale?

“Servono a dare l’impressione all’opinione pubblica che anche loro stanno facendo la transizione energetica ed è falso. In sostanza siamo di fronte al tentativo di voler mettere sotto al tappeto la ‘sporcizia’ delle emissioni con un investimento a perdere. E credo che prima o poi, De Scalzi (amministratore delegato Eni, ndr) e i suoi dovranno risponderne anche agli investitori, per quanto riguarda Callisto".

Ci sono anche delle incognite su questa tecnologia?

“In primis quello della micro-sismicità, e sappiamo che la zona di Ravenna non è immune a fenomeni di natura sismica. Inoltre c’è il pericolo della reale impermeabilità del suolo: chi pagherà se un domani questa anidride carbonica riemergerà?”

Qual è la soluzione?

L’industria del petrolio e del gas andrebbe nazionalizzata per pianificarne il declino. Tutto questo dibattito sullo stoccaggio dell'anidride carbonica serve solo a perdere tempo”.

Pensa che le multinazionali del gas e del petrolio siano in crisi?

“Il vero problema è che non riescono a entrare nel mercato delle rinnovabili, perché sono abituati a un contesto diverso con pochi grandi progetti e dominato da una logica di cartello. Quello delle rinnovabili invece è dominato dalla competitività e ci sono tanti piccoli progetti: cambia completamente l’approccio”.

Molti però associano la tecnologia della cattura e dello stoccaggio della Co2 allo sviluppo dell’idrogeno…

“Parliamo di un’altra bufala: gli impianti da realizzare per rendere l’idrogeno una realtà sono al momento molto complessi e presentano costi elevati. L’auto elettrica ha già invece un’infrastruttura funzionante, quindi presenta un vantaggio competitivo.

Ma c’è proprio un problema energetico di fondo: le celle a combustione dei motori a idrogeno sono molto delicate e possono facilmente perdere efficienza. Attualmente poi l'energia elettrica di partenza utilizzata per creare idrogeno è superiore a quella prodotta da un motore alimentato con questo elemento. A oggi quindi non è certo conveniente".

Pensa le stesse cose anche del cosiddetto “idrogeno verde”, ovvero quello realizzato con elettricità proveniente dalle rinnovabili?

"L’idrogeno verde è al momento costoso, ma ci saranno dei settori in cui potrà avere delle applicazioni. A mio avviso dovremmo elettrificare per il 70-75 per cento del nostro apparato produttivo, poi ovviamente rimarranno dei settori in cui anche l’idrogeno potrà essere utile e avere delle applicazioni. Ma non parliamo di oggi, è una soluzione in prospettiva".

L’Eni sta sbagliando quindi anche sull’idrogeno?

"Se fossi un investitore mi chiederei perché la compagnia sta investendo nel cosiddetto “idrogeno blu”, ricavato da fonti fossili, quando quello verde costerà sempre meno anche per l’abbassamento del costo delle energie rinnovabili e degli elettrolizzatori che vengono usati per scindere acqua e ossigeno.

Ma non siamo noi gli azionisti di Eni: il nostro interesse è che non si investano soldi pubblici per permettere alle multinazionali del gas e del petrolio di continuare a portare avanti il loro business. Sarebbe una vera e propria beffa".

Sullo stesso argomento

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Today è in caricamento