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Domenica, 28 Aprile 2024

La guerra azzera anche animali e natura (che Zelensky voleva riforestare)

In Ucraina, come in tutti i Paesi che corrono dal Mar Baltico al Marz d’Azov, anche la natura è di confine. Sulla carta, l’Europa finisce con gli Urali molto più a est e mette dentro anche la Russia. Ma in una singolare concomitanza tra la storia dell’uomo e le dinamiche degli ecosistemi, dal Paese di Zelensky si srotolano habitat di frontiera in cui si mescolano specie europee e specie asiatiche. Il bisonte, l’alce, il cavallo selvatico. Una “terra di mezzo” fertilissima, flagellata per questo da decenni di guerre tra due blocchi contrapposti che hanno distrutto buona parte della sua anima profonda. Senza contare il disastro di Cernobyl, che ebbe effetti sul calo di popolazioni animali (soprattutto uccelli) fino in Francia e Norvegia. E il nuovo conflitto ha azzerato il grande piano di riforestazione del Paese annunciato da Zelensky stesso dopo la COP26. Così, in Ucraina si rischia di dare il colpo di grazia a specie e habitat già sull’orlo dell’estinzione, che nell’ultimo ventennio hanno dovuto affrontare un tasso di disboscamento tra i più alti al Mondo.

A sud, fuori da Odessa, Cherson e Mariupol dove infuriano assedio e combattimenti, nascono le steppe sarmatiche che si srotolano fino al Kazakistan. Qui avremmo visto pascolare insieme il bisonte europeo, il più grande mammifero del Vecchio Contente e il tarpan, uno dei gli cavalli ultimi selvatici di origine asiatica. Ma il primo non vive più nel Paese anche a causa della caccia per carne che ha sfamato eserciti e popolazioni durante la Seconda Guerra Mondiale. Ed è stato ripreso per la coda, reintroducendolo con successo tra Romania, Slovacchia e Polonia. Il secondo è estinto definitivamente. Non esiste più al mondo se non con lontani parenti in Mongolia, anch’essi reintrodotti dall’uomo dopo la scomparsa in natura. D’altronde, l’Ucraina è il “granaio d’Europa” e lo abbiamo imparato a nostre spese in questi giorni. Anche sventolandone la bandiera, probabilmente ignari di sapere che rappresenta il giallo dei campi coltivati sullo sfondo blu del cielo limpido. Il che è già indicativo di quanto, al posto delle praterie euroasiatiche, siano serviti all’economia i campi agricoli per caricare le navi in partenza dai porti del Mar Nero. Ma insieme ai grandi mammiferi già scomparsi, anche i più piccoli hanno fatto le spese di una massiccia conversione di suolo. Sull’orlo del baratro e minacciati da nuove bombe, ci sono oggi anche il citello (scoiattolo di terra) e il criceto selvatico. Piccoli roditori legati alla vita della steppa, oggi gravemente minacciati di estinzione.

Non va meglio alle foreste che si estendono più a nord, dove Kiev accerchiata sta diventando il centro dell’offensiva russa. L’Ucraina è coperta dal 19% di foreste e nei soli ultimi venti anni, ha subito tassi di disboscamento che l’hanno resa orfana di più di un milione di ettari di boschi. Subito dopo la COP26 del novembre scorso, fu Zelensky stesso a tentare di salvare il salvabile annunciando un grande piano di riforestazione, che prevedeva la piantumazione di un milione di ettari di alberi in un decennio. Praticamente quello che si era perso negli ultimi due. Ma non ne ha avuto il tempo. A beneficiarne sarebbero stati grandi e piccoli mammiferi legati alla presenza di faggi, abeti, betulle, pioppi, querce, ontani e aceri. Come l'alce eurasiatico, che vive tra i boschi di conifere e latifoglie a nord-ovest, in declino a causa della caccia. O il castoro, l’ingegnere della natura che tiene in equilibrio il dissesto idrogeologico delle foreste europee, quasi estinto per caccia anch’esso. Un eco-annuncio, quello del premier ucraino, che probabilmente dovrà attendere ancora decenni di instabilità sociale ed economica. Che sconteranno tutti. Anche gli animali selvatici.

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