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Venerdì, 26 Aprile 2024
Capitale sociale

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A cura di Giuseppe De Marzo

Monselice come Taranto: la lunga battaglia contro il cemento

Dopo aver passato il primo maggio a Taranto con il Comitato dei cittadini e lavoratori liberi e pensanti, Miseria Ladra continua il suo viaggio e questa volta si sposta al Nord. Siamo stati a Monselice, una cittadina della bassa padovana, ospiti della scuola di Giustizia, Pace e Integrità del Creato (gpic) "Liberi per Liberare" dei frati Minori del Veneto. Grazie a loro abbiamo anche incontrato i comitati ambientalisti della zona, da sempre impegnati nella difesa del territorio.

Questa città è stata protagonista di diverse vicende che, come a Taranto, coinvolgono giustizia sociale e ambientale. Qui Italcementi, multinazionale di materiali da costruzione, aveva in programma di investire 160 milioni per rinnovare il proprio impianto. Un'operazione detta di revamping: al posto dei tre camini sarebbe stata costruita una torre di 89 metri. In cambio l'azienda avrebbe potuto continuare l'attività per altri 29 anni. Nello stabilimento lavorano circa quattrocento dipendenti, tra chi è direttamente operaio Italcementi e chi invece è impiegato con l'indotto.

A pochi chilometri c'è il Parco dei Colli Euganei, un luogo dalle grandi risorse agricole, con impianti termali e zona di attrazione per il turismo. Sottoscrivere l'accordo sarebbe significato condannare questa zona all'inquinamento di polveri sottili dovute alle emissioni, tra ossidi di azoto e biossidi di cloro, altamente tossici. Inoltre l'impianto Italcementi non è l'unico: in circa 5 chilometri quadrati, si trova anche la Cementeria di Monselice e Cementeria Zillo a Este, paese vicino. La più alta concentrazione di cementifici in Europa.

Contrari da sempre al progetto di revamping sono i comitati "Lasciateci respirare" e "E noi", nati dalla partecipazione dei cittadini e appoggiati da alcuni rappresentanti delle amministrazioni locali. Il progetto è stato bloccato da un ricorso al Tar del Veneto, su proposta prima dei comitati e poi dei comuni di Este e Baone. Lo stesso tribunale amministrativo ammette:

“La previsione di un nuovo ciclo produttivo di durata di 28 anni, l’innalzamento di una nuova torre alta ben 89 metri, la costruzione di tubazioni, relative alla linea di macinazione, di 70 metri di altezza media dal piano di posa non contengono, ma aggravano notevolmente e palesemente l’impatto ambientale e paesaggistico oggi esistente”.

A inizio anno però il consiglio di Stato accoglie il ricorso di Italcementi rispetto alla decisione del Tar. Il revamping non viene avviato e l'azienda decide di trasformare l'impianto produttivo padovano in un centro di macinazione. I comitati si oppongono al progetto, che non avrebbe diminuito le emissioni, ricevendo la solidarietà della Commissione Ambiente, Sanità Pubblica e Sicurezza Alimentare (Envi) del Parlamento europeo:

"È paradossale che strutture di questo tipo abbiano limiti di emissioni addirittura più permissive di quelle degli inceneritori (Direttiva IPPC 2008/1/CE). Il risultato è che per fare il cemento si brucia di tutto e che le immissioni nell’atmosfera e le ceneri di combustione che finiscono nel prodotto se li beccano i cittadini".

Italcementi ha deciso di cessare anche quest'attività e adesso, ai danni ambientali causati in questi anni, si somma il dramma del futuro ancora incerto di circa quattrocento lavoratori. Ancora difficile è contare i decessi legati all'inquinamento poiché non ci sono degli studi specifici. Ciò che si sa per certo è che almeno una sessantina di ex dipendenti dell'Italcementi sono morti di patologie tumorali. Lo stesso parroco della cittadina si è detto più volte "stufo di celebrare funerali dei lavoratori delle cementerie".

In questa zona l'impegno dei comitati non si è mai fermato e questo ha messo in guardia chi difendeva gli interessi della multinazionale: poco tempo fa il sindaco di Monselice, Francesco Lunghi ha presentato una 'class action' contro tutti coloro che in un modo o nell'altro si sono opposte al progetto di revamping. Anche qui come a Taranto sembra che sia necessario scegliere tra salute e lavoro, contrapponendo diritti Costituzionali non alienabili. Non si sarebbero potuti trovare degli ammortizzatori per i lavoratori dell'impianto? Non si poteva investire su filiere produttive non inquinanti, sostenendo la formazione dei lavoratori da ricollocare? E dopo tutti questi anni di inquinamento e polveri sottili chi ridarà indietro alla cittadinanza territorio e salute? I costi sociali e ambientali nel bilancio da chi vengono contabilizzati?

Chi ha logorato ambiente, terra, salute e lavoro in queste zone lo ha fatto nel nome del profitto, senza mai tenere conto di chi ne avrebbe subito le conseguenze. Secondo i dati aggiornati al 2011 del ministero dello Sviluppo Economico, con l'avvento della crisi dal 2008 la produzione del cemento è crollata di un terzo. Inoltre l'industria cementiera è capital intensive quindi nel lungo termine non si possono mantenere gli impianti al 50-60% della capacità, perché diventano insostenibili. Italcementi sapeva tutto questo sin dall'inizio ma invece di cercare di tutelare la salute e il lavoro ha scelto la via del profitto fino all'ultimo, arrivando anche a denunciare e chiedere un risarcimento di 160 mila euro per diffamazione e danni all'immagine a "Lasciateci respirare" e "E noi". I comitati invece hanno scelto l'altra via, quella che cerchiamo di far crescere e conoscere con la nostra campagna.

Per questo portare qui Miseria Ladra e confrontarsi con chi ha vissuto tutto questo è importantissimo: significa costruire un punto di vista generale condiviso sulla giustizia ambientale e sociale, rafforzando conoscenze e pratiche capaci di renderle possibili, avendo come obiettivo urgente e necessario la riconversione ecologica delle attività produttive e della filiera energetica. E' questa l'unica strada in grado di riconnettere il diritto al lavoro con quello alla salute.

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