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Domenica, 28 Aprile 2024
Il caso / Brindisi

Rimane incinta durante il periodo di prova e viene licenziata il giorno dopo con un messaggio su whatsapp

Il tribunale di Brindisi ha accertato la natura discriminatoria del recesso. Gli avvocati della donna: "L'esito non era affatto scontato"

Licenziata perché incinta: ora otterrà 13mila euro di risarcimento. Lo ha stabilito il giudice del lavoro del tribunale di Brindisi, Gabriella Puzzovio, che ha accertato la natura discriminatoria del recesso intimato alla lavoratrice di una cooperativa. Si tratta della 38enne Giorgia Marinò, di Brindisi. Il suo ex datore di lavoro è stato condannato a corrisponderle 13mila euro a titolo di risarcimento danno. La somma è stata quantificata sulla base delle retribuzioni non corrisposte dal recesso fino alla scadenza del contratto. La cooperativa potrà ricorrere in appello. 

La vicenda è stata raccontata dal Nuovo Quotidiano di Puglia. La donna fu assunta il 7 febbraio 2020, per un anno, previo superamento del periodo prova di 60 giorni. Il 30 marzo 2020, la lavoratrice ha comunicato alla coordinatrice lo stato di gravidanza, chiedendo di essere esonerata dai turni notturni. La coordinatrice le avrebbe fornito rassicurazioni sull’accesso alla maternità anticipata, con riserva di successive indicazioni sull’iter da seguire. Ma l’1 aprile 2020, a lavoro, le è stata consegnata la lettera di licenziamento, per mancato superamento del periodo di prova. 

A quel punto la donna si è rivolta agli avvocati Marco Paladini e Ornella Bruno Stamerra per la tutela dei propri diritti. Il collegio difensivo ha presentato ricorso perché fosse accertata la natura discriminatoria del recesso. "Se è pur vero che durante il periodo di prova non vige il divieto di licenziamento durante il periodo di gravidanza – sostengono i legali - è altrettanto vero che se il datore di lavoro è a conoscenza dello stato gravidanza della lavoratrice, è obbligato a motivare il recesso". Nel caso di specie, come rimarcano i legali della lavoratrice, "il datore non solo non ha specificato le ragioni del recesso, ma prima della comunicazione dello stato di gravidanza, ha inviato alla lavoratrice i turni di lavoro per il mese successivo ritenendo di fatto superato il periodo di prova".

La cooperativa, in fase istruttoria, ha sostenuto di non essere mai stata posta a conoscenza dello stato di gravidanza della ricorrente e ha altresì rivendicato la sussistenza del giusto motivo per il recesso in ragione delle criticità rilevate nel corso del rapporto di lavoro. Ma il giudice ha ritenuto fondate le ragioni della lavoratrice perché "sono emersi i fattori di discriminazione essendo stato provato a monte che il datore di lavoro fosse a conoscenza dello stato di gravidanza e non vi fossero valide ragioni giustificative del recesso".

"La conoscenza dello stato interessante della ricorrente – si legge nella sentenza - può esser senz’altro desunta dalla messaggistica whatsapp prodotta in atti e dalla condotta del datore di lavoro che in prossimità della scadenza del periodo di prova le inoltrava i turni per il mese di aprile per poi, recedere dal contratto il giorno successivo alla notizia della gravidanza". 

La cooperativa ha anche prodotto una nota in cui vengono segnalate una serie di criticità sul servizio svolto da Marinò. Ma questo non viene ritenuto sufficiente "ai fini della dimostrazione dell’esito negativo della prova, specie laddove si consideri che nessuno dei testimoni (esclusa la redattrice della nota)  - scrive il giudice - è stato in grado di confermare le presunte criticità denunciate in capo alla ricorrente". 

"Il collegio difensivo - affermano gli avvocati Marco Paladini e Ornella Bruno Stamerra - si ritiene totalmente soddisfatto perché l'esito non era affatto scontato attesa la difficoltà di dimostrare il fine discriminatorio di un comportamento apparentemente lecito". "La lavoratrice - proseguono i legali - ha voluto rendere pubblica la sua vicenda personale per supportare, aiutare, e coinvolgere tutte quelle donne che si trovano discriminate sul posto di lavoro. Ciò che ha turbato di più la signora Marinò – concludono - è il ruolo attivo assunto dalla coordinatrice nell'aver mandato a casa un'altra donna solo perché è in dolce attesa".  

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