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Venerdì, 26 Aprile 2024

Alfonso Bianchi

Giornalista

Ma perché 'lui/lei' ai gender fluid va bene e 'il' presidente a Meloni no?

L'Italia ha finalmente una donna presidente del Consiglio ma come spesso accade nel nostro Paese anche il chiaro avanzamento dal punto di vista dell'uguaglianza di genere non è poi così chiaro (non per tutti almeno) e risulta altamente divisivo. “Avrei tanto voluto una premier donna, ma non lei”, è il refrain più ripetuto nelle ultime settimane nel campo progressista e femminista.

E a complicare ancora più le cose la decisione di Giorgia Meloni di farsi definire in tutti i comunicati di Palazzo Chigi 'il' presidente del Consiglio, e non 'la', dando il via a il solito dibattito acceso nel campo della sinistra e che annoia quello della destra (e forse la popolazione in generale...). Immediatamente sono partiti gli interventi (spontanei o sollecitati) delle alfiere del femminismo nostrano (o almeno di quelle 'mainstream' diciamo). "La prima donna premier si chiama maschile... Usare la forma femminile è troppo per il leader di FdI, un partito che già omette Sorelle dal suo nome?", ha twittato Laura Boldrini.

Proprio Boldrini in passato ha fatto una giusta battaglia perché ci si rivolgesse a lei chiamandola 'la' presidente della Camera e non 'il' presidente (cosa poi dileggiata dagli stupidi sostenendo, falsamente, che volesse essere chiamata la presidenta o la presidentessa). E allo stesso modo si era battuta affinché anche donne sindaco o ministro venissero chiamate sindaca e ministra. Ovviamente con la scusa della grammatica e della presunta bruttezza delle due espressioni, si era scatenata una polemica infinita contro la tremenda estremista accusata di violentare la nostra lingua sull'altare del wokeism (una polemica sostenuta in grandissima parte da maschi eterosessuali, quindi persone in una chiara posizione di maggioranza e privilegio in una società come la nostra, come chi scrive questo blog).

Ma il punto è proprio questo: Boldrini fece la sua battaglia e giustamente e correttamente la chiamammo 'la' presidente, ora perché non dovremmo chiamare 'il' presidente Meloni se lei lo desidera? Anche perché per le cariche, come ricorda l'Accademia della Crusca, il maschile non marcato, cioè il maschile che non ha una connotazione di genere ma che ha valore neutro (che ci piaccia o no questa è la nostra lingua), è una forma desueta (anche grazie a battaglie come quella di Boldrini) ma non sbagliata.

Perché se per essere politicamente corretti possiamo chiamare 'lui/lei' le persone gender fluid (e addirittura 'loro' alcuni vorrebbero), o 'lui' una persona che è donna dal punto di vista biologico ma si sente uomo, non possiamo anche rispettare la volontà di Giorgia Meloni che tra l'altro, sempre che ci piaccia o meno, è il nostro (o la nostra) presidente del Consiglio? Perché a lei dobbiamo dire Zitta, tu sei donna e quindi sei 'la' presidente e basta. Così abbiamo deciso, tu non hai voce in capitolo. Anzi, visto che ti trovi, vai anche in cucina a fare i piatti e stira la camicia al tuo compagno.

Ovviamente quella di Meloni non è una scelta di genere ma una scelta politica e conservatrice, che ribadisce che alcune tradizioni, in questo caso grammaticali e di pura forma, per quanto forse maschiliste hanno ancora un senso e vanno rispettate. E allora? Non è questa una posizione che merita di essere accettata nel dibattito pubblico, per quanto si possa non condividerla? È qui che nasce il cortocircuito femminista (e mi scuso ancora se a criticarlo è il maschio e quindi privilegiato di cui sopra). Se non accettiamo di chiamare 'il' presidente Meloni, non siamo simili a coloro che non vogliono dire 'la' presidente Boldrini o non rispettano l'autodeterminazione di genere?

 "Dal punto di vista simbolico lei, che pretende l'articolo maschile sta dicendo 'io governerò come un maschio'", ha detto la scrittrice Michela Murgia, secondo cui questa sarebbe "la migliore risposta possibile a chi gioisce per una donna al potere. Non è il sesso di chi comanda che conta, è il modello di potere che si ricopre. Il modello di potere di Giorgia Meloni è quello maschilista 'al maschile'".

Questo potrebbe essere vero, si può essere una donna al potere e non fare gli interessi delle donne come si può essere un immigrato o di origini immigrate e non fare gli interessi degli immigrati. Si può essere quello che in maniera brutale (ma efficace) Malcolm X definiva un “house negro”, riferendosi ai neri che durante il periodo dello schiavismo venivano messi in posizioni di privilegio dai loro padroni e che, per mantenere questo privilegio, diventavano crudeli con gli altri schiavi.

Ma possiamo permetterci di accusare di questo Meloni senza neanche aspettare di vedere come si comporterà? Farle opposizione se dovesse mettere in pericolo il diritto all'aborto è un conto, dire che non è una donna degna di questo nome perché vuole essere chiamata 'il' primo ministro è un altro. Possiamo non condividere le sue idee, ma dovremmo almeno rispettare la sua volontà di farsi chiamare con il genere grammaticale che preferisce. Proprio come facevamo con Boldrini.

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