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Sabato, 27 Aprile 2024
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Capezzoli in mostra, sì o no? Nel dubbio, si (s)coprono: lo dice la storia

Da Elodie a Chiara Ferragni, sui social si sfoggiano indumenti che coprono appena nudità esibite come si fa da secoli: i corsi e ricorsi della moda che attinge dal passato per continuare a esistere

Semplifica molto definire "top" o "reggiseno" l'assemblaggio di due foglie di fico realizzate all'uncinetto per restare ferme - più o meno - sui seni più in voga del momento. Dare un nome alle cose, però, aiuta. Ancor più se attorno a questi minuti lembi di tessuto si sviluppa il classico dibattito che contrappone gusti estetici ad eventuali considerazioni di inappropriatezza; valutazioni sull'effettiva utilità del capo in questione a oggettive osservazioni sulla loro praticità. E pure, diciamolo, sui capezzoli femmili, ampiamente protagonisti dei contesti che lottano contro la loro censura, ora evidenziandoli con ogni sorta di maglietta-fina-tanto-stretta-al-punto-che-m-immaginavo-tutto ampiamente normalizzata, ora precisamente coperti quel tanto che basta a lasciare nudo il resto (i pezzetti di scotch sistemati a croce da Victoria dei Maneskin, per esempio). E il caso del costume adamitico che - almeno per ora - è stato platealmente sfoggiato da Chiara Ferragni, Elodie, Gilda Ambrosio torna sulla faccenda di queste piccole ma potentissime sporgenze che solo quando sono prerogativa delle donne diventano simboli della libertà di (s)vestirsi, senza censure e senza tabù, con l'obiettivo di renderle normali tanto quanto quelle dell'uomo. 

#freethenipple, insomma. #capezzoliberi. Di essere mostrati senza che gli altri giudichino in alcun modo la scelta di esporli. E pure di essere coperti mentre il resto del seno è spogliato. E sìa se c'è gente ancora poco predisposta che dice no a tanto spettacolo. La verità è che più di due tette può un capezzolo, dettaglio di seduzione e simbolo di emancipazione della donna da tempi molto più antichi di quanto si potrebbe immaginare.

Quando i capezzoli hanno fatto la storia nella moda 

Il movimento Free the Nipple è nato nel 2012 con lo scopo di osteggiare l'idea che all'uomo sia concesso mostrarsi in pubblico  con i capezzoli in vista senza generare occhiate e occhiatacce, mentre alla donna no, bloccata dall'idea che il nudo femminile sia per definizione indecente. Si sostiene, in sostanza, che dovrebbe essere legalmente e culturalmente accettabile per tutti scoprirsi allo stesso modo, senza differenze. Autrice della campagna Lina Esco, regista di un documentario che mostrava se stessa correre in tolpess per le strade di New York proprio per attirare l'attenzione sulla questione dell'uguaglianza di genere e incoraggiarne la discussione. Allora le relative clip con l'hashtag #FreeTheNipple spopolarono sui social per poi essere rimosse da Facebook con la motivazione di aver violato le sue linee guida. La decisione divenne così cassa di risonanza per la campagna, sostenuta anche da cantanti come Miley Cyrus e Rihanna pronte a metterci la faccia (e la parte del corpo "incriminata") nelle immagini circolate in rete a sostegno dell'iniziativa di Esco. 

Ma andando indietro nel tempo, si scopre che la tendenza a liberarsi dalle ataviche concezioni maschiliste facendo leva proprio sul dettaglio tanto "scandaloso" risalgono a molti, moltissimi secoli prima. Ai primi anni del '700 per l'esattezza, quando si attribuisce a Émilie du Châtelet, filosofa e matematica francese nota anche per essere stata sentimentalmente legata a Voltaire, il principio di una rivoluzione solo apparentemente frivola. Pare, infatti, che la donna amasse far risaltare i suoi capezzoli sotto gli abiti trasparenti, a volte evidenziandoli con qualche trucco che oggi chiameremmo make up, altre volte lasciando che emergessero platelamente da vertiginose scollature. Un modo di imporre la propria fisicità davvero rivoluzionario per quell'epoca, volto all'emancipazione da costrizioni sociali maschiliste che passavano anche dagli abiti, dalla moda ingessata in cui le donne dovevano restare. Immobili. 
Dopo di lei fu Paolina Bonaparte a solcare la stessa scia dell'anticonformismo: si attibuiscono alla sorella di Napoleone, infatti, i primi modelli di stravaganti reggiseni come due coppette dorate e, pure a lei, la tendenza a fare proprio lo stesso vezzo della sua antesignana di scurire i capezzoli per non farli passare inosservati. 

La moda prende appunti

Dettagli. Particolari trascurabili da un occhio pigro che si ferma sulla superficie di un capriccio vanitoso squisitamente femminile; leve possenti in grado di contribuire a capovolgere un intero sistema per chi, come Yves Saint Laurent, nel 1968 ne coglie la poderosa portata intuendo come il corpo delle donne, quand'è nudo, vale più di una dichiarazione urlata a gran voce o scritta a caratteri cubitali. Sua, infatti, è la prima sfilata di abiti in tessuto trasparente dove il famoso vedo-non-vedo diventa show di curve concave e convesse, di seni ostentati ma rifiutati dalle riviste di moda dell'epoca scandalizzate da un azzardo che puntava ad offrire un altro approccio alla fisicità. La stessa che oggi, dopo i seni esaltati dai coni rigidi e appuntiti di Jean-Paul Gaultier sul finire degli anni Ottanta e dalle top model in copertina negli anni Novanta, si ritrova adesso qua, esaltata da due foglie di fico che coprono, ma forse no, incuriosiscono, ma nemmeno più di tanto. Corsi e ricorsi della moda che attinge dal passato per continuare a esistere. Piaccia oppure no, liberi di esprimersi. E' libertà anche quella. 

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