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Domenica, 28 Aprile 2024

La recensione

Gianluca Anoè

Giornalista

Diario di una quarantena: la storia di Lucy, che è quella dei suoi lettori

È un tuffo in un passato che di piacevole non ha nulla, fatto di preoccupazione, ansia e instabilità emotiva. Lucy davanti al mare di Elizabeth Strout, quarto capitolo del ciclo di Lucy Barton*, pubblicato per intero da Einaudi, indaga il malessere, le incertezze e l'instabilità che è stata propria di tutti nella prima fase del covid, quella che ha visto il mondo, a varie latitudini, finire in lockdown. Lo spaesamento di Lucy, chi prima e chi dopo, lo hanno vissuto tutti, e riavvolgere il nastro della memoria ha, a suo modo, un potere curativo.

Siamo all'inizio del 2020, a New York cominciano a giungere notizie su un virus potenzialmente letale, di cui si sa ancora poco o nulla. Lucy, ancora afflitta per la scomparsa del marito David, professione violoncellista, continua a condurre la vita di sempre. È l'ex marito William, con il quale intrattiene ancora un rapporto amichevole, a percepire la pericolosità della nuova malattia: uomo di scienza, convince Lucy a fare rapidamente i bagagli - con lo stretto necessario - e seguirlo per poche settimane in una casa presa in affitto a Crosby**.

Lucy decide di accettare, ma lo fa controvoglia, inconsapevole che una volta lasciato il suo appartamento a New York, quello in cui aveva vissuto con il defunto marito, non lo avrebbe più rivisto. Così cancella il tour promozionale del suo ultimo romanzo e annulla qualche appuntamento, nella convinzione che quel momento di lontananza dalla sua realtà sarebbe stato solo transitorio, una fase di passaggio della vita, necessaria per fuggire dal virus.

Da quel momento in poi, in un certo senso, la narrazione segue una vita - quella di Lucy -, vissuta nitidamente da chiunque. L'aspetto che emerge più forte è la difficoltà a sostenere la lontananza forzata dagli affetti e le persone care. Lucy ha due figlie con William, Chrissy e Becka - entrambe consigliate dal padre a raggiungere dei luoghi più protetti per evitare il contagio. Il rapporto con loro non è dei più semplici, e le difficoltà di relazione sono acquite dalla distanza, che non è solo fisica, ma anche emotiva. In un mondo diverso da quello a cui eravamo abituati, tutto è reso più complesso dall'isolamento, l'impossibilità di intrattenere rapporti personali pesa come un macigno, e le sporadiche chiacchierate e camminate - mascherina indossata - con Bob Burgess, sono per Lucy un piacevole momento di evasione e conforto in un quotidiano vissuto con costante apprensione.

Nella semplicità del suo romanzo - che scorre veloce con paragrafi perlopiù brevi, frasi secche e dialoghi a tratti incalzanti - Strout tratteggia un'analisi sociale potente, molto autentica, facendo leva su sentimenti, ansie e difficoltà che tutti sono stati costretti loro malgrado a tollerare nei mesi più duri della pandemia. La narrazione è lineare e senza fronzoli, e nonostante ciò è capace di far trasparire una generale sensazione di soffocamento, che fa risaltare le emozioni, anche contrastanti, di Lucy e le persone che le ruotano intorno.

Con la pandemia sullo sfondo, l'autrice mette a nudo con sobrietà l'animo umano: quelle interminabili giornate barricati in casa hanno portato chiunque a riflettere sulla solitudine, sulla paura della morte, sui rimpianti di una vita intera. Sono le stesse riflessioni di Lucy, che tessono un forte legame col lettore e non possono lasciarlo indifferente.

Voto 8

Trama 6 | Stile 9 | Coinvolgimento 9

Note

*Alter ego della narratrice americana premio Pulitzer nel 2009

**Cittadina immaginaria nel Maine, affacciata sull'oceano Atlantico, dove è ambientata gran parte del romanzo Olive Kitteridge, che valse a Strout il premio Pulitzer per la narrativa nel 2009.

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