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Venerdì, 26 Aprile 2024

La fuga dall'acqua

Fabrizio Gatti

Direttore editoriale per gli approfondimenti

Guadagnano 220mila euro, poi ci chiedono di salire sui tetti

I capi e i dirigenti della protezione civile in Italia guadagnano fino a 222mila euro lordi l'anno. Il presidente della Regione Emilia Romagna 90mila. Questo prevedono le norme per i responsabili "con incarico apicale presso le strutture della Presidenza del Consiglio” e per i governatori regionali. Ma se lo Stato, giustamente, tratta così bene i suoi rappresentanti, perché i sindaci e noi cittadini rimaniamo puntualmente soli a gestire le ore che precedono le alluvioni? Così soli da essere all'improvviso invitati a salire sui tetti, come se fossimo tutti figli di Spiderman.

Questo hanno suggerito molti Comuni romagnoli, compreso Faenza, come racconta RavennaToday: “Si chiede a tutti i cittadini di andare ai piani più alti possibile. Se necessario, anche sui tetti”. Quindi nelle ore più drammatiche, dopo la mezzanotte tra martedì e mercoledì, quando uno dopo l'altro cadeva il domino degli argini, migliaia di naufraghi prigionieri delle loro case – spesso donne e uomini anziani o famiglie con bambini – sono stati invitati a seguire procedure piuttosto rischiose: cioè salire al buio su un tetto bagnato e scivoloso, sferzato dal vento e dai rovesci. E lì resistere, ore al freddo in attesa del giorno e, forse, di un elicottero.

VIDEO - Il racconto dei nostri inviati nelle città alluvionate 

VIDEO - Gli automobilisti sulla A14 soccorsi in elicottero

Una squadra di soccorritori dei vigili del fuoco (foto La Presse)

Voi sapreste salire sul tetto di casa vostra? Io probabilmente no. Dovrei uscire all'esterno, appoggiare al muro una scala lunga tre piani e provarci. Dall'interno non si passa. E però se l'acqua arriva al soffitto del primo piano, la scala andrebbe piazzata a nuoto. E comunque come si fa a trovare una scala lunga tre piani a mezzanotte nel mezzo di un'alluvione?

I rischi dell'evacuazione al buio

Un altro invito mi ha sorpreso, mentre seguivo la diretta del disastro. È quello diramato dal Comune di Forlì alle 20.29 di martedì 16 maggio: “È in corso l'esondazione del Montone a valle del ponte di Schiavonia... Si chiede a tutta la popolazione di questa zona – era l'annuncio – di lasciare le abitazioni e di mettersi in sicurezza. Abbiamo disposto l'apertura del Palazzetto dei Romiti per una prima accoglienza”. È la zona dove è stata trovata la prima vittima, un uomo annegato in casa. Ho controllato sulla mappa di Forlì. Il palazzetto-rifugio è a 900 metri dal ponte e dalle vie Nervesa e Cormons, che racchiudono il quartiere di case da due e tre piani al centro della curva del Montone. Ma non è il massimo della prudenza chiedere ai cittadini di scendere in strada e camminare al buio per quasi un chilometro, proprio mentre il fiume accanto sta rompendo gli argini e invadendo la città.

DIRETTA - L'ALLUVIONE IN EMILIA ROMAGNA

Quelle dei sindaci di Faenza, di Forlì e di molti altri Comuni sono state scelte di estrema emergenza, fatte in totale solitudine. Come se al comandante di un Boeing, privato del carburante, dei paracadute e della possibilità di atterrare, non rimanesse altra soluzione che invitare i passeggeri ad aprire il portellone e a saltare nel vuoto. Che cosa si potrebbe fare allora?

L'annuncio del comune di Forlì martedì sera

Il primo obiettivo dovrebbe essere togliere alle Regioni le competenze di protezione civile e restituirle allo Stato. Grazie all'istituzione di un centro di comando nazionale unico che, in caso di emergenza, abbia potere di indirizzo ma anche di decisione sui sindaci, le autorità di bacino, i governatori. E non soltanto limitato al coordinamento regionale che, come avviene ora, equivale a poco più dello scaricabarile in cui nessuno si assume pienamente la responsabilità di decidere. Le Regioni, come le Marche lo scorso anno e l'Emilia Romagna oggi, dimostrano di non saper interpretare le previsioni meteorologiche e gli allarmi. Di non poter mettere in campo le risposte adeguate. E di non riuscire nemmeno a spendere i soldi stanziati dallo Stato per la pulizia degli alvei fluviali e il rinforzo degli argini.

Il fallimento delle Regioni

Ma il fallimento delle Regioni è comprensibile. Come può un politico, sballottato dal partito tra un incarico e l'altro, improvvisarsi assessore alla Protezione civile con competenze in fisica, geologia, idrografia e gestione di uomini e mezzi in situazioni di stress? Va formata al più presto una generazione di emergency manager, professione che non ha bisogno di traduzione, perché siano loro i capi della futura protezione civile. Il medico non diventa primario senza la laurea in medicina. Un militare non si improvvisa generale senza qualificarsi nelle scuole di applicazione. La protezione civile italiana, cioè la nostra sicurezza in caso di calamità, è stata affidata in passato a un vulcanologo, poi a un medico, poi a un commercialista. 

GLI ARGINI CROLLATI, POI LA FUGA - di Fabrizio Gatti

Una squadra di tecnici specializzati saprebbe anche interpretare gli allarmi. E ricostruire il servizio volontario di protezione civile. Oggi infatti i soccorsi gravitano quasi esclusivamente sui vigili del fuoco che da soli, dopo tagli di organico senza precedenti, fanno tantissimo. Una migliore preparazione, ad esempio, avrebbe potuto anticipare l'invito ad abbandonare le case sulle rive dei fiumi al pomeriggio, alla luce del giorno, senza dover sfidare le strade allagate. E soprattutto seguendo il piano locale di protezione civile, obbligatorio per legge, che dovrebbe indicare per tempo quali sono le zone a rischio esondazione. Mai disastro è stato annunciato come questo: l'allarme meteo lanciato con giusto anticipo, la piena monitorata fin dalla diga di Ridracoli, gli argini danneggiati dall'alluvione di inizio maggio e le prime esondazioni in regione già nella mattinata. Poi tutti lasciati soli in casa ad aspettare la notte. 

“Scusate, il tempo stringe. Tra poche ore sarà di nuovo buio – scriveva nel pomeriggio un insegnante cercando aiuto su Facebook per i genitori isolati dall'altra parte di Faenza –. I miei non hanno da mangiare. Per tutta la mattinata ho chiamato e scritto. Non riesco a contattare nessuno. Linee saltate oppure messaggi caduti nel vuoto”. L'aiuto è arrivato dopo qualche ora. Grazie al passaparola. Questi eventi estremi saranno sempre più frequenti e dovremo abituarci a mettere in campo tutte le nostre capacità di resilienza. Se non possiamo fermare l'acqua, le ore che precedono le alluvioni diventeranno invece fondamentali per metterci al sicuro e salvare vite umane. E anche per evitare che anziani e bambini siano costretti ad arrampicarsi sui tetti.

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