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Domenica, 28 Aprile 2024

Il nuovo patto

Fabrizio Gatti

Direttore editoriale per gli approfondimenti

Altro che accordo storico: perché Giorgia Meloni si fa aiutare dall'Albania

Soltanto il patto firmato nel febbraio 2017 dal governo Pd con la Libia batteva per cinismo l'accordo annunciato dalla premier Giorgia Meloni con il collega socialista albanese, Edi Rama. Allora il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, e i suoi ministri fingevano di ignorare cosa sarebbe accaduto a migliaia di uomini, donne e bambini abbandonati nelle prigioni delle milizie libiche. Oggi ignoriamo cosa succederà ad altrettante migliaia di persone che verranno trasferite al di là del mare Adriatico: rimpatrio forzato o campi di detenzione di massa?

Lo scopo dell'intesa Roma-Tirana è tenere al di fuori dell'Unione Europea gli stranieri soccorsi in mare. E lasciare entrare in Italia soltanto quanti hanno diritto alla protezione internazionale, secondo la discrezione delle nostre autorità. E tutti gli altri? Serviva davvero? Funzionerà? E perché l'Albania ha accettato?

Primo dubbio: come verranno rimpatriate 3000 persone al mese?

Cominciamo dai dettagli di questa nuova misura. L'Italia si impegna a costruire in Albania due centri di detenzione per un totale di tremila posti. Le località scelte sono il porto di Shengjin (San Giovanni di Medua) per le formalità di sbarco, 70 chilometri a nord di Tirana. E per le procedure di rimpatrio l'area di Gjader, un ex aeroporto militare, a pochi chilometri da Schengjin. Le due strutture di detenzione prevedono una rotazione di circa 36 mila stranieri irregolari ogni anno.

Il governo di Tirana ha accettato per varie ragioni. La prima: perché vuole mantenere il rapporto di amicizia con l'Italia, dove vivono 397 mila connazionali. Oltre il dieci per cento della popolazione albanese ha infatti la residenza permanente in Italia. E, come ha detto il premier Rama: "Se l'Italia chiama, l'Albania c'è". La seconda: l'Albania matura un credito politico e rinforza così un'alleanza che potrebbe tornare utile nel lungo processo di adesione del Paese all'Unione Europea. La terza: poiché l'Albania, per entrare in Ue, dovrà dotarsi di centri di detenzione e rimpatrio degli stranieri irregolari, in questo modo ottiene gratis le infrastrutture necessarie. Paga l'Italia.

Ora vediamo le contraddizioni. E se questo accordo funzionerà. In dieci anni, dal 2013 al 2022, su 230 mila decreti di espulsione, l'Italia ne ha eseguiti appena 44 mila: una media di 3.600 persone l'anno, 300 al mese. La previsione di Meloni e Rama, secondo la quale nelle due strutture albanesi da tremila posti passeranno 36 mila stranieri irregolari all'anno, richiede che ne siano effettivamente rimpatriati 3000 al mese. Qualcosa non torna: o il governo di Tirana riesce a fare ciò che nemmeno Giorgia Meloni ha dimostrato di saper fare (rimpatriare gli irregolari), oppure i due centri verranno saturati nel giro di pochi mesi e diventeranno campi di detenzione di massa. E anche Rama sarà caduto nella pratica ormai consolidata dell'attuale governo italiano. Cioè annunciare l'impossibile: il ponte sullo Stretto di Messina, gli incentivi (già dimenticati) per incrementare le nascite, il piano Mattei per l'Africa che dovrebbe ridurre gli sbarchi.

Il naufragio del piano Mattei: andare in Albania e dimenticare l'Africa

Già, che fine ha fatto il piano Mattei? Ottimi gli obiettivi: ma quante volte Giorgia Meloni, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, del Lavoro, Marina Calderone, dell'Istruzione, Giuseppe Valditara, sottosegretari e parlamentari della maggioranza sono andati nei Paesi d'origine per avviare politiche congiunte di amicizia, formazione scolastica, rimpatrio degli irregolari, percorsi per l'accesso legale? I primi Stati di provenienza di quanti sono sbarcati nel 2023 li indica ogni giorno il bollettino del ministero dell'Interno: Guinea (quale delle tre non è specificato: Guinea Conakry, Guinea Bissau, Guinea Equatoriale?), Tunisia (l'accordo non aveva il supporto dell'Unione Europea ed è già fallito), Costa d'Avorio, Egitto (l'unica intesa che sembra funzionare, ma a singhiozzo), Bangladesh, Burkina Faso, Siria, Pakistan...

Giorgia Meloni con il premier albanese Edi Rama (foto LaPresse)

Meloni e Rama (nella foto sopra) spiegano che il piano "non si applica agli immigrati che giungono sulle coste e sul territorio italiani ma a quelli salvati in mare, fatta eccezione per minori, donne in gravidanza e soggetti vulnerabili". Quindi soltanto alle persone soccorse da navi italiane. Minori e donne in gravidanza è abbastanza semplice individuarli. Ma i soggetti vulnerabili?

Poiché è stato detto che le due strutture resteranno sotto la giurisdizione italiana, anche se saranno vigilate dalle forze albanesi, l'Italia dovrà trasferire funzionari di polizia, agenti, interpreti, mediatori culturali: il budget per i rimpatri verrà ulteriormente intaccato dalle indennità di trasferta. E le persone recluse nei due centri non avranno quasi certamente accesso al diritto di difesa: non si è infatti parlato di questo aspetto non secondario. Oppure Giorgia Meloni ritiene già di potersene infischiare di donne alle prime settimane di gravidanza, quindi non visibili, e persone vulnerabili?

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Ci sono poi i risvolti della coerenza e del diritto internazionale. La coerenza. Il governo italiano ha più volte protestato con Bruxelles affinché i naufraghi soccorsi nel Mediterraneo siano sbarcati nel Paese di appartenenza della nave che li ha raccolti, soprattutto quando si tratta di Ong e mezzi di soccorso privati. Domanda a Meloni: perché allora le navi della Guardia costiera e della Marina dovrebbero essere esentate da questo principio, tanto da trasferire in Albania le persone raccolte in mare?

Tirana non è Guantanamo, ma chi controllerà i centri di detenzione?

Tirana ha fatto passi avanti e oggi è una democrazia europea che si prepara a entrare nell'Unione. Ma il diritto internazionale, che tutti i governi devono rispettare, prevede che le persone soccorse in mare siano trasferite e sbarcate nel porto più vicino e più sicuro. Rispetto al Mediterraneo centrale, senza contare la piccola Malta, l'Albania viene geograficamente dopo l'Italia e la Grecia. Mandare le navi di soccorso a Shengjin è quindi già una violazione del diritto internazionale.

I messaggi di giubilo che stanno riempiendo i social in queste ore non mostrano l'aspetto surreale di questo accordo. Giorgia Meloni, premier di un Paese di quasi 60 milioni di abitanti con un prodotto interno lordo di oltre duemila miliardi di dollari l'anno si fa aiutare, per mantenere fede al suo programma, da un governo che guida uno Stato di 2,8 milioni di abitanti (meno dell'area metropolitana di Milano) con un Pil di 18 miliardi di dollari (16,8 miliardi di euro) e un reddito pro capite medio dei suoi abitanti di 460 euro al mese.

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Rimpatriare gli irregolari? Impossibile, ecco perché

Trovo offensivo paragonare l'Albania a Guantanamo, il campo di detenzione extraterritoriale aperto dagli Stati Uniti sull'isola di Cuba per rinchiudere e interrogare sotto tortura i terroristi di Al Qaeda. Tirana oggi ha una costituzione democratica. E certamente, in merito alla protezione dei diritti umani, è molto meglio l'Albania della Libia scelta da Gentiloni. Ma una democrazia si compie anche attraverso il controllo incrociato delle sue istituzioni, compresi i luoghi di detenzione. E controllare il mantenimento delle garanzie costituzionali nei due centri al di fuori del territorio nazionale sarà ancor più complicato. Anche per la magistratura italiana che, nonostante i mal di pancia del ministro Matteo Salvini, conserva – per fortuna – la sua funzione. L'ultima perplessità riguarda un obiettivo non secondario dell'accordo: la “dissuasione rispetto alle partenze e di deterrenza rispetto al traffico di esseri umani”. Perché mai i trafficanti libici o chi ha investito la sua vita nel pericoloso viaggio verso l'Europa dovrebbe sentirsi dissuaso? 

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