rotate-mobile
Sabato, 27 Aprile 2024

Rielaborare la memoria

Fernando D'Aniello

Collaboratore

Perché in Germania sarebbe impossibile un La Russa qualunque

Quest’anno, forse più degli altri anni, le polemiche accompagneranno le celebrazioni del 25 Aprile. Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha già anticipato con improvvide, inopportune e soprattutto false dichiarazioni su via Rasella (peraltro ultime in ordine di tempo di una lunga tradizione) di non avere intenzione di calarsi nella parte assegnatagli dal suo ruolo istituzionale, ma di prendersi la rivincita di quando era un giovane missino. L’idea è più o meno quella di considerare i partigiani, o buona parte di essi, peggio dei repubblichini di Salò perché sognavano il comunismo, qualcosa a suo avviso molto peggio del fascismo. Perciò una mano lava l’altra ed entrambe lavano il viso della Repubblica non più antifascista, come la Storia vorrebbe, ma democratica, nella quale “rossi e neri” sarebbero (finalmente, secondo La Russa) “tutti uguali” (anche qui, nulla di nuovo).

La Costituzione secondo La Russa: "Non c'è l'antifascismo"

Di solito, a fare da contraltare a questa impostazione – in realtà non nuovissima, visti i tanti tentativi degli ultimi decenni di neutralizzare il 25 Aprile – si cita la Germania e la sua “elaborazione” del passato che ha permesso alla Repubblica federale di fare i conti con la sua storia e di praticare costantemente e in modo costruttivo il confronto, spesso traumatico, con il proprio passato. Giusto per ricordare: negli anni Sessanta, grazie al lavoro di Fritz Bauer, recentemente riadattato in uno splendido film, i processi Eichmann (celebrato in Israele) e Auschwitz, con i quali la società tedesca fece davvero i conti con l’Olocausto, impossibile da ridurre a un crimine escogitato e realizzato da pochi fanatici. Gli anni Settanta con la discussione sulla Ostpolitik e l’eredità del Reich. Gli anni Ottanta con il famoso Historikerstreit sul ruolo del comunismo e del Gulag quale presupposto dei campi di concentramento. Gli anni Novanta con la mostra itinerante sui crimini della Wehrmacht, l’esercito che smentiva il mito dei soldati “buoni” contrapposti ai criminali, confinati nelle SS. E ancora negli anni recenti, favorite anche dalle generazioni migranti e più giovani, con le denunce dei crimini del colonialismo. Teniamo da parte l’antifascismo “di Stato” della Repubblica democratica tedesca, la Germania Est, che fu un fenomeno calato dall’alto e una conseguenza della scelta ideologica del paese, più che un fenomeno sociale.

Le differenze tra Italia e Germania

Questo complesso quadro non può essere certamente smentito. Tuttavia, anch’esso meriterebbe di essere storicizzato. Perché Italia e Germania hanno due modi così diversi di elaborare il passato? Perché un La Russa tedesco è, semplicemente, impossibile?

la russa foto lapresse

È giusto soffermarsi sulle diverse modalità con cui i due Paesi si liberarono. Già nel luglio 1943 – di cui a breve ricorderemo gli 80 anni – l’Italia rimuove il bubbone fascista: a guidare questa fase c’è chi ha condiviso con Benito Mussolini praticamente tutto il regime, comprese le scelte più terrificanti (abolizione del parlamentarismo, guerra coloniale e relativo uso di gas vietati, leggi razziali). Si arriva poi agli eventi del settembre 1943 che palesano tutta la piccolezza e la meschinità della monarchia e di buona parte della classe dirigente: l’armistizio e la fuga a Brindisi, con la conseguente occupazione della capitale e di metà paese da parte dei tedeschi. Il resto è noto: la fuga di Mussolini, preso in custodia dai tedeschi, e la nascita dello Stato fantoccio della Repubblica sociale. Ma, soprattutto, quasi due lunghissimi anni di guerra civile. Ed è il compromesso tra le forze politiche, persino quelle più vicine al vecchio regime, che segna la fase della Resistenza e che conduce alla Liberazione.

La divisione tra Est e Ovest

Tutto questo, in Germania, non c’è. Il Terzo Reich combatte fino alla fine: solo quando la stretta intorno al bunker si farà insostenibile, Hitler si suicida e la guerra finisce una settimana dopo (il 7 maggio sul fronte occidentale e l’8 su quello orientale). Per queste ragioni, mentre l’Italia ha una Costituzione che, con buona pace di La Russa, è davvero figlia della Resistenza, senza la quale il nostro paese avrebbe fatto la fine dei suoi alleati, le cose in Germania vanno diversamente. Il 5 giugno, dando seguito a piani elaborati già da diversi anni, le Quattro potenze alleate (Stati Uniti, Unione Sovietica, Regno Unito e negli ultimi anni anche la Repubblica francese) assumono la “suprema autorità” sulla Germania. Che scompare dalle carte politiche: non esiste più. Ormai nel cuore dell’Europa c’è solo un grande territorio amministrato da quattro potenze. Congiuntamente ma, secondo molti, proprio la debolezza del governo comune (il Consiglio di controllo) segna l’inizio della futura divisione tra Germania Est e Ovest. Il compromesso, per ora, esiste solo tra gli occupanti.

Ed è in questa amministrazione congiunta che si svolge, ad esempio, il processo di Norimberga. Sempre in questi anni – durissimi: pensiamo solo al blocco di Berlino stabilito dalla dirigenza sovietica e aggirato dagli Alleati con il ponte aereo – si discutono diversi piani sul futuro del paese. Tra cui, ad esempio, quello di smantellare tutta la sua industria e farne un grande granaio continentale. E mentre l’Italia scrive la Costituzione, la Germania (Ovest) dovrà accontentarsi di una Legge fondamentale sottoposta all’assenso degli Alleati (nel frattempo, con l’avvento della Guerra fredda, divenuti tre). Ancora oggi l’ultimo articolo stabilisce che un giorno il popolo tedesco, ri-unito, potrà darsi una Verfassung, una Costituzione.

Sono anni in cui, quindi, il paese viene effettivamente e profondamente de-nazificato. Un processo duro, effettuato grazie a un’occupazione che ha prodotto poi una divisione durata quarant’anni. Ma alla classe politica tedesca occidentale va il merito di aver costruito una cultura politica comune e alla società civile di non aver fatto mancare il proprio intervento per contribuire a chiarire il passato che non vuole mai passare.

Che cosa resta dell'Italia?

La Resistenza italiana ha invece permesso altro: il nostro paese non è stato occupato e ha deciso, in totale autonomia, il proprio futuro. Il patto antifascista del 1943 tra sei partiti è stato la spina dorsale della Repubblica, ma si è estinto con i primi anni Novanta: oggi, in parlamento, non c’è più nessun partito che l’abbia sottoscritto. In questi anni nasce anche l’operazione ideologica di neutralizzazione della Resistenza, che non serve a una storia e un progetto politico nazionale comune.

È qui la differenza tra noi e i tedeschi: nelle concrete modalità con cui è avvenuta la liberazione, in concorso con gli Alleati e la Resistenza in Italia; grazie all’occupazione dell’intero paese in Germania. E anche nel fatto che quella storia in Italia si è chiusa, almeno come racconto nazionale, ai primi anni Novanta, lasciando così inevasa una questione: la Resistenza è stata davvero l’ultimo grande movimento autenticamente nazionale, pur con le sue contraddizioni. Ma se si considera finito l’antifascismo, che cosa resta dell’Italia?

Il 25 aprile sta morendo e neanche la Costituzione sta benissimo

Si parla di

Perché in Germania sarebbe impossibile un La Russa qualunque

Today è in caricamento