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Lunedì, 29 Aprile 2024

"Io, giornalista freelance, rischio la vita in Siria per 70 dollari ad articolo"

Il racconto di Francesca Borri sta facendo discutere: racconta la guerra in Siria, dalla linea del fronte, in condizioni impossibili

Francesca Borri è una giornalista freelance italiana. Un suo articolo che denuncia le condizioni in cui si lavora in Siria, paese dilaniato da una guerra civile che ha provocato più di 100mila morti, ha dato vita a un ampio dibattito sul web.

Rischia la vita per dare voce a chi una voce non ce l'ha più.

Ma il lavoro è molto lontano dall'immagine romantica, che hanno in molti, del giornalista freelance che ha scambiato la sicurezza dello stipendio fisso con la libertà di seguire quelle storie che l’affascinano di più.

La libertà è poca. Le delusioni tante.

La verità è che l’unico lavoro che oggi mi sia capitato è quello di trovarmi in Siria, dove non vuole andarci nessuno. E non si tratta neppure di Aleppo, per essere precisi; è la linea del fronte. Perché gli editor in Italia non chiedono altro che il sangue, gli scontri a fuoco. Io parlo degli Islamisti e della loro rete di servizi sociali, le radici del loro potere – un articolo decisamente più complesso da costruire di un racconto in prima linea. Mi arrovello per spiegare al meglio, non solo per commuovere, per colpire chi legge, e mi sento rispondere: “Cos’è 'sta roba? Seimila parole e non c’è nessun morto?”  

Ogni suo articolo le viene pagato 70 dollari. 70 dollari sono pochi, pochissimi se ad esempio dormire in una base dei ribelli, sotto il fuoco dei mortai, con un materasso sul pavimento e l’acqua infettata "da cui mi sono presa il tifo", racconta, costa 50 dollari a notte. Affittare una macchina arriva a costare 250 dollari al giorno.

I giornali vogliono il sangue, poco interessano le analisi politiche.

"Non posso proporre un pezzo d’analisi perché gli editor non farebbero altro che cestinarlo e direbbero: Ma chi credi di essere, ragazzina?” – anche se ho tre lauree, scritto due libri e trascorso 10 anni in vari conflitti bellici, prima come funzionario per i diritti umani e ora come giornalista. Per quel che vale, la mia gioventù è finita quando ho visto schizzarmi addosso pezzi di cervello di gente uccisa in Bosnia, avevo 23 anni.   

La concorrenza, scrive Borri, è tanta: "Beatriz (una collega, ndr) oggi mi ha dato le indicazioni sbagliate in modo da poter essere l’unica a seguire una certa manifestazione, e grazie al suo raggiro mi sono ritrovata davanti a una postazione di cecchini".

Fonte: Columbia Journalism Review →
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