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Sabato, 27 Aprile 2024
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Digital Transformation

L’avatar digitale che è riuscito a dare voce a una donna paralizzata

L’Università della California ha progettato un avatar che ha captato i segnali cerebrali di una donna paralizzata trasformandoli in vere e proprie parole

Si è molto discusso negli ultimi mesi di Intelligenza Artificiale e del suo utilizzo all’interno della vita quotidiana. Per molti è un pericolo da cui bisogna stare attenti, per altri una vera e propria rivoluzione. Quest’ultima visione è vera se si valutano le sue potenzialità nel momento in cui viene applicata nel campo della medicina. Ambito sempre all’avanguardia in cui la ricerca non smette mai di progredire e che può avere nell’AI un aiuto concreto.

Un esempio è la sperimentazione gestita dai ricercatori dell’Università della California a San Francisco e Berkeley, capitanata dal professor Edward Chang. Lo studioso e il suo team sono stati in grado di ridare dopo 18 anni la parola a una donna gravemente paralizzata.

Che le persone affette da paralisi dovute a ictus o sclerosi laterale amiotrofica (SLA) potessero comunque comunicare è una pratica diffusa, ma spesso si trovano alle prese con sintetizzatori vocali lenti che si basano sulla sillabazione delle parole e che rendono la conversazione poco fluida. Con questa ricerca, invece, attraverso un avatar non solo è possibile ottenere una comunicazione più discorsiva, ma anche il supporto facciale.

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L’obiettivo dei ricercatori

La paziente che è stata al centro della sperimentazione si chiama Ann, ha 47 anni e a causa di un ictus al tronco cerebrale non è stata più in grado di scrivere o parlare. La comunicazione fino al momento del test avveniva attraverso la tecnologia di rilevamento del movimento che le consentiva di selezionare lettere per creare parole.

L’obiettivo dei ricercatori, quindi è stato quello di ricreare un modo di interfacciarsi completo e molto più fluido.

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Come funziona la sperimentazione

La ricerca si basa su una tecnologia che utilizza elettrodi impiantati nel cervello per carpire l’attività elettrica in quella zona colpita da ictus, ma destinata alle parole e ai movimenti: il fine è quello di tradurre questi segnali attraverso un avatar.

Alla paziente, che ha deciso di sottoporsi alla sperimentazione, è stato quindi impiantato un rettangolo sottilissimo con 253 elettrodi nella parte superficiale del cervello. Quest’ultima, se non ci fosse stato l’ictus, avrebbe controllato i muscoli della lingua, della mascella e del viso. Una volta impiantato, la donna con il supporto del team di ricercatori ha istruito l’algoritmo AI attraverso un sistema molto simile a Chat GPT che ha dato “voce” ai segnali. Infatti per rendere il risultato ancora più personale si è cercato di “costruire” una voce molto simile a quella di Ann, grazie al supporto di alcuni video del matrimonio.

Nonostante la sperimentazione rappresenti un bel passo in avanti nell’ambito della ricerca in questo campo, non è perfetta e comunque migliorabile. Ma è un ottimo segnale perché se si continua a lavorare su questa strada si potrà arrivare a un punto di svolta. Uno dei prossimi obiettivi, è quello di progettare una versione wireless da impiantare sotto il cranio per permettere di controllare in autonomia sia telefono che il computer ed essere liberi di comunicare senza freni.

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