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Lunedì, 29 Aprile 2024

Fabio Petrelli

Giornalista

Roberto Mancini: fuga per la sconfitta?

E’ forse la delusione più cocente patita nella storia dalla Nazionale di Calcio. Secondo Mondiale consecutivo “ciccato”, la Waterloo azzurra assume stavolta le sembianze della Macedonia del Nord, che si impone di misura a Palermo e obbliga l’Italia seguire Qatar 2022 da casa. Tanti i mali di un movimento che si è riscoperto fragile, dopo l’apoteosi dell’Europeo vinto in terra inglese. A salire sul banco degli imputati, tutto il comparto calcio ma anche il commissario tecnico Roberto Mancini.

Lettera aperta a Roberto Mancini

Caro Roberto,

io non so quale sia stata la prima immagine che ti è passata davanti quando, stamattina, hai aperto gli occhi. Forse hai avuto la stessa nostra impressione: ok, era tutto un sogno, adesso un buon caffè e incominciamo a pensare a Cristiano Ronaldo per la sfida di martedì. E invece no. Forse ti è bastato realizzare un attimo, o magari sbirciare lo smartphone imballato di messaggi o le notifiche delle news per capire che stavolta non basta svegliarsi per cancellare quello che è successo.

Noi, che ieri sera eravamo seduti su un comodo divano e non sulla tua panchina bollente, di cose che ci passano per la testa ne abbiamo altre. Mio padre l’ha buttata sul ridere, dicendo che Trajkovski almeno è un calciatore professionista e non un caporale dell’esercito (la professione principale di quel Pak-Doo-Ik che con la maglia della Corea Del Nord ci estromise dai Mondiali inglesi del 1966), io ho ripensato ai bocconi amari, dal rigore alle stelle di Baggio a USA ‘94, a quello sulla traversa di Di Biagio quattro anni più tardi, fino alle nefandezze di Byron Moreno nel 2002 ed alle eliminazioni nei gironi eliminatori nelle edizioni seguenti all’apoteosi del 2006.

Ecco, Roberto, il punto è lì. Negli ultimi dodici anni abbiamo un score nel Mondiale che è quello di un Honduras qualsiasi: due volte out dopo tre partite, due volte a casa senza nemmeno fare il check-in dell’albergo scelto per la trasferta iridata. Da “It’s coming Rome” degli ultimi europei a “We’re staying home” il passo è stato breve, dalle stelle alle stalle, dalle biro con cui appuntavamo l’agenda degli incontri di Qatar 2022 alle bare in cui abbiamo simbolicamente seppellito i nostri sogni.

Se sei colpevole? Certo che lo sei. Sei l’allenatore, cribbio. Ma l’impressione che si avverte è che questo cul de sac in cui ci siamo infilati sia un po’ quello che succede quando in una relazione arrivata ad un punto critico, c’è sempre chi dei due dice: “Non sei tu il problema, sono io”. E credimi, in questa liaison che hai con “Azzurra”, è soprattutto lei, cioè lui, il calcio di casa nostra a dover pronunciare quella frase. Non tu, o meglio non solo tu, come invece fecero in passato Lippi, Prandelli ma anche Ventura all’indomani delle debacle che li ha visti nello scomodo ruolo di attori protagonisti e nel breve volgere di qualche giorno di ex commissari tecnici. Perché comunque la tua striscia di partite da imbattuto resta, perché il titolo continentale lo hai vinto, ma soprattutto perché ad essere palesemente in crisi è il nostro sistema, quello del calcio tricolore, non solo - eventualmente - il tuo modo di disporre delle risorse che hai a disposizione. Perché in fondo i tempi della vacche grasse, dell’abbondanza e delle staffette Totti-Del Piero sono belli che finiti.

Ma la verità è anche che contro la Macedonia siamo stati sì, generosi. Ma confusionari. Tradotto: troppo scarsi. Che il calcio italiano abbia bisogno di essere rifondato lo diciamo tutti da quel terribile mondiale sudafricano del 2010. Sono passati undici anni e mezzo: servono più investimenti nei settori giovanili, una qualche forma di limite sul numero di calciatori stranieri (il problema non sono certo i grandi giocatori, ma quelli di medio livello che trovano spazio in serie A al posto dei potenziali azzurrini). Ma restiamo all'oggi: non è colpa tua se non abbiamo un Vieri, un Vialli (e neanche un Luca Toni). Il problema dell’Italia non è il gioco, in difesa e a centrocampo è tutto “nella norma”. In attacco però la legge del gol è durissima, non segna nessuno. Se i giocatori davanti sono modesti, il compito di un allenatore è colmare tali lacune con gli schemi e gli automatismi. Questo non hai saputo farlo, e non è mai stato il tuo forte in 15 anni di panchina. Ed è questo che ti rimprovero.

Adesso hai la partita con la Turchia, martedì, utile quanto un aspirapolvere sulla spiaggia. Ma è quello che succederà mercoledì che ci interessa. Se ci pensi, quel trionfo in Inghilterra è stata l’unica luce in cinque lustri di tenebre solo in parte rischiarati da qualche lampo. Ma ora andarsene non è la soluzione. Come nelle relazioni, prima è il momento di capire, di riflettere quindi su come cambiare un calcio italiano che non va: perché a finire con le ossa rotte è stato lui molto più della “tua” Italia. Tutti parlano di naufragio, durante il quale il capitano affonda con la sua nave. Non spetta a noi decidere se tu sia meritevole di un posto nella scialuppa, molto più umilmente credo che serva un rimorchiatore per trainarla e poi aggiustarla, o meglio ripensarla completamente dopo tutte queste collisioni con iceberg tutt’altro che di ragguardevoli dimensioni. Però adesso non ci aiuta avere un c.t. da immolare, un capro espiatorio che paghi per tutti. Se vuoi andare, vai. Se ti ponessero di fronte alla decisione di andare avanti tenendo alta la testa o di abbassarla servendola su un piatto di argento, segui il tuo istinto, il tuo carattere, il tuo cuore. Ma in questo casino, non servono gesti eclatanti, serve ripartire. Il calcio italiano lo farà a prescindere, dopo essersi opportunamente leccato le ferite e concluso un profondo esame di coscienza a cui dovranno per forza seguire adeguati correttivi. Con o senza di te, è una tua scelta.

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