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Lunedì, 29 Aprile 2024
Senza identità

Morti in strada, nei campi o in ospedale: in Italia almeno mille cadaveri senza nome

Per dare loro un'identità, dal 2007 esiste il Registro nazionale dei cadaveri non identificati, voluto dal commissario straordinario del governo per le persone scomparse. A Today.it il commissario spiega come funziona

Il corpo senza vita di un uomo è stato ritrovato sabato 14 ottobre a Sant'Ilario d'Enza, nel Reggiano. Era in un edificio dismesso da tempo, oggetto di lavori di riqualificazione. Non è stato possibile identificarlo, perché in avanzato stato di decomposizione. Un altro corpo è stato trovato solo pochi giorni prima alla periferia di Potenza. Anche in questo caso niente documenti e niente nome, quello che sappiamo è che si tratta di un uomo di circa 50 anni. Una storia che si ripete dunque, più spesso di quanto pensiamo. Per dare un'identità ai cadaveri senza nome, ai "fantasmi", dal 2007 esiste il Registro nazionale dei cadaveri non identificati, voluto dal commissario straordinario del governo per le persone scomparse. Today.it ne ha parlato con il commissario straordinario, il prefetto Maria Luisa Pellizzari, il suo vice Andrea Cantadori e Debora Mazzarelli, da 14 anni nello staff del Labanof (il laboratorio di antropologia e odontologia forense dell'università di Milano).

registro nazionale cadaveri non identificati

Il Registro nazionale dei cadaveri non identificati

Nel 2007 è nato il registro nazionale dei cadaveri non identificati, creato dal commissario straordinario per le persone scomparse. Contiene le informazioni più significative fornite dalle prefetture: caratteristiche fisiognomiche, segni particolari, circostanze relative al rinvenimento. Ogni scheda inserita è una storia. Ci sono persone morte in ospedale, altre trovate in edifici abbandonati, lungo strade più o meno trafficate. Italiani e stranieri, giovani e meno giovani. Un unico comune denominatore: non si conosce l'identità.

"Nei primi mesi del 2023 sono stati iscritti nel registro 15 cadaveri, prevalentemente uomini. Quattro casi sono stati risolti, ne restano 11 senza nome. I numeri sono in evoluzione, i dati ci vengono comunicati dalle prefetture con cadenza bimestrale", dice a Today.it il commissario straordinario del Governo per le persone scomparse, il prefetto Maria Luisa Pellizzari.

"Il numero dei cadaveri iscritti - spiega Pellizzari - si aggira costantemente intorno al migliaio. Ovviamente non è costante, in quanto può variare in seguito a riconoscimenti oppure a nuovi casi di rinvenimento. I cadaveri di genere maschile sono in larga maggioranza, circa i tre quarti. Talvolta però si è in presenza di resti ossei, per cui non è semplice stabilire a quale genere appartengano".

I numeri sono al netto anche di un altro aspetto: i migranti morti in mare in seguito a grandi disastri. "I dati relativi ai migranti vittime di naufragio - spiega il commissario straordinario per le persone scomparse - non confluiscono nel registro, perché si può configurare l'ipotesi di reato di traffico di esseri umani e, in tali casi, infatti, procede l'autorità giudiziaria. Ovviamente - aggiunge - quando ci vengono comunicati casi di questo genere non ci sottraiamo al dovere umano di interessare le autorità che possono concorrere all'identificazione. In particolare, l’Ufficio si è attivato per dare un nome alle vittime dei naufragi avvenuti il 3 e 11 ottobre 2013 e 18 aprile 2015, sulla base di protocolli di collaborazione con l’Università di Milano – Labanof, il dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione del ministero dell’Interno, la Croce Rossa Italiana e il Comitato Internazionale della Croce Rossa".

È possibile per ogni cittadino consultare il registro per fare ricerche mirate, indicando una parola chiave come luogo, data o luogo del ritrovamento, etnia, altezza, peso, colore dei capelli, colore degli occhi, segni particolari, indumenti, effetti personali. Uno strumento a supporto di chiunque stia cercando qualcuno e teme possa essere tra i corpi non identificati.

Non è raro che le forze dell'ordine quando indagano sul ritrovamento di un corpo diffondano le immagini di qualche particolare perché potrebbero facilitare il riconoscimento. Il principio è lo stesso: ma in scala più grande. 

esempio ricerca registro cadaveri senza nome Lazio

Nel tempo "sono state emanate delle circolari che chiariscono le procedure da seguire in caso di rinvenimento di cadaveri senza nome. In questi casi l'acquisizione del dna e il confronto con quello di uno scomparso o di un suo familiare può condurre alla identificazione", dice oggi il prefetto Maria Luisa Pellizzari.

Al Labanof la ricerca è "al servizio dei diritti"

Uno dei centri di eccellenza per l'identificazione dei corpi senza nome è il Labanof dell'Università di Milano. Fondato da Marco Grandi e Cristina Cattaneo nel 1995 per la ricerca scientifica e l'attività didattica universitaria, il raggio d'azione si è ampliato nel tempo. Il Labanof oggi applica le scienze forensi e la medicina legale in ambito umanitario: dal riconoscimento delle vittime di grandi disastri all'assistenza medico legale per i richiedenti asilo vittime di torture e l'accertamento dell'età biologica su minori stranieri non accompagnati. 

"Mettiamo la ricerca al servizio dei diritti", spiega a Today.it Mazzarelli. "Nel laboratorio - racconta - lavorano antropologi, odontoiatri, medici legali, biologi, archeologi e naturalisti. Collaboriamo anche con radiologi e altri specialisti, con forze dell'ordine e agenzie umanitarie".

Il Labanof lavora principalmente per dare un nome ai cadaveri non identificati che arrivano all'obitorio di Milano. In modo simile al registro nazionale, gestisce un sito internet specifico per la pubblicazione online degli "identikit" di resti umani sconosciuti con i dati del profilo biologico e tutti gli elementi utili ai fini identificativi dei singoli casi. Sin dalla creazione dell'ufficio del commissario per le persone scomparse, il Labanof ha collaborato per la creazione della scheda Risc (banca dati nazionale di persone scomparse e di morti senza identità). "Negli ultimi anni - aggiunge Mazzarelli - il Labanof ha sottoscritto due accordi con il Commissario. Il primo del 2015 e interessava il territorio di competenza di alcune procure lombarde, il secondo nelle scorse settimane per estendere la collaborazione a tutta la Lombardia. Il riferimento è tutte le salme non di interesse giudiziario". Solo nel 2023 sono state aperte schede per trenta cadaveri senza nome. Non si tratta però di sconosciuti "puri" ci sono infatti dei "sospetti di identità", spiega Mazzarelli. 

Lo scopo dell'intesa col commissario per le persone scomparse è favorire l'identificazione di corpi o resti umani tramite autopsie, radiografie, prelievi di campione biologico, diagnosi di causa ed epoca della morte, per poter arrivare a compilare una scheda post-mortem necessaria alla comparazione dei dna con i dati biologici di profili delle persone scomparse. Si vuole inoltre promuovere la circolarità delle informazioni su ogni ritrovamento, anche allo scopo di evitare che cadaveri non identificati o resti umani possano essere sepolti senza nome. 

Come detto, il Labanof è poi stato coinvolto dall'ufficio del commissario straordinario, col dipartimento per le Libertà civili e l'immigrazione del ministero dell’Interno, la Croce Rossa Italiana e il Comitato Internazionale della Croce Rossa e il Comitato 3 ottobre, nell'imponente lavoro per dare un nome alle vittime dei naufragi avvenuti il 3 e 11 ottobre 2013 e 18 aprile 2015. Un impegno collegiale che ha portato, spiega Mazzarelli, alla "raccolta dati di 70 famiglie e al riconoscimento di 43 salme" del disastro del 3 ottobre.

"Recentemente il Labanof ha creato il Musa: museo universitario delle scienze antropologiche, mediche e forensi per i diritti umani. Lo scopo è sensibilizzare sull'importanza della scienza nella lotta alla violenza e nella tutela dei diritti umani", sottolinea Mazzarelli.

protocollo regionale in Lombardia per il riconoscimento di cadaveri non identificati

Dare un nome ai morti per aiutare i vivi

La mancata identificazione di un corpo non è solo un problema materiale, non si tratta di una pratica da archiviare. Porta con sé più aspetti, tutti legati tra loro a doppio filo. A ogni persona che ha perso la vita corrisponde una famiglia, qualcuno che resta "sospeso" senza sapere cosa è successo. Sono genitori che non hanno più notizie dei figli o figli che aspettano padri e madri, ma anche fratelli, sorelle, mariti, mogli, amici. Tutti improvvisamente privati di un pezzo di vita e senza risposte. Condannati a vivere in una sorta di limbo, con telefoni che squillano a vuoto, domande senza risposta. Si tratta della cosiddetta "perdita ambigua". La mancata identificazione ha ripercussioni anche dal punto di vista burocratico. Se non si è in grado di dare un'identità al corpo ritrovato, non si avrà il certificato di morte e senza il documento i familiari non possono procedere con tutta una serie di adempimenti amministrativi.

Il registro rappresenta un passo importante nell'identificazione, la mera attività di catalogazione e raffronto tra scomparsi e corpi senza nome non poteva, infatti, bastare. Allo stesso modo è stata importante la creazione della banca dati del dna. Lo scopo principale dell'archivio del patrimonio genetico è l'identificazione degli autori dei delitti perché è possibile usare le tracce biologiche a fini giudiziari, ma l'ok alla raccolta dei profili del dna di persone scomparse o loro consanguinei e il raffronto con quelli raccolti da cadaveri non identificati aumenta la possibilità di dare un nome ad alcuni dei corpi che giacciono da tempo negli obitori o negli istituti di medicina legale.

Per rendere ancora più efficace il registro, il commissario straordinario sta agendo "sul piano della cooperazione fra tutte le istituzioni interessate: prefetture, Procure della Repubblica, laboratori autorizzati, Regioni e Comuni. Proprio in questi giorni - sottolinea Pellizzari- abbiamo sottoscritto un protocollo alla Prefettura di Milano che riguarda tutta la Lombardia, mentre stiamo lavorando a uno analogo anche per il Lazio. L’obiettivo che ci poniamo è di arrivare a un protocollo generale valido su tutto il territorio nazionale".

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