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Domenica, 28 Aprile 2024
Corsa contro il tempo

"Phase out" e rilancio nucleare: le parole chiave per capire la Cop28 sul clima

Il tempo stringe e sullo sfondo della conferenza di Dubai sul clima aleggia la possibilità che non si raggiunga nessun tipo di accordo. Intanto lo scontro sul clima diventa anche lessicale

Una corsa contro il tempo che stiamo già perdendo. La Cop28 in corso a Dubai non decolla e rimangono forti gli stalli tra i paesi occidentali e il resto del mondo. Del resto anche il segretario Onu Guterres ha sottolineato come i prossimi anni siano fondamentali, ma che le parole non bastano. "Molti paesi in via di sviluppo stanno annegando nel debito, non hanno spazio fiscale e si agitano nel caos climatico. Abbiamo bisogno che tutti gli impegni assunti dai paesi sviluppati in materia di finanza e adattamento siano rispettati in modo completo e trasparente" ha dichiarato ai giornalisti. Ma il problema è che, anche a livello lessicale, le cose sembrano parecchio in salita e le frizioni, al momento, non facilmente riconciliabili.

"Phase Out" e "Unbeated": le due parole chiave per capire cosa sta succedendo 

La prima parola da tenere sott'occhio è "Phase Out", ovvero eliminazione delle fonti fossili. Sembrerebbe l'obiettivo minimo in un mondo che sembra già aver archiviato gli obiettivi dell'Accordo di Parigi, con gli scienziati che avvertono che, entro il 2027, ci sono altissime probabilità che la temperatura terrestre superi globalmente i +1.5° rispetto all'epoca pre-industriale. Eppure la lotta alle fonti fossili continua a essere ancora motivo di dibattito che molto spesso diventa anche "lessicale". Azioni immediate e concrete sono invocate da chi vive sulla propria pelle gli effetti del cambiamento climatico globale, come molti piccoli stati insulari del Pacifico, e vengono invece ostacolate dai maggiori produttori di petrolio medio-orientali, così come da Iran, India e Russia.

Ultima chiamata per il clima: cosa aspettarsi dalla Cop28

In una bozza dello scorso 8 dicembre 2023, si chiedeva "un'eliminazione (phase out) delle fonti fossili in linea con quanto stabilito dalla scienza". Altre impostazioni erano invece più blande ed esprimevano un generico indirizzo. Ma non solo: introducevano anche il concetto di "combustibili fossili non abbattuti", molto caro all'industria del fossile.

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L'anidride carbonica prodotta dagli impianti di combustione può essere infatti oggi anche catturata e stoccata, una tecnica su cui l'Italia sta scommettendo e sulla quale permangono dubbi anche da un punto di vista dell'impatto ambientale. Parliamo infatti di una tecnologia agli albori, sui quali esistono ancora pochi impianti a livello mondiale, ma sui cui molte importanti nazioni, Germania e Danimarca su tutte, stanno investendo cospicuamente. Qual è il problema quindi? Sostanzialmente uno: nel documento non si faceva cenno alla quantità di  CO₂ da stoccare, e il rischio che questi sistemi diventino una sorta di "coperta di Linus" per permettere agli stati di continuare a inquinare è alto. Tradotto meglio: senza fissare degli standard precisi e rigorosi, potrebbe bastare la cattura di una minima parte di anidride carbonica per riuscire a soddisfare quanto stabilito a Dubai, con buona pace dell'eliminazione delle fonti di energia fossili. 

Mai così tanti petrolieri alla conferenza per il clima

Ma mentre il negoziato non decolla, i tempi non sono di certo propizi alla prudenza: ci avviamo nei prossimi anni a un aumento delle temperature di 2.6 gradi. Per contrastare questo trend bisognerebbe tagliare del 43% le emissioni entro il 2030 e del 60% entro il 2035, afferma l'Unfcc, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.

E sullo sfondo della conferenza aleggia anche lo scenario peggiore, ma non per questo meno probabile: quello che non si raggiunga nessun tipo di accordo. Del resto è proprio sulla riduzione delle fonti di energia fossili che si gioca la partita principale e la tentazione di omettere questo capitolo è forte. Quando a settembre il G20 si è impegnato a incoraggiare gli sforzi per triplicare le energie rinnovabili, la dichiarazione finale è rimasta silente sul destino delle fonti dei maggiori combustibili tutt'ora utilizzati. 

Se il nucleare non è più un tabù

Ma, comunque vada, la Cop28 ha fatto riaffiorare anche una parola mai nominata da anni: "nucleare". Dopo l'incidente di Fukushima del 2011, e a quasi 40 anni di distanza dallo spettro di Chernobyl, si ritorna a parlare attivamente di energia nucleare come risorsa che potrebbe facilitare la transizione verso l'abbandono delle energie fossili. E la spinta maggiore è arrivata dal delegato americano John Kerry che ha dichiarato che è "improbabile che si raggiunga la neutralità carbonica entro il 2050 senza il nucleare". 

Attività di lobbying pro-energia atomica sono state portate avanti anche dal presidente francese Macron che ha definito l'energia atomica come energia pulita. La Francia è del resto uno dei paesi leader dell'energia nucleare del mondo e quello di agganciare questa fonte di energia al treno della "transizione energetica" è ghiotto. Tra i paesi pro-nucleari si sono aggiunti anche Giappone, Corea del Sud, Ghana ed Emirati Arabi Uniti che hanno appena costruito la loro prima centrale. 

E molti di loro spingono ora per inserire anche l'energia nucleare nella dichiarazione finale a fianco delle rinnovabili per la lotta al cambiamento climatico. Rimane però il dibattito, tutt'altro che scontato, sulla "pulizia" o meno di queste fonti allo stato attuale. Intanto ventidue paesi di quattro diverso continenti si sono portati avanti e, con una dichiarazione congiunta, hanno affermato di voler triplicare la produzione di energia nucleare per il 2050 per contrastare il cambiamento climatico. 

Il "Phase down" e lo scontro fra paesi più ricchi e più poveri 

Ma, anche se ci si trova di fronte a uno stallo, il dato è che più di 100 paesi al mondo stanno pensando a un abbandono graduale dei combustibili fossili: un dato che potrebbe trasformarsi in un vero passo storico. E che è nelle mani dei due grandi colossi mondiali: Cina e Usa. Nelle ultime ore  l’Inviato speciale di Pechino per il clima  Xie Zhenhua ha dialogato lungamente con il suo omologo americano. 

Lo scontro è soprattutto tra i paesi ricchi e i paesi più poveri del sud del Mondo. Molti di quest'ultimi ammettono che l'abbandono alle fonti fossili danneggerebbe la loro economia e vorrebbero che i paesi ricchi ammettessero di aver contribuito maggiormente all'inquinamento da idrocarburi. Il corollario di una dichiarazione simile potrebbe essere un "Phase Down" ovvero un rallentamento graduale dell'utilizzo di fonti fossili che dovrebbe coinvolgere primariamente le nazioni che finora hanno inquinato maggiormente: ovvero tutto l'Occidente.

In alternativa i paesi più ricchi (e che hanno beneficiato maggiormente delle civiltà industriale sviluppata dall'industria delle fonti fossili) dovrebbero fornire un adeguato supporto finanziario ai paesi che oggi si basano su tecnologie deprecate (come il carbone), per avviarsi verso una transizione. Una posizione auspicata anche dal segretario Onu Guterres: "Il raddoppio dei finanziamenti per l’adattamento a 40 miliardi di dollari entro il 2025 deve essere un primo passo verso lo stanziamento di almeno la metà di tutti i finanziamenti per il clima verso l’adattamento" ha dichiarato. Anche se i soldi da stanziare, per una transizione reale, dovrebbero forse essere molto di più.

E la contraddizione sta tutta qui: nell'ultimissima bozza di accordo (ridotta da 27 a 21 pagine), diffusa oggi, lunedì 11 dicembre 2023 dalla presidenza della Cop28 in corso a Dubai, non si parla più di uscita dai combustibili fossili, ma di "riduzione". Una prospettiva accolta con rabbia da molti stati che stanno pagando sulla propria pelle il prezzo del cambiamento climatico, come potete vedere nel tweet sotto con la reazione di John Silk, ministro delle risorse naturali delle Isole Marshall. Parliamo di un gruppo di atolli e isole, situati poco più a nord dell'equatore e direttamente minacciate dall'innalzamento dei mari e degli eventi climatici estremi innescati dal cambiamento climatico. 

Nella nuova bozza si riconosce la necessità "di una riduzione profonda, rapida sia del consumo che della produzione di combustibili fossili in modo giusto, ordinato ed equo, in modo da raggiungere lo zero netto entro, prima o intorno al 2050, come raccomandato dalla scienza". Ancora una volta bisogna stare attenti alle parole: "riduzione", non è la stessa cosa di "eliminazione".

Segno che la battaglia in corso tra stati e lobbysti, in attesa della dichiarazione finale attesa per domani, martedì 12 dicembre, è più in salita che mai.

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