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Martedì, 30 Aprile 2024
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Alessia Pifferi e la figlia lasciata morire di stenti, c'è la perizia psichiatrica: "Capace di intendere e di volere"

Le conclusioni della perizia psichiatrica chiesta dai giudici della prima corte d'assise di Milano: la 38enne, a processo per la morte della figlia di 18 mesi, al momento dei fatti era cosciente di quanto stava succedendo. Rischia la condanna all'ergastolo

Alessia Pifferi era capace di intendere e di volere quando ha deciso di lasciare da sola per diversi giorni nella sua abitazione di Milano la piccola Diana, di soli 18 mesi, morta poi di stenti. È questa la conclusione della perizia psichiatrica che riguarda la donna a processo a Milano per la morte della bimba.

La perizia: "Alessia Pifferi è capace di intendere e di volere"

"Non essendo dimostrabile né una disabilità intellettiva - si legge nel documento realizzato dal perito Elvezio Pirfo - né un disturbo psichiatrico maggiore né un grave disturbo di personalità, è possibile affermare che Alessia Pifferi al momento dei fatti per i quali è imputata era capace di intendere e di volere". Nelle quasi 130 pagine di relazione, gli esperti spiegano: "Vista la mantenuta capacità di intendere e di volere non è possibile formulare una prognosi di pericolosità sociale correlata a infermità mentale. La donna presenta un funzionamento cognitivo integro e una buona capacità di comprensione della vicenda giudiziaria che la riguarda, sia in termini di disvalore degli atti compiuti sia dello sviluppo della vicenda processuale".

Secondo il perito, nell'abbandonare la figlia, Alessia Pifferi avrebbe anteposto i suoi interessi a quelli della piccola:  "Al momento dei fatti ha tutelato i suoi desideri di donna rispetto ai doveri di accudimento materno verso la piccola Diana e ha anche adottato 'un'intelligenza di condotta' viste le motivazioni diverse delle proprie scelte date a persone diverse". Conclusioni che si trovano in linea con quanto sostenuto dal pm di Milano Francesco De Tommasi e dal suo consulente: la 38enne adesso rischia la condanna all'ergastolo.

La perizia fa riferimento anche ai colloqui con le due psicologhe del carcere di San Vittore, adesso indagate per falso: "Il monitoraggio e i colloqui fatti dalle due psicologhe, che hanno preceduto la somministrazione del test di Wais, non sono del tutto conformi ai protocolli di riferimento e alle buone prassi in materia di somministrazione di test psicodiagnostici e quindi l'esito del predetto accertamento non può essere ritenuto attendibile e compatibile con le caratteristiche mentali e di personalità dell'imputata per come emergono dagli ulteriori atti del procedimento e dall’osservazione peritale".

"Le scelte di effettuare l’attività clinica per come emerge dal diario e dai protocolli - si legge ancora - risulta non appropriata vista la numerosità e continuità dei colloqui condotti anche in coppia laddove dal Diario della casa circondariale non emergono le indicazioni cliniche che possano aver supportato questa scelta di lavoro in assenza di una significativa disponibilità di risorse professionali, inoltre l'imputata ha utilizzato una modalità comunicativa povera e superficiale ma il linguaggio è stato sovente arricchito di termini e concetti tecnici che possono essere stati 'appresi' nel corso dei colloqui dimostrando quindi capacità di ascolto e comprensione".

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