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Martedì, 30 Aprile 2024
Il caso / Milano

La psicologa di Alessia Pifferi al pm: "Non lavorerò mai più in carcere. Sono stata umiliata"

La professionista e una collega sono indagate perché avrebbero aiutato, falsificando alcuni atti tra cui un test psicodiagnostico, la donna a processo per la morte della figlia a ottenere una perizia psichiatrica. Il legale della professionista: "Sbagliare un test è reato?"

Si definisce "annientata" e sicura di non volere "mai più" lavorare in un carcere. Questa la posizione di P.G., una delle due psicologhe indagate e perquisite per favoreggiamento e falso ideologico lo scorso 24 gennaio in relazione al processo ad Alessia Pifferi, la donna imputata per l'omicidio pluriaggravato della figlia Diana di quasi 18 mesi. Secondo l'accusa le due psicologhe avrebbero in sostanza aiutato, falsificando alcuni atti tra cui un test psicodiagnostico, Alessia Pifferi a ottenere una perizia psichiatrica. Risulta indagata anche l'avvocato difensore di Pifferi, Alessia Pontenani. Avrebbe preso parte allo stesso "disegno criminoso" avrebbe attestato "falsamente" per la sua assistita un quoziente intellettivo di 40, ossia di "deficit grave".

La psicologa di Alessia Pifferi: "Sono stata umiliata"

La professionista tramite il legale Mirko Mazzali ha depositato una lettera mentre nell'interrogatorio davanti al pm di Milano Francesco De Tommasi si è avvalsa della facoltà di non rispondere. "Credo che la verità - si legge - verrà a galla insieme alla mia più totale innocenza e buonafede perché credo che la magistratura farà un lavoro serio e secondo i principi costituzionali di giustizia. Sono innocente su tutta la linea. Il mio sentimento però è di fortissimo dolore e annientamento. Ho però solo una certezza, qualsiasi cosa accada di non volere mai più lavorare all'interno di un qualsiasi istituto penitenziario. Anche se dovessero regolare la sospensione all'ingresso io non voglio più tornare. Quello che mi sta accadendo - prosegue - lo vivo con angoscia e stupore allo stesso tempo. Sono affranta a e basita. Sono riusciti a spaventarmi e umiliarmi per motivi che fatico a comprendere". La psicologa, che per "30 anni" ha lavorato nelle carceri, chiede ai vertici dell'ospedale San Paolo e dell'Asst di trovare per lei "un'alternativa" (al lavoro nel penitenziario, ndr).

Parlando poi della perquisizione subita dice di essere stata trattata "come i detenuti, scortata a vista, messa in una situazione dove tutti hanno potuto osservare la scena, agenti, detenuti, colleghi, questo ha avuto il solo scopo di umiliarmi". 

"Ci faremo risentire - ha spiegato il legale ai cronisti - quando la Procura cristallizzerà le accuse. Ribadiamo che a nostro avviso si tratta di una contestazione assurda e non conferente all'attività della mia assistita". Secondo l'avvocato "la magistratura è intervenuta a gamba tesa sull'attività professionale di due psicologhe e anche sul comportamento di un avvocato e questo è preoccupante. Mi pongo un problema più da cittadino che da avvocato: se le psicologhe hanno sbagliato un test è un reato? Se l'avvocato gioisce per una consulenza è reato? Per me no e questo è il tema di questo caso". 

Intanto sulla vicenda si è aperto uno scontro interno alla Procura. Il pm Rosaria Stagnaro, che rappresentava l'accusa nel processo con De Tommasi, ha deciso di rinunciare, con una comunicazione inviata al procuratore Marcello Viola, all'incarico non condividendo l'iniziativa del collega, che non l'avrebbe informata sulla tranche d'inchiesta aperta, su cui a ogni modo non sarebbe stata d'accordo. E non potrebbe, ha fatto presente, nemmeno condividere le iniziative del pm nel processo. Il pm De Tommasi, infatti, potrebbe chiedere all'avvocato di astenersi nella prossima udienza a marzo e sollevare la questione della falsità di alcuni atti, a seguito delle nuove indagini. 

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