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Venerdì, 26 Aprile 2024
La storia

È morto Enzo Carra, la sua foto in manette ha cambiato il senso di giustizia

È stato portavoce della Democrazia cristiana tra il 1989 e il 1992, poi deputato alla Camera prima della Margherita e del Partito democratico

È morto Enzo Carra, giornalista, è stato portavoce della Democrazia cristiana tra il 1989 e il 1992, poi deputato alla Camera prima della Margherita e poi del Partito democratico. Era ricoverato da una settimana nel reparto di Terapia intensiva del Policlinico Gemelli di Roma a causa di una crisi respiratoria. Avrebbe compiuto 80 anni il prossimo 8 agosto.

Chi è Enzo Carra

Enzo Carra rappresenta un pezzo di storia del Paese, non solo per la sua attività di cronista e parlamentare. Suo malgrado, una sua foto in manette è rimasta per sempre nella memoria, diventando simbolo di una delle pagine più buie dell'inchiesta sulle tangenti in politica denominata "Mani pulite". Enzo Carra ha cambiato il corso del racconto della giustizia perché la sua immagine in manette ha testimoniato come magistratura, giornalismo e politica possano amalgamarsi in un sistema perverso, capace di distruggere la vita delle persone. 

Quando Enzo Carra è stato arrestato in quegli anni, è stato bloccato e trascinato in tribunale con gli schiavettoni, cioè con le manette serrate tra loro con catene e viti. Con i polsi bloccati, è stato portato via dalla polizia giudiziaria in favore di fotografi e cameramen. Quelle immagini, capaci di fare del male non solo a potenziali innocenti ma anche alle loro famiglie, ha portato a cambiamenti nella cultura garantista del Paese. Si pensi per esempio che, dall'arresto di Enzo Carra, è cambiata anche la deontologia giornalistica con nuove regole volte a impedire a qualunque redazione di pubblicare la foto di un indagato con le manette ai polsi. Un modo per salvaguardarne la dignità personale di chi deve essere ancora giudicato. Privilegio a cui non ha potuto appellarsi Carra.  

Enzo Carra, la vita e il caso giudiziario

Nato a Roma l'8 agosto del 1943, già a 22 anni ha iniziato a scrivere occupandosi di critica cinematografica, fondando anche un giornale dal titolo "Il Dramma". Poi negli anni '70 è approdato a "Il Tempo", dove è rimasto fino al 1987 come firma di punta delle pagine politiche.

Nel 1989, con la segreteria di Arnaldo Forlani, è diventato il portavoce del partito. Ed è in quel momento che è stato coinvolto nell'inchiesta relativa alla maxi tangente Enimont, accusato di falsa testimonianza. Ne era convinto il pm Antonio Di Pietro. Carra ha raccontato così quel momento. "Vado a Milano, Di Pietro mi interroga. Gli spiego che non so quasi nulla, tranne quel che leggo dai giornali. Il mio era un ruolo tecnico, da comunicatore. Mi dice: "Ma sa, andando al bagno in quei palazzi del potere uno le cose le viene a sapere". Carra continuava così il suo racconto: "Di Pietro mi dà appuntamento al venerdì, tre giorni dopo. "Perché dobbiamo fare dei riscontri". Al mio ritorno, venerdì, mi trovo davanti a una sceneggiatura, per quanto fantasiosa, già scritta. Un tipo mai visto, un faccendiere che doveva uscire di prigione, gli avrebbe detto di essersi riunito con me a Roma e io gli avrei parlato della maxi tangente. Io lo guardo negli occhi, gli chiedo in quali circostanze. Quello farfuglia: nel suo ufficio a Roma, c'erano diverse segretarie e alla fine della frase si mette a piangere. Doveva recitare la parte per uscire di galera, lo compatisco. Di Pietro sorride e mi stampa addosso l'accusa di aver mentito al Pm. Mi difendo ma non mi dà retta. Aveva bisogno di imputati freschi e io che ero il portavoce del segretario Forlani ero succulento, per lui".

Quelle accuse però nel frattempo avevano colpito anche le persone più vicine a lui. Soprattutto il figlio. "Mio figlio - racconterà in un'intervista in occasione dei trent'anni di Tangentopoli - veniva villaneggiato a scuola e fece molta fatica a riprendersi. Io mi rimisi in carreggiata grazie a un amico psichiatra. Volevo andare via, mia moglie insisteva perchè rimanessimo in Italia, ricominciai a lavorare solo due anni dopo grazie a Minoli".

Condannato definitivamente nel 1995 e poi riabilitato nel 2004, Carra è tornato all'attività giornalistica, autore per la Rai di numerose inchieste televisive, tra cui un reportage a Cuba immediatamente dopo la visita di Papa Giovanni Paolo II, un'intervista a Gheddafi durante l'embargo alla Libia e quella che sarà l'ultima intervista a Madre Teresa di Calcutta. Ma la politica è sempre stata una passione per Carra, che nel 2001 è stato eletto alla Camera con la Margherita (sarà relatore di minoranza della legge Gasparri in materia di telecomunicazioni), confermato nel 2006 e nel 2008. Entra nel Partito democratico quando si fondono i Democratici di sinistra e la Margherita fondata da Francesco Rutelli. Dal Pd se ne andrà poi nel 2010 per andare con il nuovo partito cristiano di centro "Unione di Centro".

Proprio l'attuale segretario di Udc Lorenzo Cesa, lo ricorda: ''Oggi ci lascia un autentico gentiluomo. Enzo lo era nella vita privata e in quella politica. Persona riservata, non amante del clamore, ha patito con profonda sofferenza la gogna mediatica frutto della furia giustizialista. E l'ha vissuta con profonda dignità e con il rispetto delle Istituzioni. Abbiamo avuto l'orgoglio di averlo avuto tra i nostri parlamentari in cui si è distinto per la sua capacità di essere un punto di riferimento, anche per i giovani parlamentari, per le sue doti umane e per la sua abilità di sintesi".  

I funerali di Enzo Carra si svolgeranno sabato prossimo 4 febbraio, alle ore 11 alla chiesa di Sant'Andrea al Quirinale.

Con la foto di Enzo Carra cambia la storia

La storia della foto, Carra l’ha raccontato così: "Dovevo comparire davanti ai giudici, ero al pianterreno del Palazzo di Giustizia. Due carabinieri si apprestavano ad accompagnarmi tenendomi per il braccio, poi arrivò una telefonata. Non seppi mai di chi. Li vedi consultarsi: era arrivato l’ordine di mettermi in ceppi. Dovevo comparire davanti al muro delle telecamere e dei fotografi ammanettato, come simbolo della vittoria dei magistrati sulla politica. Ero molto colpito ma rimasi, per fortuna, lucido".
Carra è stato carne da macello per qualcuno in quella foto ma ha avuto il merito di cambiare in meglio l’approccio del sistema mediatico ai fatto di cronaca e giudiziaria. Con quella foto è cambiato anche codice deontologico giornalistico. Nell'articolo 8 infatti si indicano tre regole per difendere la dignità delle persone di cui un giornalista scrive:

  • Salva l'essenzialità dell’informazione, il giornalista non fornisce notizie o pubblica immagini o fotografie di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesive della dignità della persona, né si sofferma su dettagli di violenza, a meno che ravvisi la rilevanza sociale della notizia o dell'immagine.
  • Salvo rilevanti motivi di interesse pubblico o comprovati fini di giustizia e di polizia, il giornalista non riprende né produce immagini e foto di persone in stato di detenzione senza il consenso dell’interessato.
  • Le persone non possono essere presentate con ferri o manette ai polsi, salvo che ciò sia necessario per segnalare abusi.

Il Garante della privacy in diverse occasioni ha poi rimarcato come i media si debbano astenere dal diffondere riprese e fotografie di persone in manette. Nel 2010, in occasione di un processo sui grandi appalti al Tribunale di Firenze, il Garante scrive: "Fatto salvo il diritto - dovere di informare su fatti di interesse pubblico, l'Autorità ricorda che occorre sempre rispettare la dignità delle persone, così come previsto, oltre che dalla normativa vigente, anche dal Codice deontologico dei giornalisti, laddove stabilisce che "le persone non possono essere presentate con ferri o manette ai polsi". Il Garante invita, dunque, tutti i media al più rigoroso rispetto delle norme, e alla salvaguardia della dignità personale, anche per evitare all'Autorità di dover adottare i conseguenti provvedimenti in caso di mancato adempimento". 
 

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