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Sabato, 27 Aprile 2024
L'intervista

Profili fake, quando i social (e i media) possono spingerti alla morte

Il caso di Forlì ha riacceso i riflettori sui pericoli e le conseguenze psicologiche della creazione di profili immaginari. Come nascono questi comportamenti? Quali segnali bisogna cogliere? Ne abbiamo parlato con Aristide Saggino, professore ordinario di Psicologia all'università di Chieti-Pescara

Un ragazzo all’apparenza felice che si toglie la vita a 24 anni. Un gesto estremo maturato dopo aver scoperto che la donna con cui aveva intrecciato una relazione virtuale da oltre un anno non era chi diceva di essere. Dietro quel profilo social (e non solo quello) c’era un uomo di 64 anni, anche lui suicida, dopo un servizio televisivo del programma Le Iene. Oltre ad "Irene Martini", una fantomatica e bellissima giovane, l’uomo aveva impersonato altri due "attori" con cui Daniele aveva avuto modo di confrontarsi: il fratello di Irene e Claudia, amica e confidente. Una rete fatta di messaggi, che aveva portato il giovane a palesare in più casi, a volte velatamente e altre meno, l’intenzione di farla finita se quella storia d’amore fosse terminata. Un proposito portato a compimento il 23 settembre del 2021, tra l’incredulità dei genitori che non avevano mai percepito il malessere che albergava nel loro ragazzo, né erano a conoscenza di questa relazione virtuale che andava avanti da oltre un anno. Soltanto dopo la morte di Daniele, la madre e il padre hanno iniziato ad indagare in quel fitto snodo di messaggi, fino a risalire alla persona che aveva raggirato il giovane.

Solitudine, insoddisfazione: come nasce un profilo fake

Un caso scioccante che ha riportate alla luce un problema nato con i social e a cui ancora non si riesce a porre rimedio in maniera concreta. Ma cosa spinge un uomo ad utilizzare uno o più profili falsi per prendersi gioco di un ragazzo? Lo abbiamo chiesto ad Aristide Saggino, professore Ordinario di Psicologia dell’Università di Chieti-Pescara e presidente dell’Aiamc, (Associazione italiana di analisi e modificazione del comportamento e terapia comportamentale e cognitiva): "Premetto che per esprimere valutazioni più precise sarebbero necessarie maggiori informazioni sui soggetti in questione. Sono tante le motivazioni che potrebbero spingere ad un comportamento del genere. Un disturbo mentale ad esempio. La solitudine anche. Infine, il piacere di esercitare il potere su di un’altra persona influenzandola".

La situazione familiare e quella lavorativa sono tra le componenti che più influenzano la psiche umana e, come sottolineato a Today dal prof. Saggino, sono molti i dettagli della vita dell’uomo che non possiamo conoscere: "Basandoci sulle informazioni in nostro possesso, non possiamo sicuramente definirla una persona adattata al suo ruolo sociale, né soddisfatta della propria vita. Questa affermazione vale anche per il ragazzo ventiquattrenne.  Anche su di lui non abbiamo informazioni sufficienti. In ogni caso, avere la sensazione di poter controllare in qualche modo il destino di un altro essere umano può provocare una sensazione di potere che crea una situazione di illusorio benessere che funge da rinforzo positivo del comportamento e che, quindi, aumenta il desiderio di tenere ulteriormente in pugno la vittima. In altre parole, più si ha in pugno la vittima e più si desidera di tenerla ulteriormente in pugno, perché ciò in qualche modo ci soddisfa e ci fa sentire meglio. Ma questo non è ovviamente un sentirsi meglio naturale, ma un sentirsi meglio patologico che spesso rappresenta una risposta individuale alla propria solitudine ed alle proprie inadeguatezze".

Le tecniche per irretire le vittime

Ma come funziona? Quali strategie vengono utilizzate per adescare e irretire le persone online? Secondo il presidente dell’Aiamc, spesso esiste un "modus operandi" ben preciso: "Si va per lo più per tentativi ed errori. Si prova con una persona e con una tecnica. Se non si riesce si prova con un’altra tecnica con la stessa persona o con un’altra persona. Si può cominciare con piccole richieste (ci risentiamo domani?) per poi passare a richieste più significative (mi mandi una tua foto?) e così via passo dopo passo fino a che la vittima non è diventata preda dell’oppressore. La tecnica migliore di solito è, quindi, quella per piccoli passi, evitando di fare il passo più lungo della gamba. Devi in altre parole conquistarti la fiducia della vittima e devi anche un po’ alla volta identificare di cosa la vittima ha bisogno a livello psicologico e darglielo. Se ha bisogno di una compagna ovviamente puoi impersonare una giovane donna e così via. Situazioni come questa possono avvenire solo quando si incontrano due esigenze che si completano: quella della vittima e quella dell’oppressore. Tali esigenze possono essere quella di dominio da parte dell’oppressore e di bisogno di affetto da parte della vittima. Non può esistere una vittima senza oppressore né un oppressore senza una vittima".

I campanelli d’allarme

Il caso di Forlì ha conquistato le prime pagine dei giornali per i suoi risvolti tragici, ma Daniele era un ragazzo come tanti, magari con poche amicizie ed un tessuto sociale debole, una situazione comune a moltissimi giovani al giorno d’oggi. Allora cosa può notare un genitore? Quali sono i campanelli d’allarme da non sottovalutare? "Bisogna fare attenzione soprattutto ai cambiamenti di personalità o a quelli comportamentali - ha spiegato a Today il professor Saggino - Se un ragazzo comincia a comportarsi in modo diverso dal solito dobbiamo chiederci: perché? Dobbiamo cercare di rispondere a questa domanda. Qualsiasi cambiamento nella vita ha sempre una o più cause che è necessario identificare. Un genitore sicuramente può e deve stare attento ai comportamenti di un figlio o di una figlia. Ma quando si tratta, come in questo caso, di giovani maggiorenni vi è anche il problema della libertà di scelta alla quale qualsiasi maggiorenne ha diritto. Il modo migliore non consiste quindi nel "mettere sotto chiave" i figli (cosa per giunta impossibile ed illegale), ma seguirli discretamente senza interferire eccessivamente, cosa che potrebbe portare a comportamenti di evitamento nei confronti dei genitori e quindi ad un peggioramento della situazione.  Se ci sono problemi meglio discuterne, esponendo in modo non aggressivo il proprio punto di vista. Ovviamente ciò funziona nella maggior parte dei casi. Consigli specifici possono essere dati solo davanti ad uno specifico caso concreto".

Il trauma della scoperta

Per provare a comprendere cosa ha spinto un ragazzo di 24 anni con una vita davanti a farla finita è necessario capire il trauma che ha provato. Come spiegato da Saggino, scoprire che la donna di cui si era innamorati è in realtà un’altra persona è "un’esperienza terribile e devastante da un punto di vista psicologico, equiparabile a quella di qualsiasi altro tipo di separazione da una persona amata, come un decesso, la separazione o il divorzio. Anche qui dovremmo avere maggiori informazioni per poterci esprimere con maggiori certezze - conclude il presidente dell’Aiamc - Ma se immaginiamo (cosa non difficile da fare) che il sessantaquattrenne abbia finto, nell’impersonare la ragazza, di provare dei sentimenti nei confronti del ragazzo è fin troppo normale che quest’ultimo sia rimasto traumatizzato da questa esperienza allo stesso modo di quando si è lasciati da un partner di cui siamo innamorati. Il ragazzo ha molto probabilmente sperimentato un vero e proprio trauma psicologico che può aver provocato un disturbo post traumatico da stress (PTSD). Tale disturbo è caratterizzato, tra l’altro, da incubi, intensi sintomi di stress, ricordi dell’esperienza traumatica, sensazioni fisiche quale dolore e nausea. Si tratta di un disturbo serio che può portare anche, come è avvenuto in questo caso, a tentativi di suicidio. Ovviamente si tratta di problematiche risolvibili se prese in tempo, anche se ciò non è purtroppo avvenuto nel caso in esame".

Il suicidio del 64enne e la replica delle Iene

Come accennato anche ad inizio articolo, la vicenda si è conclusa lo scorso fine settimana con il suicidio di Roberto, l’uomo di 64 anni intercettato e ripreso (anche se oscurato) dalle telecamere della trasmissione Le Iene. La Procura ha aperto un fascicolo contro ignoti rubricato con il reato di istigazione al suicidio, mentre Pier Silvio Berlusconi, amministratore delegato di Mediaset, ha chiesto di “alzare il livello di attenzione e sensibilità". Le Iene hanno invece replicato con un secondo servizio andato in onda nella puntata di martedì 8 novembre: "Una tragedia nella tragedia, che non solo non ci lascia indifferenti, ma che ha colpito tutti noi - ha evidenziato Matteo Viviani - Perché a prescindere dalla lettura che ognuno di noi può fare di questa storia si sta parlando della vita di un uomo, che a causa di un meccanismo perverso, tipico del catfishing, si era legata a quella di un altro uomo, seguendo lo stesso tragico destino".

Un caso destinato a far discutere ancora e che deve far riflettere sulle tante sfaccettature che lo caratterizzano. Dalla fragilità dei giovani, che si rifugiano in mondi virtuali pur di sfuggire alla solitudine, ai pericoli che possono nascondersi tra le pagine dei social network, in grado di provocare conseguenze tragiche e sconvolgenti. Daniele poteva essere un nostro amico, un parente o un ex compagno di classe, poteva essere ognuno di noi. Anche se i segnali spesso sono impercettibili e difficili da cogliere, a volte basta una parola, un segnale di conforto o un abbraccio silenzioso, basta svestire per qualche volta i nostri adorati "panni", per mettere un po’ in quelli degli altri. Perché non si può morire così, a causa di un profilo fake o di un servizio televisivo.

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