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Lunedì, 29 Aprile 2024
Un sistema rodato / Napoli

La più grande truffa sul reddito di cittadinanza, con un finto negozio e un piano diabolico

Un raggiro da 2,3 milioni di euro, sfruttando acquisti simulati di prodotti alimentari e fatture false emesse da una società non operativa nella realtà. 285 cittadini stranieri coinvolti, sei persone arrestate dalla guardia di finanza di Napoli. Come funzionava la presunta frode

È uno dei più grandi raggiri sul reddito di cittadinanza, se non il più vasto per il volume d'affari complessivo, quello scoperto nel cuore di Napoli dalla guardia di finanza. Una truffa da 2,3 milioni di euro, chiaramente ora solo ipotizzata dalle accuse, realizzata con un piano ben architettato che ha coinvolto 285 cittadini extracomunitari, ai quali non sarebbe spettato il sussidio. Tutto è venuto alla luce grazie a un'indagine del nucleo di polizia economico-finanziaria della guardia di finanza, coordinato dalla procura e dal pubblico ministero Luigi Landolfi.

Le forze dell'ordine hanno scoperto che quasi trecento presunti truffatori, perlopiù disoccupati, erano riusciti a percepire il reddito di cittadinanza nonostante risiedessero in Italia da meno di dieci anni. Per farlo, avevano simulato acquisti frequenti e ravvicinati in un fantomatico negozio di alimentari, dove Pos e cassa registravano spese inesistenti. Per il momento, sono stati fermati sei indagati, accusati a vario titolo di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, associazione per delinquere, usura, estorsione, abusiva attività finanziaria e autoriciclaggio.

Il sistema messo a punto era ben rodato: sfruttava un finto negozio di alimentari come centrale per riciclare il reddito di cittadinanza, con il pos e la cassa che funzionavano a ciclo continuo, registrando importi anche consistenti per spese che in realtà non avvenivano. Solo che i pagamenti arrivavano tutti da un numero cospicuo di carte Postepay sulle quali veniva accreditato il sussidio. E i titolari erano soprattutto cittadini stranieri disoccupati, indigenti che riuscivano così a ottenere il beneficio dall'Inps.

Le carte Postepay, il finto negozio e gli acquisti simulati

Una truffa articolata e ben orchestrata, secondo gli inquirenti. I presunti truffatori richiedevano il codice fiscale per poi presentare la domanda per il reddito di cittadinanza, pur non avendo rapporti lavorativi o assistenziali con l'Inps. Le indagini sono partite proprio da qui, da alcuni controlli sulla posizione di numerosi cittadini stranieri. Poi utilizzavano le carte Postepay del sussidio "anti povertà", dove veniva loro accreditato il beneficio economico, per acquistare prodotti alimentari. Sempre nello stesso negozio, a Napoli, per importi significativi e spesso nello stesso giorno e in orari ravvicinati.

Particolari che hanno insospettito i finanziari, fino a scoprire che il negozio era una copertura. Nessun acquisto reale di pasta, pane, latte e yogurt, infatti. Quel negozio in realtà era la base operativa dell'organizzazione criminale, sempre secondo le accuse, e consentiva a centinaia di persone di eludere le disposizioni di legge sul corretto utilizzo del sussidio. Come? Mancano altri due passaggi.

Le somme in contanti, la quota per la banda e le fatture false

L'acquisto era seguito dalla restituzione in contanti della somma pagata nel finto esercizio commerciale, a cui veniva sottratta una percentuale tra il 10 e il 20%, trattenuta dai capi dell'organizzazione. Dopo aver simulato l'acquisto di prodotti alimentari nel negozio cittadino, quindi, ai percettori del reddito venivano dati i soldi in contanti, trattenendo una quota per i truffatori. La fase successiva e finale del piano ingannevole prevedeva l'emissione di fatture false da parte di una società collegata, non operativa nella realtà, per giustificare il volume anomalo delle vendite effettuate.

I soldi reinvestiti per comprare case intestate alle mogli

Non solo: i sei arrestati sono ritenuti anche responsabili di prestiti con interessi usurai a tasso variabile dal 30% a oltre l'800% a 15 persone in difficoltà economica, convinte a pagare attraverso metodi violenti e minacce, quando non riuscivano a rispettare le scadenze. I componenti del gruppo avrebbero inoltre reinvestito i proventi di quest'attività illecita comprando case poi intestate alle rispettive mogli.

La guardia di finanza ha sequestrato appunti manoscritti, contanti per circa 92mila euro, assegni bancari e cambiali per circa 158mila euro, beni immobili, conti correnti e altri titoli per 90mila euro. Quattro dei fermati si trovano in carcere, gli altri due sono agli arresti domiciliari. 

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