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Venerdì, 26 Aprile 2024
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Molenbeek e la sfida dell'integrazione: "Sono di Bruxelles, e sono arabo"

Le testimonianze dal quartiere dove è nato Salah Abdeslam, il terrorista sopravvissuto agli attentati di Parigi di novembre. Lì è stato protetto e nascosto. Ma lì è stato anche arrestato proprio grazie alle segnalazioni di alcuni abitanti del "petit Maroc"

BRUXELLES - Da quando è stato arrestato Salah Abdeslam, il quartiere di Molenbeek è diventato tristemente famoso in tutto il mondo. A "Molen", come lo chiamano i giovani di origine maghrebina, Salah è stato nascosto e protetto. Ma nel "petit Maroc", nel "piccolo Marocco", è stato arrestato. Merito, anche, delle segnalazioni degli abitanti del quartiere che, durante il blitz delle teste di cuoio, indicavano alle forze dell'ordine il luogo del nascondiglio del terrorista sopravvissuto agli attentati di novembre di Parigi. 

MOLENBEEK - "Molen", "Petit Maroc", è da anni un caso di difficile integrazione della comunità di origine araba in una capitale europea. "Quando sono arrivato qui ero l'unico straniero, oggi sono l'unico europeo", racconta ad Askanews un italiano che abita da molti anni a Molenbeek e preferisce l'anonimato. Lungo la sua strada, crocicchi di volti mediorientali, donne col velo, una moschea alla fine della via. "Molen" ha circa centomila abitanti, la metà arabo-musulmana. I ragazzi sono nati in Belgio e hanno la nazionalità belga. 

AFFITTI MENO CARI - Un ragazzo sulla trentina, genitori marocchini, ricorda che suo padre arrivò a Bruxelles negli anni Cinquanta. "Gli proposero di prendere casa qui, gli affitti erano i meno cari della città, lui non volle perché la zona non gli piaceva, c'è un lato del quartiere in particolare che è malsano, case cadenti e sporche. Ma questo è il motivo per cui all'inizio molti immigrati si sono installati lì, gli affitti costavano poco". Nel corso degli anni la presenza straniera è aumentata. 

L'arresto di Salah nel quartiere di Molenbeek

L'INTEGRAZIONE "SOCIALISTA" - L'ex sindaco Philippe Moureaux, socialista, viene ancora oggi accusato dai suoi avversari di aver spalancato le porte di Molenbeek "a loro", senza pertanto occuparsi di integrarli. Accuse che gli vengono mosse da entrambi i lati. Per questo, a febbraio, col cuore ancora spezzato dagli attentati di Parigi e in piena "caccia a Salah", ha mandato in stampa un libro, La verità su Molenbeek, per difendersi dalle accuse. Dopo gli attentati a Zaventem e Maelbeek compare in televisione di continuo per dire che non si sente assolutamente colpevole di una radicalizzazione "che prescinde dal quartiere e si è ad ogni modo accentuata dopo la fine del suo mandato, durato dal 1992 al 2012".

DIECI ANNI DIFFICILI - Un abitante di Molenbeek di origine italiana ricorda un decennio, tra il 1995 e il 2005, particolarmente pericoloso, tra rapine, spaccio di droga, e un'atmosfera pesante in tutto il quartiere. Poi i controlli di polizia sono aumentati. "Oggi si cammina tranquillamente per le strade". Una situazione che sembrava in miglioramento. Fino a che l'arresto di Salah Abdeslam ha aperto gli occhi del mondo su questo luogo "dove i vicini di casa, di stessa nazionalità belga ma di etnie diverse, ora si guardano in cagnesco".

Bruxelles, le prime pagine dei giornali di tutto il mondo

"SI E' ROTTO QUALCOSA" - "In metro le persone si guardano con sospetto l'un l'altro. E' normale. Temo che si sia rotto qualcosa, che si stia diffondendo il virus della diffidenza tra di noi che abitiamo in questa città. Bruxelles non era così". Un tassista si sfoga con il passeggero preso al rond point Schuman, il cuore del quartiere europeo, a poche decine di metri dalla stazione di Malbeek colpita dagli attentati di martedì. "Sono nato a Bruxelles, sono marocchino", si presenta. Dice proprio così: "Je suis marocain". Non rinnega l'origine, non ne ha motivo, così come non nasconde la sua riconoscenza per il Belgio. I suoi genitori sono venuti dal Marocco, lui ha potuto studiare, quando il padre è morto si è messo a lavorare, quando è rimasto disoccupato ha ricevuto dallo Stato un contributo mentre intraprendeva una formazione professionale.

Il Belgio ti dà molti regali. Qui hai tutto quello che puoi desiderare, devi darti da fare ma puoi vivere felice. Non capisco queste persone.

GLI ATTENTATORI - "Queste persone" sono gli attentatori della metro di Maelbeelk e dell'aeroporto di Zaventem. "Sono criminali", è la prima definizione. Ma non basta. "Odiano lo Stato". E ancora: "Sono stati reclutati da qualcuno". Il Belgio è il paese europeo da cui è partito, in termini relativi, il maggior numero di foreign fighters verso la Siria e l'Iraq. Una tendenza aumentata "prima che nascesse Daesh", ricorda il tassista. "Mi ricordo, una decina di anni fa, di aver portato una coppia di genitori alla polizia, volevano denunciare il figlio che era partito per la Siria. Il poliziotto ha alzato le spalle e ha commentato: non possiamo impedirglielo ...".

Bombe a Bruxelles nel 2016

"L'ISLAM NON C'ENTRA" - Per il tassista, "belga e marocchino", è comunque "inspiegabile" quanto accaduto martedì. "L'Islam non c'entra. Anche io sono musulmano, prego, vado in moschea. E non mi è mai successo, mai, di sentire parlare di attentati, non mi è mai capitato che qualcuno mi sussurrasse all'orecchio...". Ora, il rischio è che in una città dove da sempre convivono realtà diverse una accanto all'altra, immigrati italiani e arabi, portoghesi e congolesi, valloni e fiamminghi, belgi e funzionari Ue, si diffonda il virus della diffidenza. "Sarebbe quello che voleva ottenere quella gente". Persone che hanno ucciso altre persone. "Non capisco: non hanno avuto paura di Dio?".

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