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Sabato, 27 Aprile 2024
il racconto / Stati Uniti d'America

I cinesi che emigrano negli Stati Uniti per fuggire dalla crisi economica e politica

Da quest'anno, il fenomeno è diventato più preoccupante per le autorità federali statunitensi, che devono gestire i migranti cinesi intenzionati ad attraversare il confine con il Messico anche illegalmente

I lockdown imposti durante il periodo pandemico, il rallentamento della crescita economica e l'aumento della disoccupazione giovanile. Sempre più cinesi trovano nella crisi sociale ed economica della Cina una ragione per emigrare all'estero. In molti casi si tratta di attivisti e dissidenti del governo di Pechino, anche spesso a migrare sono persone in cerca di migliori opportunità economiche. Tra le destinazioni principali, ci sono gli Stati Uniti, raggiunti anche attraversando illegalmente il confine con il Messico.

Il pericoloso viaggio nella foresta pluviale

Il viaggio verso gli Stati Uniti inizia dall'Ecuador. È qui che i cittadini cinesi sono esenti da visto. I migranti navigano nella foresta pluviale e attraversano i Paesi dell'America centrale per raggiungere il confine tra Stati Uniti e Messico. A venire in soccorso ai migranti cinesi sono i social network. Sul TikTok cinese, Douyin, sono virali i contenuti che spiegano come migrare (anche in maniera illegale) verso gli Stati Uniti.

I dati della dogana statunitense mostrano che i richiedenti asilo cinesi sono stati decine o centinaia nel corso del 2022, quando era ancora in vigore il divieto di viaggio dovuto alla pandemia, ma i numeri sono più che raddoppiati da quando il governo di Pechino ha abolito la strategia zero Covid lo scorso dicembre.

Da quest'anno, il fenomeno è diventato più preoccupante per le autorità federali statunitensi. Durante i nove mesi del 2023, più di 24mila cittadini cinesi hanno intrapreso il pericoloso viaggio per attraversare il confine del Messico e richiedere asilo politico negli Stati Uniti. Di questi, almeno 4mila persone sono state arrestate dalla polizia doganale e di frontiera degli Stati Uniti. 

"Non c'è modo di sopravvivere in Cina"

Un richiedente asilo sulla cinquantina della città di Xian, nel nord della Cina, che si è identificato con lo pseudonimo di Zhang Jun per paura di ritorsioni, ha recentemente attraversato il confine degli Stati Uniti e si è stabilito a New York. Alla testata Radio Free Asia, l'uomo ha raccontato di una diffusa insoddisfazione del popolo cinese per la repressione politica e la stagnazione economica che la Cina sta vivendo sotto il leader del Partito comunista cinese Xi Jinping. "Perché così tante persone vogliono andarsene? Perché non c'è modo di sopravvivere lì", ha detto Zhang, un ex dipendente di un'impresa statale.

Per Zhang, i problemi sono iniziati dopo il licenziamento, quando ha presentato una petizione insieme a centinaia di milioni di persone licenziate dal settore statale negli anni '90, per chiedere un migliore sostegno sociale. È stato ignorato dai funzionari ed è stato costretto a rinunciare a un risarcimento dopo essere stato detenuto in prigione per 15 giorni. Dopo la pandemia, in cui l'uomo ha avuto difficoltà a trovare lavoro, è arrivata un'ulteriore tragedia nella vita di Zhang: le autorità hanno demolito improvvisamente la sua casa. Stanco della situazione politica ed economica della Cina, Zhang ha deciso di emigrare. L'uomo ha affermato che nessuno prende alla leggera la decisione di andarsene in un Paese straniero per avere una vita migliore.

Ma sembra che le cose stiano cambiando. Ci sono segnali che mostrano i tentativi delle autorità cinesi di cercare di arginare il fenomeno, introducendo restrizioni a livello nazionale sul rilascio dei passaporti ed eseguendo irruzioni in una società di consulenza sull'immigrazione con sede a Shanghai.

La fuga delle imprese

Non sono solo i cittadini cinesi a voler lasciare la Cina. Un recente rapporto della Banca Centrale Europea ha rilevato che oltre il 40 per cento delle multinazionali presenti in Cina pensa di trasferirsi in Paesi politicamente più amichevoli nei prossimi anni, sfuggendo anche alle ripercussioni dello scontro tra le due superpotenze globali, Stati Uniti e Cina. L'istituto bancario europeo ha rilevato che i 49 per cento di 65 aziende stranieri in Cina vuole puntare al "near-shore", ovvero avvicinare la produzione ai punti vendita, mentre il 42 per cento vorrebbe spostarle in località più accoglienti. 

A causa del rallentamento della crescita economica e delle tensioni tra Pechino e Washington, la Cina attrae sempre meno capitali stranieri. Per sei trimestri consecutivi fino alla fine di settembre 2023, gli utili totali privati alla Repubblica popolare dalle aziende estere ammonterebbero a oltre 160 miliardi di dollari.

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