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Sabato, 27 Aprile 2024
Il dragone in difficoltà

Tutti fuggono dalla Cina, gli italiani (ancora) resistono

La borsa di Pechino crolla ai minimi degli ultimi cinque anni. Complice anche le nuove normative sulla sicurezza nazionale, molti investitori stranieri stanno ritirando miliardi di dollari dall'economia cinese per immetterli in mercati apparentemente più promettenti e dalle prospettive migliori. India e Vietnam in primis

Il miracolo cinese sta tramontando. Disoccupazione giovanile e calo demografico, settore immobiliare in crisi, produzione industriale ben sotto le attese e investimenti esteri in fuga: l'economia cinese non se la sta cavando benissimo. Con la pandemia di coronavirus e le conseguenti restrizioni della politica zero Covid, la Cina ha costantemente registrato un calo della propria performance economica, aggravata dalle sanzioni statunitensi che minano ad affossare la crescita cinese in ambito di semiconduttori. A differenza del passato, però, il governo centrale è riluttante a concedere ai consumatori il tipo di sussidi che ha alimentato la ripresa post-pandemica negli Stati Uniti e nell'Unione Europea. Inoltre, le amministrazioni locali cinesi, carichi di debiti, non hanno lo spazio fiscale necessario per dare un forte impulso alla spesa.

Le aspettative deludenti

Pechino sa che deve dare un nuovo indirizzo economico per giustificare l'obiettivo del prodotto interno lordo intorno al 5 per cento per il 2024, che potrebbe essere stabilito durante le cosiddette "due sessioni" o lianghui, le sedute plenarie dell'Assemblea nazionale del popolo (il Parlamento del gigante asiatico) e della Conferenza politica consultiva del popolo cinese. Ma le aspettative potrebbero essere disattese: la crescita economica potrebbe rallentare al 4,6 per cento quest'anno e al 4,5 nel 2025. 

Per dare una stimolo all'economia, che da anni non registra più una crescita a due cifre, il presidente Xi Jinping ha sollevato per la prima volta l'idea di costruire "nuove forze produttive", riferendosi all'utilizzo di scienza e innovazione tecnologica per generare nuove industrie e accelerare lo sviluppo economico del Paese. Un'idea che mira a invertire la direzione negativa verso cui sta andando la Cina. Tanto che persino il leader cinese, riconoscendo le inevitabile cadute dell'economia del gigante asiatico, ha ammesso per la prima volta le difficoltà di tantissimi giovani nel trovare un lavoro e rispondere ai bisogni di base. 

Gli emblemi del Partito Comunista Cinese in una mostra a Shanghai (LaPresse)

C'è poi il grosso peso esercitato dagli investimenti stranieri, che rappresentano una forza trainante significativa per lo sviluppo e la prosperità dell'economia cinese e mondiale. Tanto che la leadership cinese ha già avviato un pacchetto di politiche per promuovere l'ingresso di capitali stranieri in Cina. Innanzitutto allontanando la strategia di "riduzione del rischio" (de-risking) proposta da Bruxelles per ridurre la dipendenza europea dalla Cina di materie prime e terre rare, necessarie per la transizione verde e digitale, e diversificare le catene di approvvigionamento. 

Il crollo dei titoli azionari e degli investimenti

L'inizio dell'anno ha visto i titoli azionari cinesi crollare ai minimi degli ultimi cinque anni a causa dei timori per la crescita e l'aggravarsi della deflazione a livelli mai visti dalla crisi finanziaria globale. E poi c'è la perdita di attrattiva dei manager stranieri. Gli investimenti diretti esteri (Ide) in ingresso in Cina sono precipitati al livello più basso degli ultimi 30 anni. Dagli ultimi dati dell'Amministrazione statale dei cambi emerge che nel 2023 gli investimenti diretti esteri in Cina sono ammontati a 33 miliardi di dollari, in calo di circa l'80 per cento rispetto al 2022 e inferiori del 10 per cento rispetto al picco segnato nel 2021.

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L'ulteriore colpo è stato registrato nel mese di gennaio, a conferma delle difficoltà di Pechino nell'attrarre capitali nella fase post Covid: il ministero del Commercio ha riferito che a gennaio gli Ide sono scivolati a circa 16 miliardi di dollari, in calo dell'11,7 per cento. Sempre a gennaio, il ministero ha riferito poi che sono state create in tutto il Paese 4.588 nuove imprese a partecipazione straniera, in crescita del 74,4 per cento rispetto allo stesso mese del 2023. Prendendo in considerazione gli investimenti diretti esteri in entrata in Cina nel 2022, secondo i dati riportati dal State Administration of Foreign Exchange (Safe) e ripresi da Iccf, il settore non finanziario ha attratto oltre il 90 per cento degli investimenti, per un valore di 167,7 miliardi dollari. Tra questi spiccano il settore manifatturiero (30 per cento degli Ide complessivi), delle vendite all'ingrosso e al dettaglio (19 per cento) e della ricerca scientifica e dei servizi IT (18 per cento). In particolare, il settore dei servizi è cresciuto del 5 per cento, raggiungendo un valore di 50,3 miliardi di dollari.

Perché il governo cinese è in difficoltà nonostante le promesse di nuove aperture? Chi arriva da fuori si trova davanti a un contesto generalmente favorevole per le aziende statali, mentre affronta una pressione senza pari per via dell'inasprimento delle normative sulla sicurezza nazionale e delle leggi anti-spionaggio. Il campanello di allarme è divenuto più forte con il recente emendamento alla legge per la tutela dei segreti di Stato, che ha introdotto "i segreti del lavoro" relativi alla raccolta e diffusione di informazioni sulla produzione industriale cinese e sulla situazione del suo mercato. La dicitura molto vaga e una certa flessibilità di utilizzo a discrezione dei funzionari preoccupano i manager delle aziende straniere che operano in Cina. 

"Le imprese italiane vogliono ancora 'beneficiare' del mercato cinese"

Si è giunti così a un chiaro risultato. Le misure del governo cinese hanno complicato l'ambiente operativo per le aziende, già messo a dura prova da sfide economiche significative. Sfide che si trovano ad affrontare molti manager italiani. "Vediamo con chiarezza che le imprese italiane vogliono ancora 'beneficiare' del mercato cinese, una piazza economica che non si può ignorare se si tengono in considerazione le sue prospettive future", afferma a Today.it Mario Boselli, presidente di Italy China Council Foundation (Iccf). "Quindi l'interesse degli investitori è vivo proprio grazie a questa ottica di medio-lungo periodo, che è comunque relativa a quella che è la seconda economia al mondo". 

La presenza tricolore nel mercato cinese è forte: secondo i dati di infoMercatiEsteri della Farnesina, sarebbero oltre 1600 le imprese in Cina a controllo italiano. Sul piano degli investimenti, persiste uno squilibrio tra lo stock di Ide italiani in Cina, che al 2022 equivaleva a 15,5 miliardi di euro, e lo stock di investimenti cinesi in Italia, che, sempre al 2022, ammontava a 2,3 miliardi di euro. Riguardo agli investimenti italiani in Cina, rimane prioritaria la ricerca dell'ottenimento di una parità di trattamento (level playing field) e tutela della proprietà intellettuale per gli operatori economici stranieri.

I dati dell'Ide raccolti dall'Osservatorio economico della Farnesina

I settori più interessanti per gli investitori italiani

Ma quali sono i maggiori settori in cui investono maggiormente gli imprenditori italiani? La modalità di investimento, spiega Boselli, non è più rivolta all'export quanto alla produzione per il consumo locale. Dopo la pandemia è ancora difficile comprendere in quali ambiti stiano investendo le aziende italiane in Cina, perché per molte di loro la ripresa è appena iniziata. "C'è la volontà e la necessità di tornare a presidiare le posizioni precedenti: i settori sarebbero quelli tradizionali, dalla meccanica al medicale (grazie anche alla crescita della Silver Economy) e l'healthcare in generale, senza però tralasciare il campo della protezione ambientale, transizione energetica e economia circolare", precisa il presidente dell'Iccf.

Da un recente sondaggio della Camera di commercio italiana in Cina (a cui ha preso preso parte oltre il 65 per cento degli oltre 800 associati) emerge tuttavia un dato interessante. Il 'business sentiment' delle aziende italiane in Cina sembra essere deteriorato rispetto al primo trimestre del 2023 con il 41 per cento delle imprese che dichiara di nutrire una minore fiducia nel mercato cinese, pur non indicando alcuna intenzione di lasciare la Cina. A essere più diffidenti è anche il 39 per cento delle case madri italiane. L'ottimismo del primo trimestre 2023 si scontra con una ripresa più lenta del previsto: se ad aprile 2023 il 70 per cento prevedeva un aumento del fatturato di più del 20 per cento, ora scende al 47 per cento, con un 35 per cento dei rispondenti che dichiara un calo.

In base al sondaggio della Camera di commercio italiana in Cina, per il 52 per cento delle imprese italiane la Cina rimane comunque un mercato importante in cui operare e continuare a mantenere la propria attività, seppur con un maggiore cautela e selezione negli investimenti. Ne è convinto anche il presidente di Iccf. "Il tema dell'uscita degli investimenti stranieri dalla Cina riguarda prettamente il mercato finanziario meno attrattivo per via della generale contrazione dei tassi di interesse perché, se guardiamo agli investimenti diretti 'non finanziari', possiamo notare che i numeri non fanno parlare di una ritirata: chi è in Cina con una realtà stabile ha mantenuto il presidio nel Paese, eventualmente riorganizzando la sua presenza". 

Lo confermano anche i numeri, sostiene Boselli. "Sebbene ci si sia concentrati sul più debole afflusso annuale di Ide nel 2023 dalla prima metà degli anni '90, i dati preliminari della bilancia dei pagamenti offerti dalla State Administration of Foreign Exchange hanno mostrato un rallentamento dei deflussi di capitale dell'ultimo trimestre del 2023 rispetto al terzo trimestre; il ritmo dei deflussi è infatti rallentato a 26 miliardi di dollari rispetto ai 65 miliardi del trimestre precedente. Se prendiamo in considerazione i dati sugli investimenti esteri provenienti dal ministero del Commercio cinese, che misurano solo i flussi lordi d'investimento, ne deriva un'immagine più ottimistica, indicando una diminuzione dell'8 per cento degli Ide nel 2023 su base annua". Per il presidente di Iccf, il calo degli investimenti diretti esteri nel 2023 è stato principalmente guidato da una riallocazione a breve termine degli utili trattenuti, anziché da un esodo a lungo termine di capitale straniero.

Tuttavia, il 16 per cento degli intervistati dal Camera di commercio italiana ritiene che la Cina non sia più un Paese prioritario e sta pianificando di ridurre il rischio dei propri investimenti guardando ad altri mercati, in particolare nella regione del Sud-est asiatico. E non sarebbero gli unici. Molti investitori stranieri stanno ritirando miliardi di dollari dall'economia cinese per immetterli in mercati apparentemente più promettenti e dalle prospettive migliori. India e Vietnam in primis. Il presidente di Iccf è tuttavia ottimista e ribadisce quanto sia forte l'interesse verso il mercato cinese. Ma precisa che c'è una maggiore tendenza dei manager italiani a ripartire il rischio insieme con un inevitabile accorciamento delle filiere. La Repubblica popolare, precisa Boselli, diventa così una piattaforma ideale da cui lanciare le attività di impresa verso il Sud-est asiatico, la parte di mondo destinata a crescere maggiormente anche sull'onda dell'implementazione del Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep), l'accordo sostenuto dalla Cina e finalizzato a creare il più grande patto di libero scambio del mondo. 

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