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Lunedì, 29 Aprile 2024
Dramma nel dramma / Israele

Partorire in strada a Gaza

Si stima che ci siano 50.000 donne incinte e più di 180 partoriscono ogni giorno. Il 15% rischia di avere complicazioni, servono cure mediche ma gli ospedali sono al collasso

A Gaza sembra non esserci fine a dolore. In queste lunghe settimane di conflitto si consuma un dramma nel dramma. Oltre alle vittime - si è già superata quota diecimila e il bilancio aumenta costantemente - ci sono anche migliaia di donne incinte che non hanno più un ospedale dove partorire. Rischiano di dare alla luce i propri figli in rifugi se non addirittura in strada.

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Secondo i dati di Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia (Unicef), Agenzia per i rifugiati palestinesi (Unrwa), Agenzia delle Nazioni Unite per la salute sessuale e riproduttiva (Unfpa) e Organizzazione mondiale della sanità (Oms) si stima che ci siano "50.000 donne incinte a Gaza, e più di 180 partoriscono ogni giorno. Il 15% di loro rischia di avere complicazioni legate alla gravidanza o al parto e hanno bisogno di ulteriori cure mediche". 

Gli ospedali a Gaza sono al collasso da settimane. Già prestare le cure necessarie ai feriti che arrivano e ai ricoverati diventa quasi impossibile. E questo significa una cosa: niente assistenza alle donne incinte.

Secondo le agenzie Onu "Con la chiusura di 14 ospedali e 45 centri di assistenza sanitaria di base, alcune donne sono costrette a partorire in rifugi, nelle loro case, per strada tra le macerie o in strutture sanitarie sovraffollate, dove le condizioni igienico-sanitarie stanno peggiorando e il rischio di infezioni e complicazioni mediche è in aumento. Anche le strutture sanitarie sono sotto tiro: il 1° novembre è stato bombardato l'ospedale Al Hilo, un'importante struttura per la maternità".

In 5.500 dovrebbero partorire nel prossimo mese. L'ostetrica palestinese Haneen Ashour ha dichiarato a New Arab:  "La situazione è catastrofica, dozzine di donne partoriscono settimane prima del previsto, molte abortiscono". Molti kit per il parto di emergenza sono ancora bloccati nei convogli di aiuti umanitari in Egitto in attesa del permesso di entrare a Gaza: sono considerati dai medici l'ultima risorsa per prevenire infezioni durante il parto in assenza di un accesso sicuro o affidabile a una struttura sanitaria.

"Anche la vita dei neonati è appesa a un filo. Se gli ospedali finissero il carburante, la vita di circa 130 bambini prematuri che dipendono dai servizi di terapia intensiva e neonatale sarà minacciata, poiché le incubatrici e altre attrezzature mediche non funzioneranno più".

L'ospedale indonesiano di Gaza per esempio potrebbe cessare di funzionare nelle prossime ore proprio a causa della mancanza di carburante per alimentare la corrente elettrica secondo quanto denunciato dal direttore dell'ospedale Atef Kahlout.

Al 3 novembre, secondo i dati del ministero della Sanità, nella Striscia di Gaza sono stati uccisi 2.326 donne e 3.760 bambini, pari al 67% di tutte le vittime, mentre altre migliaia sono rimaste ferite. Ciò significa che ogni giorno vengono uccisi o feriti 420 bambini, alcuni dei quali hanno solo pochi mesi. Con le partorienti senza assistenza queste cifre possono solo crescere. Donne non assistite adeguatamente rischiano serie complicanze. I neonati sono spesso troppo gracili e avrebbero bisogno di cure che, al momento, sono di fatto negate. Ci sono poi  gli aborti spontanei, provocati dalla denutrizione e dallo stress estremo delle mamme.

Tra le tante donne incinte che vivono nell'incertezza c'è Noor Hammad. Ha 24 anni, prima della guerra lavorava come nutrizionista in una clinica, si era sposata da poco ed era in attesa del primo bambino.
La sua storia, come riporta La Repubblica, è mutata all'improvviso dal 7 ottobre. Adesso è tra gli sfollati. Col suo pancione è scappata a Sud, ma non ha trovato posto per lei nelle strutture già al collasso. Ha trovato una vecchia amica di una sua sorella che l'ha accolta in casa, dove già convivono 25 persone. Ora dorme sul pavimento e la gioia dell’attesa si è trasformata in ansia: "Dove partorirò? Chi mi aiuterà? Sarò in grado di farla sopravvivere?".

Le agenzie Onu chiedono con forza "una pausa umanitaria immediata per alleviare le sofferenze ed evitare che una situazione disperata diventi catastrofica". Anche il Segretario di Stato Usa Blinken spinge per una pausa umanitaria a Gaza. Appelli finora non ascoltati.

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