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Lunedì, 29 Aprile 2024
Il reportage

L'unico varco tra Ucraina e Russia: così scappano i sopravvissuti all'inferno

Ogni giorno centinaia di ucraini fuggono dai territori occupati da Mosca attraverso il valico Kolotylivka-Pokrovka, l'unico esistente. Non esiste alcun accordo ufficiale tra i due eserciti: solo una strada sterrata e una Ong che si occupa dei profughi diventati "stranieri in casa propria"

Krasnopillia, regione di Sumy. Una forte nebbia sta scendendo su strade e abitazioni in questa piccola cittadina. Un gruppo di persone attende davanti all'entrata di una palazzina. Con loro ci sono dei soldati ucraini che stanno spiegando a voce alta cosa dovranno fare all'interno. Hanno facce stanche, provate. Sono cariche di borse, zaini, sacchetti. Lo stretto necessario per viaggiare.

Siamo nel nord dell'Ucraina, e qui, al valico di frontiera di Kolotylivka-Pokrovka, tra la regione russa di Belgorod e quella ucraina di Sumy, si trova l'unico luogo in cui gli ucraini provenienti dai territori temporaneamente occupati dai russi possono passare nell'Ucraina libera controllata dal governo. Persone che hanno fatto migliaia di chilometri in tre lunghi giorni di viaggio. Molte sono donne. E poi anziani, bambini e qualche adolescente. C'è una donna su una sedia a rotelle che è stata spinta dalla propria figlia per circa due chilometri, lungo una striscia di terra di nessuno tra i due paesi. Una strada in mezzo ai boschi.

Gli ucraini stranieri in casa propriaOltre 10.000 persone sono entrate in Ucraina attraverso il valico di frontiera Kolotylivka-Pokrovka da quando è entrato in funzione ad agosto. Almeno 5 milioni di ucraini vivono nei territori occupati dai russi mentre tra i 3 e i 5 milioni di ucraini sono stati deportati in Russia, compresi tra 260.000 e 700.000 bambini. Dopo che Mosca ha lanciato la sua invasione su vasta scala nel febbraio 2022, l’Ucraina ha ufficialmente chiuso tutti i suoi valichi di frontiera con Russia e Bielorussia. Per diversi mesi, in alcuni luoghi gli sfollati sono riusciti ad attraversare la linea del fronte dal territorio occupato dai russi all’interno dell’Ucraina, spesso rischiando la detenzione o la morte a causa dei bombardamenti, ma l’ultimo di questi percorsi, nella regione meridionale di Zaporizhzhya, è stato chiuso lo scorso autunno. Da allora, le uniche opzioni formali rimaste per gli ucraini che volevano tornare dalla Russia o dal territorio controllato dalla Russia sono state lunghe e costose deviazioni attraverso l’Europa via mare dalla Crimea occupata o via terra attraverso la Russia e poi la Bielorussia, i paesi baltici o la Georgia. Ma negli ultimi mesi ha guadagnato popolarità la via più diretta verso l’Ucraina, attraverso il valico Kolotylivka-Pokrovka. Secondo i funzionari ucraini, più di 100 persone vi transitano ogni giorno e da agosto ne hanno usufruito più di 10mila. Non esiste alcun accordo ufficiale tra Kiev e Mosca, e dal punto di vista del diritto internazionale il passaggio non è un valico di frontiera ma un corridoio umanitario. Da qui ogni giorno passano almeno un centinaio di persone in fuga dai russi, a piedi: la Russia ha proibito il passaggio in auto come ritorsione per le incursioni oltre confine a Belgorod a maggio.

Katryna Arisoi è la fondatrice di Pluriton, l'organizzazione non governativa che si occupa di aiutare queste persone dando loro assistenza psicologica, legale e umanitaria.

L'unico varco di frontiera tra Russia e Ucraina

valico frontiera Kolotylivka-Pokrovka mappa

"Aiutiamo queste persone a tornare in Ucraina - ci spiega Katryna - Li incontriamo al confine dopo che hanno superato i campi di filtrazione, dove vengono controllati dai servizi di intelligence russi e dopo che hanno superato la zona grigia, li accogliamo fornendo loro un posto dove riscaldarsi, mangiare, trovare supporto medico e psicologico. Qui abbiamo anche strutture adatte per le persone con disabilità e uno spazio per i bambini. Aiutiamo le persone a trovare un alloggio, registriamo le famiglie per ricevere assistenza in denaro e dai servizi sociali. Molti arrivano qui senza documenti e provvediamo a farglieli subito riavere". All'interno della struttura le persone, in fila, attendono di essere chiamate dai poliziotti. Vengono fotografate e registrate, poi in un'altra stanza vengono controllati i bagagli. Il tempo di fermarsi, cambiarsi gli abiti bagnati dalla pioggia, e poi ripartire per Sumy. Alla stazione si trovano treni speciali di evacuazione che vanno verso Kyiv e Kharkiv. Katryna è a sua volta una profuga, sa bene cosa significhi lasciare tutto quello che si ha per ricominciare da un'altra parte. La sua città, Bakhmut, non esiste più. "Ho trentasei anni e ho avuto la fortuna di vivere una vita molto interessante e di successo. E ora mi sento come azzerata. Perdi i tuoi beni, la tua casa, tutto ciò che avevi. Perdi anche il tuo status sociale. Nella mia Bakhmut ero una persona molto conosciuta, ero presente in molte attività politiche e sociali. E poi improvvisamente ti trovi catapultata in un'altra città, come profuga, dove non conosci nessuno e nessuno ti conosce e devi ricominciare tutto da capo".

Krasnopillia foto tinazzi-2

Ricominciare da zero non è facile per nessuno. La stessa sensazione che racconta Alexander, 56 anni, proveniente da Melitopol. Imprenditore nel settore ferroviario, vedovo, con una figlia a Kyiv che lo aspetta. Ha resistito finché ha potuto, poi ha deciso di andarsene. Non voleva collaborare con gli occupanti e non c'era altro modo di sopravvivere, per lui. "Tu riusciresti a rifarti una vita dopo aver abbandonato tutto quello che hai di più caro, dopo che sei partito solo con uno zaino sapendo che la tua casa e tutto quello che conoscevi, tutta la tua vita fatta di affetti e ricordi, la devi lasciare dietro di te e forse non lo vedrai mai più?" chiede Alexander, mentre la sua voce si spezza e lo sguardo si sposta verso il muro per nascondere le lacrime.

Krasnopillia foto tinazzi

Katryna accompagna un gruppo di nuovi arrivati nella mensa. Sembra di essere in un convento, dove le persone si siedono e, in silenzio, mangiano. Tutti parlano sottovoce. Un intimo rispetto di chi sta davanti a loro, forse, e del quale, seppur compagni di viaggio in questo ultimo tratto, non conoscono tutto il singolo carico di dolore. "Melitopol era una splendida città. Avevamo tutto. Poi sono arrivati i russi, dicendo che dovevano liberarci. Io parlo ucraino, non russo. Liberarci! Un giorno mi sono entrati in casa e mi hanno portato via per interrogarmi. Mi hanno malmenato; dicevano che ero una spia, che avevo fotografato qualcosa dal balcone di casa. Stavo mandando un messaggio a mia figlia e le stavo dicendo che era brutto tempo e le ho mandato una fotografia. Per quello mi hanno arrestato e riempito di botte".

Chi ha finito la trafila dei documenti attende un passaggio dai volontari per arrivare a Sumy. Da lì continuerà il suo viaggio. Molti tornano nelle loro regioni di appartenenza, magari per fermarsi solo a pochi chilometri da dove sono partiti, per raggiungere parenti e amici che non vedevano da tempo perché divisi da una barriera di fuoco e acciaio. Ora sono liberi.

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