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Lunedì, 29 Aprile 2024
L'analisi / Israele

Il piano di Hamas: distruggere i rapporti tra Israele ed Arabia Saudita

Natanyahu è riuscito nell'intento di normalizzare i rapporti con i Paesi arabi limitrofi, pur erodendo i territori ai palestinesi. La prevista invasione di Gaza potrebbe mettere in crisi questi risultati

Mettere in crisi i rapporti tra Israele e gli Stati arabi limitrofi, in particolare l'Arabia Saudita. Secondo analisti e giornalisti esperti di Medio Oriente, questo potrebbe essere stato uno dei motivi che ha indotto Hamas a sferrare il violento attacco nei confronti di Israele, che ha determinato la morte di centinaia di persone. Oltre che per vendicarsi dell'apartheid subita da quasi 70 anni e per arginare la progressiva eliminazione della Palestina dalla cartina geografica, il gruppo terroristico operativo nella striscia di Gaza sarebbe stato sollecitato ad agire perché irretito dal processo di "normalizzazione" realizzato dal governo di Benjamin Netanyahu con i Paesi arabo-musulmani che per decenni avevano negato di riconoscere Israele.

Una Torah a Riyadh

L'ultimo tassello di questo lungo processo per fare accettare ufficialmente l'esistenza di uno Stato ebraico in Medio Oriente si è svolto pochi giorni prima dell'attacco del 7 ottobre scorso. Tra fine settembre e gli inizi di ottobre, per la prima volta nella storia, alcuni ministri del governo israeliano si sono recati ufficialmente a Riad, la capitale dell'Arabia Saudita, per partecipare a una serie di conferenze internazionali. Prima è arrivato il ministro del Turismo Haim Katz, poi quello delle Comunicazioni Shlomo Karhi. Un evento di cui la stampa israeliana ha dato ampia eco e che era stato sintetizzato in una fotografia pubblicata il 3 ottobre di quest'anno su Times od Israel. Secondo l'esperto giornalista del New York Times Thomas L. Friedman, a fa accelerare "emotivamente" la decisione dell'attacco di Hamas, preparato certamente da mesi, potrebbe essere stata questa immagine, scattata dal team del ministro delle Comunicazioni israeliano.

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Nella foto si vede un membro della missione israeliana pregare nella camera d'albergo per la festività ebraica di Sukkot indossando il tradizionale scialle di preghiera ebraico e la kippah mentre regge un rotolo di Torah. Alla finestra si intravede lo skyline di Riyadh. "Per gli ebrei israeliani, questa foto è un sogno che si avvera, la massima espressione di essere finalmente accettati in Medio Oriente, più di un secolo dopo l'inizio del movimento sionista per costruire un moderno Stato democratico nella patria biblica del popolo ebraico", ha scritto Thomas L. Friedman nel nel suo pezzo di opinione. Il giornalista statunitense, di origine ebraica, fa notare come la possibilità di poter pregare con una Torah in Arabia Saudita, "luogo di nascita dell'Islam e sede delle sue due città più sacre, La Mecca e Medina, è un livello di accettazione che tocca l'anima di ogni ebreo israeliano". Un'immagine che potrebbe aver toccato, in senso totalmente opposto, le anime dei militanti di Hamas.

La mediazione di Washington

In questi anni la missione di Netanyahu e del suo governo di estrema destra è stata quella di dimostrare a livello internazionale che Israele ha diritto ad esistere, può espandersi territorialmente a discapito dei palestinesi, cancellandoli di fatto dai territori occupati, col pieno consenso degli Stati arabi circostanti. Netanyahu ha reso ad esempio l'Egitto uno dei suoi principali partner commerciali, anche se Il Cairo sin dai primi anni '80 si è impegnato diplomaticamente per ottenere vari "cessate il fuoco" tra israeliani e palestinesi. Con l'Arabia Saudita il processo di normalizzazione è ancora in corso ed è stato coadiuvato dagli Stati Uniti, che avevano come priorità la creazione di relazioni commerciali tra i suoi due principali partner in Medio Oriente. Il segretario di Stato Usa Antony Blinken l'aveva definito un obiettivo di "sicurezza nazionale". Riuscire in questa impresa significherebbe isolare profondamente la Palestina e i suoi abitanti.

Invasione di Gaza messa in conto

Col suo attacco sanguinoso, sostiene Friedman, Hamas prevedeva di scatenare una reazione altrettanto violenta da parte di Israele. L'invasione della Striscia di Gaza, con perdite massicce tra i civili palestinesi, farebbe parte del piano per costringere l'Arabia Saudita a ritirarsi dall'accordo in discussione con Israele e mediato da Washington. Un messaggio rivolto anche agli Emirati Arabi Uniti, al Bahrein e al Marocco, che hanno aderito agli Accordi di Abraham prodotti dall'amministrazione Trump nel 2020. Anche loro, di fronte alla furia di Netanyahu scatenata contro la popolazione palestinese a Gaza, composta soprattutto da bambini e giovani, potrebbero sentirsi costretti a fare un passo indietro rispetto ad Israele per evitare di compromettersi con uno Stato "crudele".

Attrarre combattenti

Oltre a una questione di relazioni diplomatiche, c'è anche un altro aspetto da non sottovalutare: la capacità di Hamas di attrarre combattenti su Gaza pronti ad immolarsi contro l'esercito israeliano. "Dall'inizio abbiamo mandato 1.200 combattenti che sono riusciti a distruggere l'immagine, la sicurezza, l'intelligence di Israele e la sua immagine di superpotenza", ha dichiarato ad Al Jazeera Ghazi Hamad, esponente dell'ufficio politico di Hamas. "Abbiamo molti combattenti e molte persone che vogliono sostenerci", ha sostenuto Hamad, "anche le persone ai confini di Giordania, Libano e ovunque, vogliono venire qui e combattere con noi". Un messaggio da non sottovalutare.

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