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Sabato, 27 Aprile 2024
Nuove tensioni / Venezuela

Il Venezuela vuole ridisegnare i confini del Sudamerica (per il petrolio)

Il referendum promosso da Caracas per annettere l'Esequibo, regione della Guyana ricca di greggio, si è concluso con un plebiscito. Cosa succede adesso

I venezuelani hanno votato a favore dell'integrazione nel loro Paese della regione di Esequibo, attualmente controllata dalla Guyana. Il referendum promosso domenica dal presidente Nicolas Maduro si è concluso, come da previsioni, con un plebiscito: il 95% di chi si è recato alla urne ha votato a favore dei cinque quesiti. "Abbiamo mosso i primi passi di una nuova tappa storica nella lotta per ciò che ci appartiene", ha dichiarato il leader di Caracas.

Per Maduro, è stata una vittoria "schiacciante", anche se non è chiaro il reale numero di venezuelani che ha partecipato al voto: secondo le autorità di Caracas sono oltre 10 milioni, ma Henrique Capriles, due volte candidato presidenziale dell'opposizione, sostiene che gli elettori siano stati poco più di 2 milioni, il che sarebbe "un clamoroso fallimento". A prescindere dai dati delle urne, resta quello politico: il Venezuela ha aperto ufficialmente un nuovo fronte di tensioni geopolitiche in Sudamerica. 

L'Esequibo è un territorio di 160mila chilometri quadrati, in cui vivono 125mila degli 800mila guyanesi della nazione (secondo i dati del 2012) e in cui si parla inglese. La regione, assegnata a Georgetown da una sentenza arbitrale del lontano 1899, possiede petrolio, minerali e ricchi bacini idrici ed è oggetto da anni delle brame venezuelane, che sono aumentate da quando, nel 2015, il gruppo americano ExxonMobil vi ha scoperto altri ricchi giacimenti di idrocarburi. Il confine conteso fu deciso da arbitri britannici, russi e statunitensi.

I funzionari venezuelani sostengono che statunitensi ed europei avrebbero cospirato per privare il loro Paese della regione e sostengono che un accordo del 1966 per risolvere la controversia avrebbe di fatto annullato l'arbitrato originale. La Guyana, l'unico paese anglofono del Sudamerica, sostiene invece che l'accordo iniziale sia legale e vincolante e nel 2018 ha chiesto alla Corte internazionale di giustizia (Cig), il più alto organo giudiziario delle Nazioni Unite, di dichiararlo tale.

Secondo diversi esperti di questioni sudamericane, il referendum di domenica non porterà all'immediata annessione dell'Esequibo e Caracas ha assicurato che non intende invadere la regione, almeno per il momento. Il presidente della Guyana, Irfaan Ali ha assicurato ai suoi connazionali che "non c'è nulla da temere nelle ore, nei giorni e nei mesi a venire". Al suo fianco si è schierato il presidente del Brasile, Luiz Inacio Lula da Silva, che ha invitato i due Paesi a far prevalere il buon senso "Se c’è una cosa di cui il mondo non ha bisogno, di cui il Sudamerica non ha bisogno, sono i disordini", ha sottolineato il leader brasiliano, che nei giorni scorsi aveva inviato dei soldati nei pressi del confine conteso.

Maduro non sembra avere la volontà, e di sicuro non ha la forza di sfidare la comunità internazionale e il potente vicino. Semmai, il referendum potrebbe avere un doppio scopo: da un lato, consolidare i consensi in patria in un momento in cui l'opposizione sta cercando di riorganizzarsi per lanciare l'assalto alla presidenza. Dall'altro, Caracas intende lanciare un avvertimento agli Stati Uniti affinché non facciano marcia indietro dopo la sospensione delle sanzioni che ha permesso al Paese di tornare a esportare petrolio. Il greggio venezuelano è diventato importante in queste periodo per calmierare l'aumento dei prezzi del petrolio nella regione, ma Maduro ha bisogno di investimenti dall'estero nelle infrastrutture per sfruttare appieno il potenziale del Paese. L'eventuale concorrenza dell'Esequibo potrebbe ridurre il suo peso negli equilibri del mercato petrolifero, e fermare sul nascere il rilancio delle sue esportazioni. 

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