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Lunedì, 29 Aprile 2024

L'editoriale

Eva Elisabetta Zuccari

Giornalista

L'anno in cui le donne si sono prese anche il cinema

Seppure di questi tempi aleggia sempre lo spettro del "pink washing" - ovvero delle "quote rosa" inserite come strumento di facciata -, non possiamo fare a meno di celebrare un nuovo traguardo per il cinema italiano: il debutto di un buon numero di attrici alla regia. Da Paola Cortellesi a Margherita Buy, in molte hanno presentato le loro opere prime ai festival di Roma e Venezia negli ultimi mesi, vestendo finalmente panni che finora avevano indossato in minoranza rispetto ai colleghi. E, sebbene possa sembrare ghettizzante esaltare una vittoria di genere, lo facciamo con l'ambizione che presto questo non farà più notizia, oltre che con lo scaltro pragmatismo di Valeria Golino: "In questo momento va di moda farci lavorare, perché nel mercato c'è il 'prodotto donna'. Questo a volte è offensivo? Sì. Ma approfittiamone facendo belle cose", ha detto. Anche perché i numeri raccontano una realtà che ancora necessita di segnali: solo il 18% delle opere che ricevono finanziamenti pubblici sono dirette dalle donne.

A cinque anni dal MeToo - il movimento mondiale che denunciò lo scandalo delle molestie nel settore - e nell'annata cinematografica segnata a livello internazionale dalla Barbie femminista di Greta Gerwig, il cinema italiano si adegua finalmente a un presente mediatico che sprizza ormai femminismo da tutti i pori. E speriamo che non lo faccia solo a macchina da presa accesa, ma anche nelle verità del dietro le quinte. Nell'anno in cui l'Italia vede al governo la sua prima premier, per le ragazze non è più tempo di invidiare Monica Bellucci che sfila sul red carpet romano accanto al suo Tim Burton - com'è démodé ormai invidiare la donna che mette a segno un colpaccio di cuore - bensì quelle che i propri sentimenti li presentano dirigendoli su pellicola. Né è più il tempo "del vittimismo e delle rivendicazioni", per usare le parole pronunciate tempo fa da Cristina Comencini, "bisogna agire: perché solo la nostra costanza può cambiare il sistema". Alle porte c'è ancora un immaginario da plasmare, finora narrato da un coro di voci perlopiù maschili. 

Da Paola Cortellesi a Kasia Smutniak. Un immaginario da riempire

Alle nostre nonne, mogli prigioniere del proprio ruolo e vittime di maltrattamenti in famiglia, Cortellesi certifica il diritto di contare, scegliendo per il suo primo film le tinte femministe e la fotografia in bianco e nero del dopoguerra. A se stessa parla invece Giovanna Mezzogiorno, che nel corto "Unfitting" denuncia le discriminazioni vissute sui set quando, dopo due gravidanze e alle soglie dei cinquant'anni, aveva preso peso: "Sono stata scartata dalle stesse registe, dissero che ero malata", ha raccontato, ribadendo quanto il sessismo appartenga in fondo a entrambi i sessi. 

Paola Cortellesi alla regia di C'è ancora domani. Crediti foto Instagram

Sempre a proposito di paradigmi da ribaltare, poi, c'è il caso di Micaela Ramazzotti, un tempo nell'immaginario "moglie del regista" (Paolo Virzì, ndr) e oggi invece vincitrice della sezione Orizzonti Extra a Venezia con "Felicità". Tornando poi a Roma, c'è Kasia Smutniak, che si sporca le mani col documentario Mur, incentrato sui migranti al confine tra la Bielorussia e la Polonia, esordendo così come documentarista e attivista. Infine il debutto di Margherita Buy, che ride di sé, delle sue fragilità e della sua paura di prendere l'aereo in "Volare". 

"Mia madre Ingrid Bergman mi ha detto un giorno: ho fatto talmente tanti film che ora potrei anche fare la regista. L'ha detta come una boutade perché allora per le donne era difficile immaginare di stare dietro la macchina da presa", ha detto Isabella Rossellini nel ricevere, sempre a Roma, il premio alla carriera. Parole che fanno eco a quelle di Liliana Cavani, omaggiata specularmente a Venezia del Leone d'Oro alla carriera un mese fa: "È interessante. Vuol dire che ci si può pensare ancora per qualche donna che fa questo mestiere". Solo nel 2020 Lina Wertmuller vinceva l'Oscar alla carriera provocando: "Perché lo chiamiamo Oscar? Non vogliamo cambiare nome con quello di una donna? Chiamiamolo, che so, Anna". A Roma, tra le non debuttanti, meritano menzione anche Alice Rohrwacher con "La Chimera" e Roberta Torre con "Mi fanno male i capelli", nuove stelle in un firmamento contemporaneo fatto dei nomi più blasonati, da Francesca Archibugi e Emma Dante. 

A che punto siamo 

Segni di cambiamento da celebrare in un contesto in cui le disparità indicano le strade ancora da percorrere, come dicevamo. Nel 2021 - anno a cui risalgono gli ultimi dati disponibili - i progetti diretti da donne che hanno beneficiato di fondi pubblici sono stati appena 19 per cento del totale, contro l'81 di quelli diretti da uomini. Questo nonostante la "discriminazione positiva" attuata dalla Legge Franceschini, che dal 2016 introduce per la prima volta incentivi in favore dell'uguaglianza di genere, sotto forma di punteggi da assegnare a chi fa domanda al ministero per avere finanziamenti per opere audiovisive. Una forzatura che non è bastata: la legge "non ha prodotto alcuna inversione di tendenza, portando a un incremento dell'appena 1% dei progetti diretti da donne (contro il più 36 % della legge sul gender balance francese)", fanno sapere dal gruppo Pari Opportunità di 100autori, la più grande fra le Associazioni autoriali del settore audiovisivo.

"Stando ai numeri, le registe sono appunto il 18 per cento del totale, le sceneggiatrici il 23 per cento e le montatrici il 28, con un incremento impercettibile rispetto al lustro precedente, mentre le professioniste di musica e fotografia scendono sotto il 10; al contrario le professioni nell'ambito del trucco e dei costumi impiegano l'80 per cento di donne, col rischio di diventare dei ghetti devalorizzati o sottopagati", ha spiegato Mariagrazia Fanchi, direttrice dell'Alta Scuola in Media Comunicazione e Spettacolo dell’Università Cattolica (Almed), nel presentare il Rapporto "Gender Balance in Italian Film Crews 2022". C'è poi la questione "budget gap", ovvero il costo medio delle opere: la media è 1.506.579 € per i progetti a guida femminile, mentre 2.293.307 € per i progetti progetti a guida maschile. "Le opere a direzione femminile tendono a collocarsi nelle fasce di costo più basse", ha spiegato ancora Fanchi, finendo per concentrarsi sul documentario, genere a basso costo. Impossibile poi stabilire con precisione il divario salariale, poiché non ci sono dati scorporati per le registe: in generale le donne che lavorano nel cinema ricevono salari inferiori del 37% rispetto ai colleghi (140 € in media rispetto ai 221 € dei colleghi, nel 2021). 

Direzione generale Cinema e Audiovisivo. Valutazione di impatto Legge cinema e audiovisivo 2021-2

Direzione generale Cinema e Audiovisivo. Valutazione di impatto Legge cinema e audiovisivo. 2021

Smutniak: "Non accetto di essere una portabandiera di facciata, c'è ancora molto da fare"

"Quello che mi stupisce è che, se diventiamo registe, facciamo ancora notizia", ha detto Cortellesi qualche pomeriggio fa a Roma, durante l'evento "Dialoghi sul futuro del cinema", a margine del festival. Evento a cui erano presenti altre colleghe, tutte donne, tutte registe, che si sono infastidite di fronte alle domande sul tema. "Non mi sento una donna che fa dei film. O un'attrice che fa dei film. Se avessi saputo che questo era il tema del dibattito non sarei venuta", ha detto seccata Valeria Bruni Tedeschi. "Mentre diamo per scontato che il passaggio alla regia sia naturale per un uomo, quando questo accade per una donna quest'ultima finisce sotto un occhio di bue", ha poi aggiunto Cortellesi. 

Eppure il traguardo è da sottolineare con forza. Soprattutto se si pensa nei termini "aspirazionali" che hanno fatto forza del femminismo contemporaneo, più mediatico delle epoche precedenti. E soprattutto guardando ai dati. "Perché tutte queste registe donne? La domanda in sé mi dà fastidio", ha concluso Smutniak, "ma è evidente che qualcosa è cambiato e che c'era un buco culturale. Mi è capitato, soprattutto nelle serie tv, di confrontarmi con piattaforme o produzioni che, nella divisione della regia da assegnare agli episodi, avevano la maggioranza di registi uomini e che quindi chiedevano a una donna di fare la prima regia come facciata, per poter dire che il lavoro era femminista. Sono lusingata di esser stata inviata al festival, ma non posso accettare di essere una portabandiera di facciata, perché c'è ancora moltissimo da fare". 

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